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Reati omissivi: quando il rapporto di ospitalità è posizione di garanzia
di Giorgia Fucito
La sentenza in commento ha definito una delle vicende più note alla cronaca giudiziaria degli ultimi decenni, relativa alla tragica morte del giovane M.V., occorsa quando il ragazzo era ospite presso l’abitazione dei C., famiglia della propria fidanzata M.
La recente pronuncia della V Sezione della Corte di Cassazione, oltre ad offrire un interessante punto di sintesi circa il dibattuto tema relativo ai reati omissivi impropri di cui all’art. 40 cpv., c.p., conferma il consolidamento di quella concezione contenutistico-funzionale degli obblighi di garanzia invalsa in seno alla più recente giurisprudenza di legittimità.
Al fine di meglio comprendere i profili giuridici esaminati dalla Corte, occorre ripercorrere brevemente gli episodi più significativi della vicenda fattuale, secondo la ricostruzione accolta nei precedenti gradi di giudizio.
Nella tarda serata del 17 maggio 2015, A.C., simulando uno scherzo, impugnando una pistola semiautomatica, nell’erroneo convincimento che l’arma fosse priva di munizionamento, la puntò in direzione di M.V., premette inavvertitamente il grilletto ed esplose un colpo, ferendo il giovane.
Questa prima fase, connotata dalla colposa esplosione del proiettile ed addebitabile al solo A.C., viene assunta nel capo di imputazione alla stregua di un antefatto. Ad esso fanno seguito i plurimi comportamenti omissivi di A.C. e dei suoi familiari che, ritardando l’intervento dei soccorsi e fornendo al personale paramedico indicazioni fuorvianti e reticenti in ordine all’accaduto, cagionarono la morte di M.V.
Si comprende allora come uno dei principali nodi che i giudici del merito si sono trovati a dover districare, e su cui la sentenza in commento ha svolto alcune importanti puntualizzazioni, ha riguardato la qualificazione giuridica dei comportamenti tenuti dagli imputati nella seconda fase della vicenda.
Ad un inquadramento delle condotte omissive perpetrate dalla famiglia C. ai sensi dell’art. 593, co. 3, c.p. (omissione di soccorso, aggravata dalla morte della persona rinvenuta), si poneva l’alternativa di una responsabilità per omicidio mediante omissione, ai sensi dell’art. 40 cpv., c.p., previo riconoscimento, in capo a tutti gli imputati, di una specifica posizione di garanzia.
Sin dal primo grado, senza mai ricevere smentita nelle fasi successive dell’iter processuale – se non limitatamente all’elemento psicologico del reato –, le condotte in questione vennero ricondotte alla più gravosa ipotesi di omicidio mediante omissione.
Nella sentenza esaminata, il Collegio, ribadendo l’applicabilità al caso concreto dell’art. 40 cpv., c.p., puntualizza alcuni aspetti rimasti oscuri nelle precedenti fasi processuali, tra cui, per quanto di interesse in questa sede, la questione concernente la fonte da cui ricavare l’esistenza di una posizione di garanzia in capo ad A.C. e ai suoi familiari.
Preliminarmente, la Corte ripercorre il contrasto dottrinale e giurisprudenziale esistente in ordine ai criteri di identificazione degli obblighi giuridici di impedire l’evento penalmente rilevanti ex art. 40, co. 2, c.p.
Come noto, infatti, la clausola di equivalenza contenuta nella citata norma, in forza della quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo, non fornisce alcuna precisazione in relazione alle fonti alla cui stregua individuare tale dovere impeditivo.
Secondo una prima tesi, c.d. formale, l’obbligo di attivarsi rilevante ex art. 40, cpv. c.p. deve essere individuato in base ad una previsione formale dell’ordinamento giuridico, e dunque in forza di una legge, penale o extrapenale, ovvero di un contratto.
A questo binomio, la teoria in esame, per esigenze di tutela sostanziale, aggiunge l’ulteriore criterio della “precedente attività pericolosa” che, pur in assenza di un espresso fondamento normativo, viene considerata fonte della posizione di garanzia ogni volta in cui essa determini per i terzi una situazione di pericolo, che l’autore della condotta ha l’obbligo di controllare, al fine di impedire che ne derivino offese in danno altrui.
Sul versante opposto si colloca la c.d. teoria contenutistico-funzionale, accolta dalla pronuncia in esame, secondo cui la ricostruzione della posizione di garanzia deve essere condotta alla luce della ratio sottesa alla previsione di cui all’ art. 40, co. 2, c.p., che coincide con l’esigenza di assicurare una tutela rafforzata ad interessi il cui titolare non è in grado di proteggere affatto ovvero di proteggere adeguatamente.
Al principale requisito della particolare vulnerabilità del bene tutelato, si affiancano due ulteriori condizioni. Innanzitutto, occorre che la protezione dell’interesse in questione sia affidata alle cure del terzo in un momento anteriore alla verificazione della situazione di pericolo; in secondo luogo, è necessario che il garante disponga dei poteri necessari ad intervenire sul decorso causale, per scongiurare la verificazione dell’evento lesivo.
In questa prospettiva sostanzialistica, la giurisprudenza ha individuato un’ulteriore fonte della posizione di garanzia nella assunzione volontaria ed unilaterale dei compiti di tutela. In questo caso, il fondamento del dovere di impedimento viene rintracciato nella spontanea “presa in carico” del bene protetto, in assenza di un preesistente obbligo formale.
Così ricostruiti i diversi orientamenti, il Supremo Collegio si sofferma sulla fattispecie concreta oggetto del giudizio, precisando che, nella sentenza rescindente ed in quella emessa all’esito del giudizio di rinvio, la fonte dell’obbligo di impedire l’evento, gravante in capo a tutti gli imputati, venne individuata proprio nella volontaria assunzione, da parte di questi, di un dovere di protezione nei confronti di M.V.
Tale soluzione viene arricchita da un ulteriore profilo, sino a quel momento solo accennato nei precedenti gradi di giudizio.
Invero, la Corte di Cassazione, nella pronuncia in oggetto, pur aderendo all’impostazione seguita dalla sentenza di annullamento, sposta l’attenzione sulla condizione di ospite che la vittima rivestiva all’interno della abitazione della famiglia C.
In altri termini, il Collegio ha individuato nella ospitalità offerta al V., nell’abitazione di cui avevano la disponibilità, l’assunzione di una specifica posizione di garanzia in capo a tutti gli imputati, non surrogabile con l’intervento di estranei, che non avrebbero potuto accedere all’abitazione stessa senza il consenso della famiglia C.
Chiariscono inoltre i giudici come il rapporto di spiccata confidenzialità che legava la giovane vittima ai componenti della famiglia della di lui fidanzata, con i quali il primo condivideva una relazione di natura parafamiliare, fosse da solo sufficiente ad attribuire al V. un affidamento socialmente tipico ad essere soccorso in una situazione di pericolo tale da mettere a repentaglio la sua vita.
Sebbene tale dato, puntualizza la Corte, non valga a riconoscere in capo al V. i diritti sostanziali propri dei “congiunti”, la sua qualità di ospite viene ritenuta sufficiente a caratterizzare la [sua] figura [...] come soggetto titolare del diritto di soccorso da parte dei soggetti ospitanti, pacificamente titolari dello ius excludendi alios, nel senso che nessun altro sarebbe potuto intervenire a prestare soccorso senza il necessario consenso di questi ultimi.
Sulla base del rapporto di ospitalità, precisa la sentenza, deve inoltre differenziarsi la posizione della famiglia C. da quella di V.G., fidanzata del F.C., anche lei ospite presso l’abitazione teatro della tragica morte del giovane M.V., alla quale, pertanto, era stata correttamente ascritta la diversa ipotesi di cui all’art. 593 c.p.
Quest’ultima precisazione offre alla V Sezione della Corte di Cassazione l’occasione per tracciare il confine tra la fattispecie di omissione di soccorso e quella di cui all’art. 40 cpv. c.p., generata dal rapporto di ospitalità.
Più precisamente, l’art. 593 c.p. punisce la condotta del soggetto che occasionalmente si imbatte in una persona in stato di pericolo, omettendo di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità. L’occasionalità, invero, contribuisce a definire la platea di destinatari cui l’obbligo di soccorso si riferisce, coincidente con la generalità dei consociati.
Diversamente, in una situazione come quella in esame, il soggetto gravato dall’obbligo di attivarsi per tutelare l’altrui bene giuridico non è il quisque de populo, ma l’unico soggetto in grado di provvedere ad allertare tempestivamente i soccorsi, essendo preventivamente individuabile come titolare di fatto del relativo potere, in virtù della circostanza che questi si trova in un ambiente rispetto al quale [...] ha la possibilità di esercitare lo ius excludendi alios.
La sentenza in commento desta particolare interesse perché la Corte, pur mantenendo formalmente inalterata l’impostazione accolta dalla pronuncia di annullamento, concentra la propria attenzione sul rapporto qualificato che legava la vittima alla famiglia C., individuando l’autentica fonte della posizione di garanzia ricoperta dai ricorrenti nel rapporto di ospitalità.
Occorre, tuttavia, rilevare come la soluzione di assegnare al soggetto ospitante il ruolo di garante della vita e dell’incolumità dell’ospitato[1] non abbia mancato di sollevare alcune perplessità in seno alla dottrina più attenta.
Sebbene il Collegio abbia tentato di fornire un’accurata descrizione dei presupposti da cui nasce tale posizione di garanzia, non può sottacersi l’inesorabile contrasto tra la tesi sostanzialistica promossa dalla Corte ed il principio di legalità, che evidenzia, ancora una volta, l’esigenza di un intervento legislativo diretto a garantire, nell’ambito dei reati omissivi impropri, le istanze di prevedibilità della reazione punitiva.
[1] M. Spina, La Cassazione-bis sul caso Vannini: l’ospitalità come fonte di obblighi protettivi in una lettura ultra-sostanzialistica del reato omissivo improprio, in Sistema penale, 2021.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. V, 19 luglio 2021, n. 27905)
Stralcio a cura di Pamela D'Oria
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