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Il nuovo colpo di scure della consulta sul quarto comma dell´art. 69 c.p.: illegittimo il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui al secondo comma dell´art. 116 c.p. rispetto all´aggravante della recidiva reiterata

Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 25 luglio 1975, n. 345, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.”; ciò a seguito dell’ordinanza 129/2020 con la quale il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riguardo agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

La Consulta ritiene che il giudice a quo abbia adeguatamente motivato sulle ragioni che rendono rilevanti le questioni di legittimità costituzionale sottoposte al suo esame.

Con riguardo alla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, c.p., il rimettente ha, infatti, dato conto delle numerose condanne pronunciate nei confronti dell’imputato, mostrando di aderire al consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, secondo cui l’applicazione della recidiva, anche se non obbligatoria, “si giustifica in quanto il nuovo delitto, commesso da chi sia già stato condannato per precedenti delitti non colposi, sia espressivo in concreto del maggior grado di colpevolezza e pericolosità, nonché di rimproverabilità della condotta tenuta nonostante l’ammonimento individuale scaturente dalle precedenti condanne”.

Anche con riguardo al cosiddetto “concorso anomalo” di cui all’art. 116, primo comma, c.p., il rimettente ha mostrato di condividere l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che richiede l’accertamento in concreto, alla luce di tutti gli elementi del caso, della prevedibilità del fatto diverso da parte dell’altro concorrente. Il giudice a quo ha, infatti, dimostrato la sussistenza sia del rapporto di causalità tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di rapina impropria, commesso successivamente in virtù dell’azione violenta compiuta dall’altro compartecipe, sia dell’elemento psicologico della colpa, in quanto era prevedibile che il correo potesse porre in essere atti di violenza o minaccia per assicurarsi il profitto del furto o per garantirsi l’impunità. Il Giudice delle Leggi con la sentenza n. 42 del 1965 aveva, invero, chiarito che la responsabilità ex art. 116 c.p., necessita della sussistenza non solo del rapporto di causalità materiale, ma anche di un coefficiente di colpevolezza, ossia di un nesso psicologico che postula che “il reato diverso o più grave commesso da altro concorrente possa rappresentarsi alla psiche del concorrente anomalo come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello concordato o come possibile epilogo rispetto al fatto programmato”.

Con riguardo all’applicabilità della circostanza attenuante ad effetto comune di cui all’art. 116, secondo comma, c.p., che attiene al caso in cui il reato commesso sia più grave di quello voluto e alla sua possibile prevalenza sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata, la Corte Costituzionale evidenzia che quest’ultima risulta preclusa dall’art. 69, quarto comma, c.p., così come modificato dalla legge 251 del 2005, restando possibile, a favore dell’imputato, il solo giudizio di equivalenza.

Secondo la Consulta la possibilità di operare deroghe al regime ordinario di bilanciamento tra circostanze, di cui all’art. 69 c.p., rientra nella discrezionalità del legislatore, che può essere sindacata solo ove essa “trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, non potendo giungere in alcun caso a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale.” A tal proposito, la Corte richiama proprie precedenti pronunce di illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di alcune specifiche circostanze attenuanti, quali: la lieve entità nel delitto di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012), la particolare tenuità nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014), la minore gravità nel delitto di violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014), il danno patrimoniale di speciale tenuità nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (sentenza n. 205 del 2017), l’essersi il reo adoperato per evitare che il delitto di produzione e traffico di stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori (sentenza n. 74 del 2016), il vizio parziale di mente (sentenza n. 73 del 2020). Trattasi di circostanze ad effetto speciale e di natura oggettiva, espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva, ovvero, nel caso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 309/1990, del ravvedimento dell’imputato post delictum e, nel caso di cui all’art. 89 c.p., della ridotta rimproverabilità dell’autore per l’esistenza di patologie mentali che influiscono sul suo processo motivazionale.

Il Giudice delle Leggi si sofferma poi sulla struttura dell’art. 116 c.p., norma ispirata ad un forte rigore nella repressione dei reati commessi in concorso di persone; infatti, ancorché in base all’interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata del primo comma della norma sopracitata il difetto di prevedibilità possa ascriversi a colpa, il trattamento sanzionatorio è quello del reato doloso, ossia lo stesso previsto per il correo che ha voluto e commesso il reato diverso, in ciò sostanziandosi la differenza con la norma di carattere generale di cui all’art. 83 c.p. Il secondo comma dell’art. 116 è chiamato, dunque, a svolgere una necessaria funzione di riequilibrio del trattamento sanzionatorio, assicurando che la pena per il compartecipe che risponde a titolo di colpa di un reato doloso più grave di quello voluto risulti proporzionata attraverso l’operatività della circostanza attenuante ivi prevista.

La Corte Costituzionale ritiene, pertanto, che la disposizione censurata impedisca al giudice di ritenere prevalente la diminuente in questione sulla recidiva reiterata, con ciò “frustrando, irragionevolmente, gli effetti che l’attenuante mira ad attuare e compromettendone la necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio”, in contrasto con il principio costituzionale di determinazione di una pena proporzionata alla concreta gravità del reato ed adeguata al grado di responsabilità personale del suo autore. Il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato, infatti, “esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo. E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile”.

Il divieto in oggetto lede, quindi, il principio della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto determina un trattamento sanzionatorio sproporzionato inevitabilmente percepito come ingiusto dal condannato ed il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., poiché vanifica la funzione dell’art. 116, secondo comma, c.p., ossia quella di sanzionare in modo diverso situazioni profondamente distinte sul piano dell’elemento soggettivo.

La Consulta stabilisce, infine, che l’ulteriore questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, c.p., sollevata dal rimettente in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma e 27, terzo comma Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti (nel caso di specie quelle previste dagli artt. 62, numero 4, c.p. e 62-bis c.p.) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p., rimane assorbita.

Sezione: Corte Costituzionale

(C. Cost., 31 marzo 2021, n. 55)

stralcio a cura di Giulio Baffa 

“1.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (…), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (…), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. (…)” “(…)” “1.2.- Il giudice a quo osserva che la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost. Infatti irragionevolmente comporta che il correo che abbia previsto e voluto un reato meno grave sia punito in relazione al diverso e più grave reato voluto e realizzato da un concorrente, con una pena «enormemente» più alta di quella prevista per il reato da lui voluto, ed inoltre, con una pena sensibilmente più alta di quella irrogabile al concorrente che ha voluto e commesso il più grave reato, ma al quale non trovi applicazione l’aggravante della recidiva reiterata. Inoltre, (…) la norma censurata, impedendo il giudizio di prevalenza della diminuente in esame, finirebbe con il vanificare la funzione che la stessa tende ad assicurare, ossia sanzionare in modo diverso situazioni profondamente diverse sul piano dell’elemento soggettivo: quello del correo che pone in essere l’evento diverso e più grave e quello dell’altro correo che ha voluto solo il reato meno grave, unitamente alla prevedibilità del fatto più grave. Sarebbe, inoltre, configurabile anche la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., perché, per effetto del divieto di prevalenza, si determinerebbe un trattamento sanzionatorio sproporzionato rispetto al reato commesso - considerato anche in relazione all’atteggiamento psicologico dell’imputato - che sarebbe percepito come ingiusto dal condannato e, perciò, inidoneo ad esplicare la funzione rieducativa che gli è propria”. “(…)” 3.- Nel merito, sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., sollevate in via principale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di [continua ..]

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