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Le Sezioni Unite sulla confisca allargata ex art. 240 bis c.p. in fase esecutiva: quali limiti temporali?

Libera Noel

 

Lo scorrere del tempo rappresenta un limite al quale doverosamente ciascuno soccombe.

Il tempo che passa, tuttavia, non sradica le radici poste dalle nostre azioni e rende pertanto ancor più persistente lo stretto collegamento tra azione e reazione.

Ad ogni azione, infatti, cui, come nel caso di specie, consegue il compimento di un reato segue una reazione, consistente, talvolta, nell’applicazione di misure di sicurezza volte a dirimere e contrastare la reiterazione di un reato che, in punto di pericolosità sociale, necessita di essere prevenuta.

È, dunque, sulla base di tali prime considerazioni che si impone la pronuncia resa a Sezioni Unite dalla Corte Suprema di Cassazione in tema di confisca allargata, originariamente prevista dall’art. 12 sexies del d.l. 306/1992, conv. dalla l. 356/1992, e successivamente confluita nell’art. 240 bis c.p., a seguito dell’introduzione del principio di riserva di codice ad opera della l. n. 103/2017 ed attuato dal d.lgs. n. 21/2018.

Il Supremo Consesso fu chiamato a pronunciarsi avverso un provvedimento del 6/12/2016 emesso dal Giudice dell’esecuzione che aveva disposto il sequestro preventivo ex art. 12 sexies d.l. cit., di beni di proprietà e nella disponibilità dell’imputato C., condannato ex art. 73 d.P.R. 309/90. Il provvedimento de quo evidenziava come fosse precaria la condizione economica del condannato a ragione della percezione di redditi in sé modesti e insufficienti a garantire il tenore di vita e il mantenimento di un nucleo familiare composto da cinque persone nonché l'acquisto dei beni confiscati.

Tuttavia, sebbene le doglianze mosse dal ricorrente concernessero anche questioni processuali del tutto superate, il contrasto giurisprudenziale per il quale si è reso necessario l’intervento delle SS.UU. ha avuto origine dalla lamentata violazione dell’art. 12 sexies della l. n. 306/92, in relazione alla data ultima di riferimento per disporre la confisca per sproporzione. Più nello specifico, la Corte di appello non avrebbe rispettato il dato letterale della disposizione di legge che avrebbe fatto riferimento alla condanna per il reato presupposto e non alla data della sua irrevocabilità, sicché l'intervento del giudice dell'esecuzione avrebbe recuperato soltanto una potestà obbligatoria non esercitata in sede di cognizione ma sottoposta alle medesime condizioni. Seguendo questo criterio, non avrebbero dovuto essere confiscate tutte le utilità acquisite dopo il 17/5/2011 - data di pronuncia della condanna emessa dal Tribunale di Milano per il reato "spia" di cui all’art. 73 d.P.R. cit.- senza che nessuna modificazione peggiorativa, in grado di influenzare la confisca, fosse intervenuta nei gradi successivi. Orbene, il fulcro cruciale della questione riguardò dunque l’esatta individuazione del limite temporale delle acquisizioni patrimoniali rilevanti ai fini dell’applicazione della confisca de qua.

Un primo indirizzo interpretativo, seguito anche da parte della dottrina, riteneva che fossero confiscabili soltanto i beni esistenti al momento della pronuncia della sentenza di condanna per il reato presupposto, salvo che ulteriori valori ed utilità, pervenuti al condannato in epoca successiva, avessero costituito il reimpiego di risorse finanziarie già disponibili in precedenza; si riteneva che ammettere l'ablazione di beni acquistati dal reo dopo la sentenza di condanna avrebbe significato negare ogni distinzione fra confisca obbligatoria e confisca di prevenzione nonché riconoscere la possibilità di monitorare il patrimonio del reo attraverso indagini patrimoniali, condotte in fase di esecuzione senza limiti temporali.

Un secondo orientamento, al contrario, assumeva che la confisca atipica potesse aggredire, in sede esecutiva, anche beni pervenuti nel patrimonio del condannato fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per il reato presupposto.

Il Supremo Consesso, chiamato dunque a pronunciarsi, decise di aderire al primo orientamento, spiegando in primo luogo cosa fosse la confisca in casi particolari; essa, definita “atipica”, “allargata” ovvero “estesa”, costituirebbe una peculiare misura di sicurezza posto che non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna bensì beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano ingiustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività svolta dal soggetto. Si presume, in tali casi, un illecito accumulo di ricchezza e, dunque, la conseguente accertata responsabilità per i reati di cui all’art. 240 bis c.p. rappresenterebbe una “spia”, un indice presuntivo della commissione di altre illecite attività; tuttavia,“la relazione tra "reato-spia" ed elemento patrimoniale non è espressa dal legislatore in termini di produzione causale del secondo ad opera del primo, né di proporzione di valore tra i due elementi, ragione per la quale anche la collocazione temporale dell'incremento della ricchezza del condannato di per sé non assume rilievo quale criterio di selezione dei beni confiscabili”.

In altri termini, come osservato in dottrina, la confiscabilità dei singoli beni non sarebbe esclusa per il fatto che gli stessi siano stati acquisiti in data anteriore o posteriore al reato e di conseguenza l’applicazione della misura de qua troverebbe la sua naturale collocazione nell’ambito del giudizio di cognizione e della pronuncia giudiziale che la definisce; ciò posto, è la previsione di tale imprescindibile condizione a dare ragione del fatto che il processo di cognizione – e non certo la fase esecutiva - costituirebbe la sede naturale ed ordinaria per imporre la confisca, unitamente alle altre statuizioni penali, in un unico contesto deliberativo.

Ed invero, “la "destinazione funzionale" della sentenza che deve contenere la decisione anche sulla confisca trova conferma nell'impossibilità di provvedervi in sede esecutiva, quando la relativa domanda sia stata già respinta dal giudice della cognizione, o di revocarla, se disposta in quella sede”. L'unica eccezione sarebbe ravvisabile nei riguardi del terzo non partecipe al processo già definito ed ammesso a proporre incidente di esecuzione per ottenere la revoca della misura. A tali conclusioni si giunge avallando, peraltro, l’argomento proposto dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 18/1996 nonché condividendo l’assunto secondo cui adottare la confisca in sede esecutiva comporterebbe ingiustificate disparità di trattamento tra soggetti che, seppur chiamati a rispondere dello stesso “reato-spia” subirebbero la privazione dei loro beni in maggior o minor pregiudizio a seconda che la confisca sia adottata in sede di cognizione ovvero in sede esecutiva.

Ricorrendo a tali condizioni una violazione dell’art. 3 Cost. posto che, secondo taluni, “in modo illogico e privo di valida giustificazione” tutto “determinerebbe un differente trattamento di situazioni eguali”, parte della dottrina e la stessa giurisprudenza ora in commento hanno tuttavia osservato che l’assenza di un collegamento cronologico tra l’ingresso nel patrimonio del soggetto di una ricchezza sproporzionata ed ingiustificata ab origine e l’attività criminosa consentirebbe l’applicazione illimitata della misura ablativa, in tal modo pregiudicandosi i diritti di proprietà e di iniziativa economica del destinatario, rendendogli oltremodo impossibile provare, al contrario, la natura lecita di detta provenienza.

Le Sezioni Unite ritengono pertanto doveroso individuare un punto di equilibrio tra il sacrificio dei predetti principi costituzionali e la finalità di contrasto alla criminalità lucrogenetica, rievocando ed applicando il già noto principio dellaragionevolezza temporale secondo cui “il momento di acquisto del bene non deve essere talmente lontano dall'epoca di realizzazione del "reato- spia" da determinare l'irragionevolezza della presunzione di derivazione da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella giudicata” (ex multis, Sez. 1, n. 41100 del 16/04/2014, Persichella, Rv. 260529). Il criterio della ragionevolezza temporale, dunque, impedirebbe l’abnorme dilatazione della sfera di operatività dell’istituto della confisca allargata ed il monitoraggio patrimoniale della vita del soggetto e sarebbe correttamente applicato allorché si tenga conto delle caratteristiche della singola vicenda concreta e, conseguentemente, del grado di pericolosità sociale che il fatto rileva (così Corte Cost., sent. n. 33 del 2018).

Ritiene inoltre il Supremo Consesso che la ragionevolezza temporale, oltre ad aver assunto pregio anche a livello internazionale, debba essere applicato anche alle situazioni in cui l’acquisizione patrimoniale si collochi in un momento successivo alla perpetrazione del reato spia e l’intervento ablatorio sia richiesto al giudice dell’esecuzione; pertanto, deve ritenersi anche ormai superato il principio di diritto enunciato dalla SS.UU. Montella del 2004 per il quale sarebbe indifferente il momento in cui il bene da confiscare entri nel patrimonio del soggetto ampliando l'area della confiscabilità. Al contrario, ferma restando la natura non pertinenziale della relazione tra cosa e reato e l'assenza del nesso di derivazione della prima dal secondo, vanno ritenuti confiscabili anche gli elementi patrimoniali acquisiti dopo la perpetrazione del reato, purché non distaccati da questo da un lungo lasso temporale che renda irragionevole l’ablazione e, comunque, non successivi alla pronuncia della sentenza di condanna o di patteggiamento dovendosi intendere per sentenza di condanna quella emessa dal giudice di primo grado - se nei successivi sia confermata o riformata soltanto in punto di pena – o quella in grado di appello o di rinvio in ipotesi di riforma di una precedente pronuncia assolutoria.

Alla luce di quanto finora dedotto, le Sezioni Unite dunque formularono il seguente principio di diritto:

"Il giudice dell'esecuzione, investito della richiesta di confisca ex art. 240 bis c.p., esercitando gli stessi poteri che, in ordine alla detta misura di sicurezza atipica, sono propri del giudice della cognizione, può disporla, fermo restando il criterio di "ragionevolezza temporale", in ordine ai beni che sono entrati nella disponibilità del condannato fino al momento della pronuncia della sentenza per il c.d. "reato-spia", salva comunque la possibilità di confisca di beni acquistati anche in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima".

 

Argomento: Misure di sicurezza patrimoniali
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Pen., SS.UU., 15 luglio 2021, n. 27421)

stralcio a cura di Pamela D'Oria 

“1. La questione di diritto sottoposta all'esame delle Sezioni Unite è formulata nei seguenti termini: «Se la confisca di cui all'art. 240-bis cod. pen., disposta in fase esecutiva, possa avere ad oggetto beni riferibili al soggetto condannato ed acquisiti alla sua disponibilità fino al momento della pronuncia di condanna per il cd. reato "spia" ovvero successivamente, salva comunque la possibilità di confisca di beni acquistati anche in epoca posteriore alla sentenza ma con risorse finanziarie possedute prima». (…) 10.1. I motivi di ricorso prospettano la questione, sulla quale le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi, della individuazione del limite temporale per l'applicabilità della confisca obbligatoria, prevista dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 (ora dall'art. 240-bis cod. pen.), in riferimento alla acquisizione dei valori e dei beni di cui il condannato sia titolare, anche per interposta persona. La tematica si è posta all'attenzione degli interpreti a seguito dell’avvenuto riconoscimento, da parte delle Sezioni Unite nella citata sentenza Derouach, del potere del giudice dell'esecuzione di ordinare la confisca c.d. "allargata" «sulpatrimonio del soggetto al momento della condanna o del patteggiamento». Da qui la necessità di stabilire se in sede esecutiva i beni e le utilità confiscabili siano quelli esistenti nel patrimonio al momento della pronuncia di condanna per uno dei reati inclusi nell'elencazione della norma stessa, oppure se si possa procedere anche su quelli pervenuti nella disponibilità del condannato successivamente alla detta pronuncia e sino al suo passaggio in giudicato. 10.2. La questione ha ricevuto soluzioni opposte nella giurisprudenza di questa Corte. 10.2.1. Un primo indirizzo interpretativo, sostenuto anche da parte della dottrina, ritiene che siano confiscabili soltanto i beni esistenti al momento della pronuncia della sentenza di condanna per il reato presupposto, salvo che ulteriori valori ed utilità, pervenuti al condannato in epoca successiva, costituiscano il reimpiego di risorse finanziarie già disponibili in precedenza. Sin dalle prime pronunce ascrivibili a questo orientamento (…) si è ritenuto che ammettere l'ablazione di beni acquistati dal condannato dopo la sentenza di condanna significa negare ogni distinzione fra confisca obbligatoria ex art. 12-sexies dl. n. 306 [continua ..]

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