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Computo dello spazio minimo per il detenuto: per le Sezioni Unite vanno detratti gli arredi

Sara Frattura 

Con ordinanza del 21 febbraio 2020, depositata l’11 maggio 2020, n. 14260, la prima sezione della Cassazione reputava indispensabile un intervento delle Sezioni Unite per vedere affrontate le seguenti questioni di diritto:

se, in tema di conformità delle condizioni di detenzione all'art. 3 CEDU come interpretato dalla Corte EDU, lo spazio minimo disponibile di tre metri quadrati per ogni detenuto debba essere computato considerando la superficie calpestabile della stanza ovvero quella che assicuri il normale movimento, conseguentemente detraendo gli arredi tutti senza distinzione ovvero solo quelli tendenzialmente fissi;

se, nel caso di accertata violazione dello spazio minimo, secondo il corretto criterio di calcolo, al lordo o al netto dei mobili, possa comunque escludersi la violazione dell’art. 3 della CEDU nel concorso di altre condizioni, come individuate dalla stessa Corte EDU.

Al fine di fornire un corretto inquadramento delle questioni sottese all’ordinanza di rimessione e nelle motivazioni spese dalle Sezioni unite, appare necessario ricostruire brevemente il contesto in cui si inserisce la tematica affrontata dalla sentenza in commento.

Invero, si pone sullo sfondo di tale pronuncia la giurisprudenza della Corte EDU che, in diverse occasioni, è stata chiamata a valutare l’incidenza del sovraffollamento carcerario sulle condizioni detentive, ed in particolare la sua idoneità ad integrare un trattamento inumano e degradante, in contrasto con il divieto di cui all’art. 3 CEDU.

I profili di cui si è occupata la giurisprudenza convenzionale relativa al sovraffollamento carcerario sono essenzialmente due: da un lato, la possibilità di ritenere integrata o meno la violazione dell’art. 3 CEDU in presenza di uno spazio minimo disponibile al di sotto dei tre metri quadri, ovvero la necessità di considerare, insieme a quest’ultimo, l’eventuale ricorrenza di alcuni fattori compensativi; dall’altro, le modalità con cui debba essere calcolato lo spazio che deve essere messo a disposizione di ciascun detenuto.

In un primo momento la Corte EDU non aveva individuato uno specifico dato spaziale, al di sotto del quale si potesse ritenere violato l’art. 3 CEDU, ritenendo piuttosto che l’esiguità dello spazio libero a disposizione di ciascun detenuto dovesse essere valutata insieme ad altri fattori, quali le condizioni igieniche, il rischio di diffusione di malattie, l’insufficiente accesso all’aria e alla luce naturali, servizi igienici all’interno della cella e visibili, etc.

Atteso ciò, con la sentenza Sulejmanovic c. Italia del 2009 la Corte di Strasburgo ha iniziato a ritenere che la presenza di uno spazio inferiore ai tre metri quadri integrasse di per sé una violazione dell’art. 3 CEDU, indipendentemente quindi dall’esistenza o meno di altri fattori, positivi o negativi.

Inoltre, a partire dalla sentenza Ananyev c. Russia del 2012 vengono individuati tre elementi che devono essere presi in considerazione ai fini dell’accertamento della sussistenza di una violazione dell’art. 3 CEDU, ovvero la disponibilità di un letto singolo per il riposo e di uno spazio superiore ai tre metri quadri, nonché la possibilità di libero movimento fra gli arredi.

A fronte di ciò, nella sentenza Torreggiani e altri c. Italia del 2013 si stabilisce che la disponibilità di uno spazio inferiore ai tre metri quadri va considerata di per sé sufficiente ad integrare un trattamento inumano e degradante.

Trattandosi di una sentenza pilota, si attribuiva al nostro legislatore l’onere di predisporre dei rimedi preventivi e compensativi che consentissero di riparare alla lesione della dignità dei detenuti che si trovavano sottoposti a trattamenti inumani e degradanti a causa della condizione di sovraffollamento strutturale del sistema penitenziario italiano, ritenendo a tal fine insufficiente il reclamo di cui all’art. 35 ord. pen.

Pertanto, in ottemperanza alle richieste espresse dalla Corte EDU, il legislatore italiano ha introdotto l’art. 35-bis ord. pen., il quale disciplina il procedimento per il reclamo giurisdizionale, nonché l’art. 35-ter ord. pen., che prevede i rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 CEDU.

Detta ultima norma contempla, tra i presupposti per esperire il rimedio, la sussistenza di condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 CEDU “così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”, per un periodo superiore a 15 giorni. È agevole rilevare come la formulazione della norma vincoli il giudice italiano all’interpretazione della nozione di trattamento inumano e degradante fornita dai giudici di Strasburgo, con la conseguenza che la definizione dei presupposti per accedere al rimedio appare condizionata dai mutamenti della giurisprudenza convenzionale.

In seguito, a partire dalla pronuncia del 2016 della Grande Camera Mursic c. Croazia viene alla luce l’idea che la disponibilità di uno spazio al di sotto della soglia minima determini solo una forte presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU, che potrà essere superata tramite la dimostrazione della contestuale presenza di alcuni fattori compensativi. Nel caso in cui lo spazio sia compreso tra tre e i quattro metri quadri, ai fini della violazione, dovrà invece essere valutata la presenza di ulteriori fattori di inadeguatezza.

Tale sentenza affronta per la prima volta il tema relativo alle modalità per calcolare lo spazio minimo, affermando espressamente che, nel calcolo della superficie totale, non debbano essere ricompresi i sanitari, ma debba essere incluso lo spazio occupato da mobili, aggiungendo inoltre che “l’importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella”.

Pertanto, detta pronuncia, nell’accertamento circa la sussistenza di un trattamento inumano e degradante e della conseguente violazione dell’art. 3 CEDU, sostituisce il criterio quantitativo dei tre metri quadri con una valutazione multifattoriale, in cui entrano in gioco in fattori compensativi.

È in questo composito quadro che si inseriscono i dubbi degli interpreti, su cui sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni unite.

Ebbene, con la sentenza numero 6551/2021, le Sezioni Unite hanno affermato i seguenti principi di diritto: “nella valutazione  dello spazio minimo di tre metri quadrati da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della CEDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello;

i fattori compensativi costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se ricorrono congiuntamente, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati; nel caso di disponibilità di uno spazio individuale fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi, unitamente ad altri di carattere negativo, concorrono nella valutazione unitaria delle condizioni di detenzione richiesta in relazione all’istanza presentata ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen.”

Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Pen., SS.UU., 19 febbraio 2021, n. 6551)

stralcio a cura di Ilaria Romano 

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“1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: "Se, in tema di conformità delle condizioni di detenzione all'art. 3 CEDU come interpretato dalla Corte EDU, lo spazio minimo disponibile di tre metri quadrati per ogni detenuto debba essere computato considerando la superficie calpestabile della stanza ovvero quella che assicuri il normale movimento, conseguentemente detraendo gli arredi tutti senza distinzione ovvero solo quelli tendenzialmente fissi e, in particolare, se, tra questi ultimi, debba essere detratto il solo letto a castello ovvero anche quello singolo”. (…) L’art. 35-ter cit. stabilisce che il pregiudizio menzionato dall'art. 69, comma 6, lett. b) può consistere«in condizioni di detenzione tali da violare l'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretata dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo». Quando sussistono tali condizioni, su istanza presentata dal detenuto, personalmente o tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza, se le condizioni di detenzione subita in violazione dell'art. 3 della CEDU siano proseguite «per un periodo non inferiore ai quindici giorni», dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva da espiare pari, nella durata, a un giorno ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio (art. 35-ter, comma 1, ord. pen.). Se, invece, il periodo di detenzione non conforme all'art. 3 CEDU è stato inferiore a quindici giorni ovvero se il periodo di pena ancora da espiare non permette la detrazione per intero prevista dal primo comma, il magistrato di sorveglianza liquida al detenuto, a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio (comma 2). (…) Tre pronunce (…) avevano adottato il criterio del computo della superficie lorda della cella e argomentato che da essa doveva essere detratta l'area occupata dagli arredi, proprio richiamando i principi espressi dalla sentenza "pilota" della Corte EDU Torreggiani c. Italia già citata. (…) A tale indirizzo interpretativo se ne contrappone un altro (…), secondo cui i letti sono da ritenersi ostativi al libero movimento [continua ..]

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