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Colpa medica: la Cassazione sullo specifico obbligo di garanzia in capo al medico di Pronto Soccorso

Letizia Barbero

Con la sentenza in commetto la Sezione IV della Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla configurabilità della responsabilità per omicidio colposo in capo al medico di Pronto Soccorso e, segnatamente, circa il contenuto della posizione di garanzia gravante in capo allo stesso nonché sulle regole del giudizio controfattuale che il Giudice è chiamato a svolgere al fine di accertare lesistenza del nesso di causalità tra la condotta colposa omissiva del sanitario e levento morte. In particolare, sebbene il medico operante presso l’unità di Pronto Soccorso disponga di poteri impeditivi limitati, lo stesso è titolare dellonere di far intervenire altri specialisti quando non vi sia certezza sulla diagnosi e sull’opportunità delle dimissioni del paziente.

Nel caso di specie un medico, in qualità di sanitario addetto all’unità di pronto soccorso, è stato condannato in primo grado per il delitto previsto dall’art. 589 c.p. poichè, con condotto omissive e per colpa, ha cagionato la morte di un paziente per non aver effettuato gli accertamenti diagnostici necessari ad una diagnosi differenziale: all’imputato viene contestata l’errata valutazione dello stato patologico in atto in quanto lo stesso ha omesso di effettuare una completa anamnesi del paziente limitandosi ad un esame superficiale, privo degli accertamenti diagnostici richiesti dal caso concreto, così impedendo un corretto inquadramento delle condizioni cliniche del paziente. Secondo il Giudice di primo grado, l’omessa diagnosi differenziale ha rappresentato il mancato compimento dell’azione doverosa che il medico ha la possibilità materiale di realizzare, generando un rischio per l’integrità fisica del paziente al quale sono conseguiti il  ritardato intervento chirurgico, l’aggravamento ed infine il decesso.

La Corte d’Appello ha riformato in senso assolutorio la pronuncia di primo grado affermando, fra l’altro, che non vi fosse alcuna certezza circa la possibilità di effettuare una diagnosi differenziale e che, alla luce del basso tasso di mortalità rilevato dai consulenti dellimputato nei casi analoghi a quello di specie, l’intervento chirurgico non sarebbe stato risolutivo escludendo, così, il nesso di causa.

L’esame delle questioni oggetto della pronuncia in commento richiede una breve disamina in materia di responsabilità colposa omissiva del medico nonché di accertamento del relativo nesso di causa. Nel caso di specie, la responsabilità omissiva del sanitario nasce dal combinato disposto degli artt. 589 e 40 cpv. c.p.: trattasi di un reato omissivo improprio sicché, ai fini della sua configurabilità, non è sufficiente il mancato compimento dell’azione doverosa, bensì è altresì necessario il realizzarsi di un evento-conseguenza della condotta omissiva che il soggetto agente aveva l’obbligo giuridico di impedire.

Il presupposto di tale responsabilità è, infatti, la sussistenza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento; l’accertamento del predetto obbligo deve essere accompagnato dall’accertamento in concreto dell’esistenza, in capo al titolare della posizione di garanzia, di poteri impeditivi fattuali dell’evento dannoso che possono concretizzarsi in obblighi diversi, anche di minore importanza rispetto a quelli direttamente e specificatamente volti ad impedire il verificarsi dell’evento.

Nel caso di specie, la Corte individua l’obbligo di garanzia gravante in capo al medico di Pronto Soccorso nella cd. diagnosi differenziale ovvero nell’aver omesso di disporre gli idonei accertamenti clinici o, comunque, nell’aver errato la diagnosi. In particolare, la Suprema Corte dispone che a fronte di una diagnosi differenziale non ancora risolta, come nel caso de quo, rientra nei poteri impeditivi del medico compiere tutti gli accertamenti diagnostici necessari al fine di appurare la patologia che ha colpito il paziente ed escludere le ulteriori ed eventuali patologie alternative; l’omissione di tali ulteriori esami può essere giustificata esclusivamente dalla raggiunta certezza che una determinata patologia possa essere esclusa.

Una volta accertata la sussistenza della posizione di garanzia in capo al medico, l’ulteriore passaggio logico operato dalla Corte attiene l’accertamento del nesso di causa tra la condotta omissiva del medico e l’evento morte; la Corte procedere, pertanto, alla disamina del combinato disposto degli artt. 40 e 41 c.p. rammentando che per l’esistenza del nesso di causa occorrono due elementi: il primo positivo, che si rivela nella regola cautelare violata quale condicio sine qua non dell’evento e, il secondo, negativo, per cui l’evento lesivo non deve essere conseguenza dell’intervento di fattori eccezionali. L’evento, dunque, rappresenta la concretizzazione del rischio che la stessa regola cautelare violata tendeva ad evitare ed è causalmente riconducibile all’omissione qualora sia la conseguenza certa o altamente probabile del mancato rispetto della regola.

La Corte, richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità in materia, rammenta inoltre la necessaria distinzione tra il ragionamento esplicativo ed il ragionamento controfattuale: mediante il primo il Giudice, alla luce delle leggi naturali e di eventuali leggi scientifiche o statistiche, valuta la relazione tra la condotta umana e l’evento verificatosi fornendone la relativa spiegazione eziologica, mentre, con il secondo il Giudice è tenuto ad operare, specialmente nell’accertamento del nesso di causa nei reati omissivi, un ulteriore tipo di indagine ovvero un giudizio “doppiamente ipotetico” caratterizzato dalla supposizione sia di un fatto che non si è verificato, ovvero la condotta che il soggetto avrebbe dovuto tenere, sia delle conseguenze che vi sarebbero derivate se la condotta doverosa fosse stata posta in essere al fine di vagliare, alla luce delle circostanze del caso concreto, la capacità salvifica del comportamento lecito alternativo. In altri termini, mediante la prognosi postuma suddetta, l’omissione è causa dell’evento quando sostituendola con l’azione doverosa che il garante avrebbe dovuto porre in essere, l’evento lesivo non si sarebbe verificato.

Nel caso di specie, pertanto, il Giudice era tenuto a verificare se le ulteriori indagini diagnostiche, omesse dal sanitario, avrebbero impedito l’exitus nonché se il comportamento alternativo corretto, ovvero l’effettuazione di una diagnosi differenziale, considerate le condizioni nelle quali versava il paziente ed i poteri impeditivi di cui disponeva il medico di pronto soccorso, avrebbe avuto un effetto salvifico della condotta omessa.

Orbene, in via preliminare, la Suprema Corte precisa che la diagnosi differenziale è definita quale percorso logico di eliminazione mentale al fine di individuare una malattia in via residuale; tale procedimento non è ancorato esclusivamente a dati di tipo tecnico-scientifico, bensì alle caratteristiche logiche e alla valutazione delle peculiarità del caso clinico sottoposto al sanitario. L’omissione di una tale diagnosi è giustificata esclusivamente quando è raggiunta l’elevata probabilità di correttezza della diagnosi svolta.

Secondo la Cassazione, il Giudice di primo grado aveva correttamente individuato nell’omessa diagnosi differenziale il fattore determinante la condizione di rischio per l’integrità fisica del paziente, i cui sintomi imponevano al medico di effettuare ulteriori accertamenti diagnostici per escludere la patologia più grave. La doverosa e omessa diagnosi differenziale avrebbe, infatti, portato il medico ad effettuare alcuni esami diagnostici che avrebbero determinato, con elevata certezza, l’effetto salvifico della sua condotta. Diversamente, i Giudici di secondo grado, con una pronuncia in senso assolutorio, avevano ritenuto insussistente il nesso di causa sulla base delle considerazioni tecnico-scientifiche dei consulenti, avulse dalle circostanze del caso concreto, che non avevano dimostrato la raggiunta certezza dell’effetto salvifico della diagnosi differenziale.

La Corte di Cassazione ha rilevato, pertanto, un’erronea applicazione delle regole espresse dall’art. 40 c.p. in quanto i Giudici di secondo grado hanno escluso il nesso di causa sulla base di un giudizio controfattuale privo di riferimenti alle concrete condizioni del paziente, restando erroneamente ancorati al dato tecnico-scientifico ed escludendo di esaminare le risultanze processuali anche alla luce del dato logico. Un corretto giudizio controfattuale richiede, infatti, di non limitarsi alle leggi statistiche, bensì di elaborare il dato tecnico-scientifico anche alla luce dei criteri logico-giuridico e degli elementi indiziari del caso concreto. Alla luce della disamina effettuata, la Corte di Cassazione ha statuito che in tema di responsabilità medica, risponde di omicidio colposo il medico di pronto soccorso che ha cagionato la morte di un paziente per non aver disposto indagini diagnostiche atte ad effettuare la diagnosi differenziale limitandosi ad un esame superficiale; sebbene i poteri impeditivi in capo al medico di medicina d'urgenza siano limitati, incombe su tale figura l'onere di far intervenire altri specialisti, quando non vi sia certezza sulla diagnosi e sulla opportunità delle dimissioni.

 

Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. IV, 13 dicembre 2021, n. 45602)

stralcio a cura di Ilaria Romano

“1.1. Occorre premettere, in linea di principio, che per l'esistenza del nesso causale, in base al disposto degli artt. 40 e 41 cod. pen., occorrono due elementi: il primo, positivo, secondo il quale la condotta umana deve aver posto una condizione dell'evento; il secondo, negativo, per cui il risultato non deve essere conseguenza dell'intervento di fattori eccezionali. In particolare, quando si tratta di condotte omissive colpose, il primo elemento si rivela nella regola cautelare violata, se l'evento rappresenta la concretizzazione del rischio creato con un non facere da colui che riveste la posizione di garanzia. Il nesso causale viene, dunque, negato qualora l'evento non concretizzi il rischio che la regola cautelare violata mirava a prevenire oppure quando sia intervenuto un fattore eccezionale che, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, costituisce causa certa o altamente probabile dell'evento (…). Guardando alla condotta omissiva sotto il preciso angolo visuale del rischio del quale il sanitario è garante, ossia della regola cautelare appropriata, l'interprete è tenuto a delimitare l'ambito della posizione di garanzia in modo da imputare al garante i soli eventi che egli sia in grado di dominare. (…) [L]a giurisprudenza di legittimità, sin dagli anni novanta del secolo scorso, ha infatti elaborato la «teoriadel garante», muovendo dall'osservazione - e dalla valorizzazione - del significato profondo che deve riconoscersi agli «obblighi di garanzia», discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante, rispetto ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente (…). I titolari della posizione di garanzia devono, poi, essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi (…). In conclusione: l'agente non può rispondere del verificarsi dell'evento se, pur titolare di una posizione di garanzia, non disponga della possibilità di influenzare il corso degli eventi. Per converso, chi ha questa possibilità non risponde se non ha un obbligo giuridico di intervenire per operare la modifica del decorso degli avvenimenti (…). 1.2. L'ambito dell'obbligo di garanzia gravante sul medico di Pronto Soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che [continua ..]

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