Argomento:
Illegittimità costituzionaleSezione:
Corte Costituzionale
(C. Cost., 1 febbraio 2022, n. 289)
Stralcio a cura di Giulio Baffa
“3.- Le due ordinanze pongono questioni analoghe (…). Entrambi i giudici rimettenti si dolgono in sostanza dell’eccessività del tasso giornaliero di sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, che - in forza del rinvio compiuto dal censurato art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 all’art. 135 del codice penale - è attualmente pari a 250 euro. Tale tasso condurrebbe a risultati sanzionatori sproporzionati rispetto alla gravità del reato e alle condizioni economiche del reo; dal che deriverebbe la violazione congiunta degli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. nonché - secondo il GIP del Tribunale di Taranto - dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE.5.1.- L’art. 53 della legge n. 689 del 1981 prevede che le pene detentive brevi possano essere sostituite dal giudice con le pene sostitutive della semidetenzione, della libertà controllata e della pena pecuniaria entro i limiti massimi, rispettivamente, di due anni, un anno e sei mesi. Il successivo art. 58 disciplina l’esercizio di tale potere discrezionale da parte del giudice. Sulla base dei generali criteri per la commisurazione della pena indicati dall’art. 133 cod. pen., il giudice valuta anzitutto se sostituire la pena, essendo tenuto a non farlo allorché presuma che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato, oltre che in presenza delle cause ostative enumerate dall’art. 59 della stessa legge n. 689 del 1981; nel caso poi in cui opti per la sostituzione, «sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato».Come è noto, l’istituto della sostituzione della pena detentiva fu introdotto nel nostro ordinamento nel 1981 con l’obiettivo fondamentale di evitare, per quanto possibile, gli effetti negativi determinati dall’esecuzione delle pene detentive di breve durata (…): pene troppo brevi, appunto, perché potesse essere impostato e attuato un programma rieducativo realmente efficace in favore del condannato; ma abbastanza lunghe per determinare gravi conseguenze a suo carico, per reati di bassa gravità, dal momento che l’ingresso in carcere provoca non soltanto una brusca lacerazione dei rapporti familiari, sociali e lavorativi sino a quel momento intrattenuti (con conseguente difficoltà di un loro ripristino una volta terminata [continua ..]
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