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Ricettazione: l´abrogazione del delitto presupposto non esclude la sussistenza del reato

nota di Alessandra Mozzi

 

Il difensore dell’imputato, dopo che questi veniva condannato nel 2015 per il delitto di ricettazione, con condanna confermata in grado di Appello, ricorreva per la cassazione della sentenza di II grado, rilevando, quale primo motivo di ricorso il seguente: 1) inosservanza di legge e vizi della motivazione, essendo stato riconosciuto il delitto di ricettazione, pur se il delitto presupposto di cui all’art. 647 c.p. è stato abrogato e la rilevanza penale del fatto dovrebbe essere valutata con esclusivo riferimento non al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica della ricettazione, ma al tempo del giudizio, che prevede un trattamento più favorevole.
Con tale motivazione, il difensore sostiene dunque l’illegittimità della conferma della condanna avvenuta in secondo grado, stante, nel frattempo, l’intervenuta abrogazione per opera del Dl.vo n. 7/2016, del delitto di cui all’art 647 c.p. (rubricato: “Appropriazione di cose smarrite, del tesoro, di cose avute per errore o caso fortuito”), formante il c.d. delitto-presupposto della ricettazione nel caso di specie. Pertanto, secondo la difesa ricorrente, la condanna di primo grado avrebbe dovuto essere riformata in senso più favorevole all’imputato, facendo applicazione dell’art. 2 del Codice Penale.
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione adìta, pronunziatasi in data 02.02.2022, ha ritenuto inammissibile il suesposto primo motivo avanzato da parte ricorrente, sulla base della seguente osservazione di diritto: “[..] questa Corte ha già affermato che la ricettazione di un bene, proveniente dal reato-presupposto di cui all’art. 647 c.p., conserva rilevanza penale anche dopo la depenalizzazione, ad opera del Dlgs n. 7/2016, del reato di appropriazione di cosa smarrita, atteso che nella ricettazione la provenienza da delitto dell’oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l’eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell’art. 2 c.p., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa”.
Per esplicitare le ragioni sottese al principio di diritto che fonda la decisione di rigetto del motivo avanzato occorre fare chiarezza in merito a tre punti: la particolare struttura e natura giuridica del delitto di ricettazione; la differenziazione tra c.d. norme penali in bianco ed elementi normativi della fattispecie; ed in ultimo l’applicabilità delle regole sulla successione delle norme penali nel tempo alle ipotesi di successione di norme esterne alla fattispecie delittuosa.
Il delitto di ricettazione disciplinato all’art. 648 c.p. è costruito sulla base del nesso di c.d. “presupposizione” con altri delitti: così s’intende indicare quelle fattispecie che richiedono quale condizione necessaria ai fini della loro integrazione l’avvenuta consumazione di un delitto (appunto definito “presupposto”). Il nesso è talmente forte per cui se il delitto presupposto non esiste, o non è punibile per l’esistenza di una causa oggettiva, la ricettazione non può configurarsi.
La fattispecie è inoltre interpretata quale reato plurioffensivo, poiché è volta a preservare la messa in circolazione e/o l’occultamento di valori e beni di provenienza illecita, tutelando la corretta amministrazione della giustizia.
Orbene, tornando al c.d. nesso di presupposizione, è chiaro che lo stesso introduca all’interno della norma una sorta di relatio, che rileva sia in via sostanziale, in quanto richiede la sussistenza del delitto presupposto; sia in via processuale, necessitandosi l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni, dell’assenza di concorso del ricettatore, nonché del c.d. “doppio dolo (generico, sulla illiceità del bene e specifico, di profitto). Rispetto alla stessa è dunque doveroso porre la questione sulla configurazione dell’art. 648 c.p. come “norma penale in bianco” ovvero come “fattispecie integrata” da un elemento normativo esterno.
Il fenomeno della relatio, ovvero dell’integrazione normativa, è il tratto che accomuna quelle norme penali che necessitano, al fine di dare definizione alla fattispecie delittuosa, di ricorrere ad elementi esterni. Questi possono essere identificati a loro volta in altrettante norme penali, (come nell’ipotesi ex art. 648 c.p.); ovvero in regolamenti autonomi (ad esempio nella fattispecie ex art. 650 c.p.); o diversamente, nei casi di c.d. “illiceità speciale”, essi sono attinti da un ambito extra-giuridico (valga per tutti l’esempio della “morale familiare” ex art. 570 c.p.). Per tutte le categorie s’impone un modello, quello dell’integrazione normativa, che lascia intendere una sorta d’incompletezza contenutistica della sola fattispecie delittuosa, in sé non in grado di descrivere compiutamente il delitto.
Individuate le basi in comune, è opportuno distinguere tra la norma penale in bianco, in cui il richiamo ad altre fonti serve a completare il precetto penale, dalle norme integrate da elementi esterni, in ordine alle quali invece la relatio serve a specificare alcuni aspetti, antecedenti o concomitanti al fatto. Se da un lato la norma in bianco attira la fonte esterna nell’ambito del precetto penale, la norma soltanto “integrata” non interiorizza allo stesso modo gli elementi che la definiscono dall’esterno, che sì debbono sussistere ai fini dell’integrazione della fattispecie delittuosa, ma non valgono a qualificare il disvalore del fatto.
La differenza tra le due classi s’intravede tuttavia solo guardando alla diversa incidenza che ha la modifica della fonte esterna rispetto alla fattispecie penale in cui è richiamata, ipotesi che vanno sotto la comune definizione di successione “mediata” tra norme. Ciò che diverge è l’effetto che la modifica produce sul reato: nella norma in bianco questa comporterà una vera e propria “Successione di leggi penali”, ex art. 2 c.p., e più precisamente potrà condurre ad un’abolitio criminis (art. 2 comma 2 c.p.) ovvero ad un’abrogatio sine abolitione (art. 2 comma 4 c.p.), a seconda che in virtù della modifica esterna il precetto penale venga meno oppure sopravviva, sebbene in forma diversa.
Ciò invece non è dato riscontare nell’ipotesi in cui la successione mediata avvenga tra elementi integrativi esterni al reato: in questi casi infatti, posta l’assenza di un potere abrogativo ovvero abolitivo sul precetto penale “interno” alla norma integrata, non si dà luogo all’applicazione dell’art. 2 c.p., stante l’immutata rilevanza penale, formale e sostanziale, del delitto commesso.
Quanto all’ipotesi di ricettazione nel caso che ha interessato la Suprema Corte nella presente decisione, appare ribadita la sua natura di norma integrata, e non già di norma penale in bianco. L’argomento tratto dalla Corte Suprema a motivo della decisione di inammissibilità in commento appare valorizzare l’aspetto del rapporto tra la ricettazione ed il reato presupposto inerente al tempus commissi delicti. Il delitto punito dall’art. 648 c.p. si perfeziona infatti non già nel momento in cui ha luogo il reato-presupposto, ma allorché il soggetto attivo riceve, acquista o occulta i beni provenienti da tale reato, con la consapevolezza di contribuire alla loro circolazione. In conseguenza di ciò, secondo i supremi giudici, la rilevanza penale della ricettazione è conservata nonostante l’abolizione del delitto di appropriazione di cose smarrite (art. 647 c.p.), successiva alla loro ricezione da parte dell’imputato-ricettatore. L’intervenuta abolitio criminis non è quindi in grado di intaccare quest’ultima condotta nella sua tipicità, determinatezza e tassatività, di qui l’assenza dei presupposti per l’invocazione dell’art. 2 c.p., avanzata dalla difesa ricorrente.
Per converso, va pure constatato che in virtù degli interventi di depenalizzazione del D.lvo 7/2016, sarà invece possibile ritenere estranee alla fattispecie di ricettazione tutte le condotte di ricezione, acquisto o occultamento avvenute dopo che anche i fatti-presupposto si siano consumati nella forma di “illeciti civili”. A tal riguardo potrà infatti concludersi per l’insussistenza dell’elemento oggettivo necessario ai fini della configurabilità dell’art. 648 c.p., ovverosia della provenienza dei beni da delitto.
Diverse argomentazioni dovrebbero invece condursi in ordine all’ipotesi in cui, posta l’avvenuta integrazione del primo reato quando questi sia ancora qualificato come delitto, la sola azione del ricettatore si consumi successivamente all’intervento modificativo operato sul fatto presupposto. Qui, dovrà infatti distinguersi a seconda che tale intervento sia consistito in abolitio criminis, in virtù della quale la provenienza delittuosa dei beni ricevuti, acquistati o occultati potrà ritenersi venuta meno, anche in via retroattiva. Al contrario, nell’ipotesi in cui l’intervento modificativo abbia lasciato intatto il disvalore giuridico del primo delitto, tale modifica non avrà effetto sulle successive condotte di ricettazione, perciò sempre penalmente perseguibili.

Argomento: Delitti contro il patrimonio
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. II, 21 aprile 2022, n. 15451)

Stralcio a cura di Ilaria Romano

“1.1 E' manifestamente infondato il primo motivo, con cui il ricorrente ha dedotto che l'abrogazione del delitto presupposto, pur se successiva ai fatti, dovrebbe determinare l'insussistenza della ricettazione.Al riguardo deve osservarsi che questa Corte (…) ha già affermato che la ricettazione di un bene, proveniente dal reato presupposto di cui all'art. 647 cod. pen., conserva rilevanza penale anche dopo la depenalizzazione, ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, del reato di appropriazione di cosa smarrita, atteso che nella ricettazione la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l'eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell'art. 2 cod. pen., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa.Siffatto principio, enunciato con specifico riferimento alla ricettazione di un assegno, proveniente dal reato presupposto di cui all'art. 647 cod. pen., è stato ribadito anche da ultimo con riguardo a un diverso delitto presupposto ma con argomentazioni valevoli anche nel caso in esame. Si è affermato, infatti, che la ricettazione di un assegno bancario con clausola di non trasferibilità, oggetto di falsificazione, conserva rilevanza penale anche dopo la depenalizzazione, ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, del presupposto reato di falso in scrittura privata, atteso che nella ricettazione la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l'eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell'art. 2 cod. pen., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa (…).1.2 II secondo motivo non è consentito nella parte in cui sollecita una diversa valutazione delle prove, poste a fondamento dell'affermazione della responsabilità, ed è manifestamente infondato nel resto.La Corte d'appello, sulla base degli elementi acquisiti "e in considerazione anche di una versione lacunosa e priva di consistenza offerta in sede di indagini dall'imputato", ha ritenuto provata la ricettazione.Deve rilevarsi che questa Corte (…) è costante nel ritenere che, [continua ..]

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