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Traffico di Influenze Illecite: riconosciuta la continuità normativa con il millantato credito
di Maria Strino
La sentenza in commento si inserisce, con dovizia di argomentazioni, nel dibattito interpretativo relativo ai rapporti intercorrenti tra il millantato credito (articolo 346 del codice penale, ormai abrogato) e il traffico di influenze illecite (articolo 346-bis del codice penale, introdotto dalla legge n. 190/2012 e successivamente novellato).
La centralità della questione scaturisce dalla necessità, sempre più avvertita, di riflettere sull’evoluzione delle manifestazioni di illegalità nella pubblica amministrazione, in cui l’intercettazione delle derive di ingerenza patologica assume, il più delle volte, connotazioni enigmatiche, avuto particolare riguardo alla perimetrazione dell’oggetto della tutela penale.
La vicenda esaminata dalla Suprema Corte si concentra sulla qualificazione penale della condotta, consistente nel farsi promettere denaro o altra utilità, col pretesto di dover remunerare un funzionario pubblico.
Il ricorso avverso la decisione della Corte d’Appello di Palermo è stato ritenuto fondato, in considerazione dell’erronea dichiarazione di responsabilità dell’imputato “in ordine al reato di cui all’art. 346 cod. pen., segnatamente secondo l’ipotesi di cui al secondo comma”. Alla data della sentenza, infatti, tale fattispecie “risultava – ai sensi dell’art. 1 della legge n. 3 del 2019 – ricompresa nella ipotesi di cui all’art. 346-bis cod. pen. da considerarsi più favorevole in relazione alla diversa e meno grave forbice edittale prevista”.
Nel caso di specie, la ricostruzione interpretativa prende le mosse dall’approccio sviluppato in argomento dalla Sesta Sezione della Corte di Cassazione (n. 51688 del 28.11.2014), nell’imminenza dell’introduzione del traffico di influenze illecite. Secondo quest’impostazione, la continuità normativa riscontrabile fra gli articoli 346 e 346-bisconsentiva di configurare un’ipotesi di successione di leggi penali regolata dall’art. 2, comma 4, del codice penale, sul presupposto che a rilevare fosse la vanteria dell’influenza “che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l'immagine della pubblica amministrazione”.
Tale continuità normativa è stata, a maggior ragione, rintracciata nei rapporti tra i reati in parola dopo l’intervento della legge n. 3/2019 (c.d. “Spazzacorrotti”), che ha abrogato l’art. 346 e, contestualmente, novellato l’art. 346-bis, “atteso che in quest’ultima fattispecie risultano attualmente ricomprese le condotte di chi, vantando un’influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità quale prezzo della propria mediazione (Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 17980 del 14.03.2019).
Sulla scorta dei precedenti orientamenti di legittimità, l’intervento giurisprudenziale in esame ritiene di poter affermare la sussistenza della continuità normativa tra la fattispecie contemplata dall’art. 346, comma 2, e il rinovellato art. 346-bis. Decisivo, in tal senso, appare il confronto tra le condotte penalmente rilevanti, all’esito della riscrittura del traffico di influenze illecite in ottica di conglobamento del millantato credito, secondo l’espressa intenzione legislativa di una abrogatio sine abolitione.
Attraverso il richiamo alle argomentazioni ermeneutiche elaborate all’indomani della novella legislativa del 2019, i giudici della Corte di Cassazione ripercorrono i tratti distintivi della fattispecie enucleata dal primo comma dell’art. 346-bis che, nella sua rinnovata formulazione, “punisce anche la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali - di natura economica o meno -, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, a prescindere dall'esistenza o meno di una relazione con quest'ultimo”. Fatta salva la clausola di riserva ("fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'art. 322-bis"), la previsione normativa effettua una vera e propria equiparazione penalistica tra “la mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente” e “la rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale”.
L’ampliata dimensione modale della condotta si presta ad avallare, dunque, la continuità normativa fra l’abrogato articolo 346 e il novellato articolo 346-bis.
La condotta di chi, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un funzionario pubblico ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri “certamente ingloba la precedente contemplata dall'art. 346 cod. pen.”, che sanzionava chiunque, millantando credito presso un funzionario pubblico, ricevesse o facesse dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione (comma 1) ovvero col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare (comma 2).
La sentenza in commento accoglie, pertanto, la lettura del precedente giurisprudenziale che aveva già riconosciuto una sostanziale sovrapponibilità tra le fattispecie in questione, sia sotto il profilo della “condotta "strumentale" (stante l'equipollenza semantica fra le espressioni "sfruttando o vantando relazioni (...) asserite" e quella "millantando credito")”, sia sotto il profilo della “condotta "principale" di ricezione o di promessa, per sé o per altri, di denaro o altra utilità”. Tali premesse consentono di concludere per l’attitudine onnicomprensiva della “nuova” ipotesi di traffico di influenze illecite, anche avuto riguardo alla condotta di “dazione o promessa di denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o di doverlo remunerare”.
Siffatto ragionamento, a dire il vero, si pone in netta antitesi rispetto all’orientamento ermeneutico (Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 5221/2020) che rinnega la sussistenza di continuità normativa tra il secondo comma dell’art. 346 e il novellato art. 346-bis, sul presupposto che “in quest'ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all'art. 640, comma 1, cod. pen.”.
Una simile ricostruzione, fondata sulla natura autonoma della fattispecie penale costituita dall’abrogato art. 346, comma 2, non è andata esente da una serie di critiche.
Nel caso in analisi, il Collegio giudicante non ha mancato di evidenziare come l’art. 346, nella sua integrale formulazione, contemplasse “un delitto del privato contro la pubblica amministrazione il cui retto e imparziale funzionamento costituisce l'oggetto della tutela”. Alla luce dell’indirizzo interpretativo prevalente, inoltre, il secondo comma della previsione in parola differiva dal reato di truffa “per la diversità della condotta, non essendo necessaria né la millanteria né una generica mediazione, nonché dell'oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione”.
In conclusione, non viene considerato dirimente il mancato richiamo al termine “pretesto” nella formulazione del traffico di influenze illecite. L’intervento giurisprudenziale in esame ritiene, quindi, di poter attribuire alla predetta omissione un significato diverso e, invero, “funzionale all'inclusione nell'illecito delle evocate dazioni in favore dei pubblici ufficiali o pubblici impiegati, prescindendosi dall'aderenza al reale di tali relazioni per la equiparazione - introdotta con la novella del 2019 - dello sfruttamento delle relazioni esistenti al vanto di quelle asserite”.
Una volta acclarata la continuità normativa tra i reati di millantato credito e traffico di influenze illecite, la Corte di Cassazione si è determinata sia in merito all’illegalità della pena pecuniaria, sia in riferimento all’illegittimità della pena detentiva, procedendo all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio.
Sezione: Sezione Semplice
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