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Corruzione ed esercizio della discrezionalità amministrativa: l´atto amministrativo non è presupposto del reato ma strumento di cui l´agente si serve

Stefania Barone 

 

“2.2.3. (…) Ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria rileva la violazione dei doveri che attengono al modo, al contenuto, ai tempi degli atti da compiere e delle decisioni da adottare, alla violazione, cioè, della regola "giusta" nel concreto operare della discrezionalità amministrativa.

E' necessario fare riferimento alle regole sottese all'esercizio dell'attività discrezionale e si tratta di verificare se l'interesse pubblico sia stato valutato e, posto che sia stato valutato, se sia stato condizionato dalla "presa in carico" dell'interesse del privato corruttore; nel caso in cui l'interesse pubblico non sia stato condizionato, il fatto integrerà la fattispecie di cui all'art. 318 c.p..

Quello che deve essere verificato, cioè, è se l'interesse perseguito in concreto sia sussumibile nell'interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, se questo sia stato soddisfatto, ovvero se esso sia stato limitato, condizionato, inquinato dalla esigenza di soddisfare gli interessi privati posti a carico con l'accordo corruttivo.

E' possibile che l'atto discrezionale, nonostante l'accordo corruttivo, realizzi l'interesse pubblico e che il comportamento del pubblico ufficiale non abbia violato nessun dovere specifico.

L'atto discrezionale ed il comportamento sottostante sono contrari ai doveri di ufficio nei casi in cui "siano state violate le regole sull'esercizio del potere discrezionale o ne siano stati consapevolmente alterati i fondamentali canoni di esercizio in vantaggio del corruttore".

L'esistenza di un potere discrezionale non basta a far ritenere integrata la fattispecie di corruzione propria che invece sussiste solo ove sia dimostrata la violazione di una delle regole sull'esercizio del corrispondente potere.

E' necessario esaminare la struttura del patto corruttivo, da una parte, per accertare se sia o meno identificabile "a monte" un atto contrario ai doveri di ufficio, e, dall'altro, per verificare la condotta del pubblico agente nei settori che interferiscono con gli interessi del corruttore, per comprendere se il predetto funzionario, al di là del caso di manifeste violazioni di discipline cogenti, di elusione della causa fondativa del potere attribuito, abbia, in conseguenza del patto, fatto o meno buon governo del potere assegnatogli, tenendo conto di tutti i profili valutabili, o se abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore, a fronte di ragionevolmente possibili esiti diversi.”

 

Nota di Stefania Barone

Nel caso in esame un sindaco è stato sottoposto a procedimento penale in relazione ai reati di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) e corruzione propria (art. 319 c.p.).

Secondo l'accusa, l'imputato avrebbe affidato - senza gara e ad un prezzo di aggiudicazione superiore a quanto tradizionalmente sostenuto dal medesimo Comune - il servizio di raccolta rifiuti ad una impresa in cambio di assunzioni, donazioni e sostegno elettorale.

In esito al dibattimento, il Giudice di prime cure ha accertato la responsabilità penale dell'imputato  per i reati allo stesso ascritti, per l'effetto condannando alla pena di giustizia.

Tanto ha confermato la Corte territoriale, adita per il gravame.

L'imputato ha presentato, per il tramite del difensore di fiducia, ricorso per Cassazione, sostenendo, tra i  diversi motivi, la legittimità dell'affidamento disposto che sarebbe avvenuto, nell'esercizio discrezionale dell'Ente, all'unica impresa di zona disposta in quel momento a “prendere in carico” il menzionato servizio, tenuto conto della indisponibilità dell'operatore uscente a proseguirlo (in proroga tecnica, nelle more di una nuova gara).

Con altro motivo, è stata negata la prova dell'utilità percepita dal sindaco in conseguenza del presunto accordo corruttivo.

La Corte di Cassazione così adita, pur annullando la sentenza oggetto di gravame in ragione della maturata prescrizione del reato, ha rigettato i motivi di ricorso, confermando la ricostruzione dell'accordo delittuoso per come operata dai giudici di merito.

Ebbene, la sentenza degli Ermellini in esame risulta particolarmente importante per le considerazioni rese in merito al confine tra i reati di corruzione c.d. propria (art. 319 c.p.) e c.d. impropria (art. 318 c.p.).

A tal fine, la Suprema Corte ha spiegato come entrambe le fattispecie criminose previste dagli artt. 318 e 319 c.p. descrivono il perfezionamento di una pattuizione tra un privato e un soggetto qualificato, il cui oggetto tuttavia deve essere accertato.

Concluso l'accordo, infatti, il reato è perfezionato e non assume rilievo decisivo la sua esecuzione; è l'accordo che si punisce, anche se intervenuto successivamente all'adozione dell'atto - legittimo o illegittimo che sia - ovvero all'esercizio della funzione.

Ciò che accomuna le due fattispecie è il divieto di "presa in carico" di interessi differenti da quelli che la legge persegue attraverso il pubblico agente.

Tuttavia, nella corruzione propria detta presa in carico riguarda e si manifesta con il compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio, invece nella corruzione impropria l'interesse pubblico non viene condizionato dall'accordo corruttivo.

I delitti di corruzione puniscono, quindi, il c.d. collateralismo clientelare o mercantile.

Non importa che l'atto specifico sia successivamente compiuto, quanto, piuttosto, la esatta ricostruzione del contenuto del programma obbligatorio che il pubblico ufficiale assume.

Si tratta di un accertamento che, sotto il profilo probatorio, non può che dover essere compiuto caso per caso.

Più precisamente - secondo i Giudici del Supremo Collegio - è necessario esaminare la struttura del patto corruttivo.

Da una parte per accertare se sia o meno identificabile “ab origine” un atto corruttivo ai doveri d'ufficio; dall'altro, per verificare la condotta del pubblico agente nei settori che interferiscono con gli interessi del corruttore, nell'ottica di comprendere se il predetto funzionario, al di là del casi di manifeste violazioni di discipline cogenti, di elusione della causa fondativa del potere attribuito, abbia - in conseguenza ovvero in esecuzione del patto - fatto o meno “buon governo” del potere (anche discrezionale) lui affidato, tenendo conto di tutti i profili valutabili, oppure se abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore, a fronte di esiti ragionevolmente diversi.

L'atto amministrativo, allora, non costituisce un presupposto del reato, ma è lo strumento di cui l'agente si serve per commettere il reato; l'atto viene in considerazione al fine della verifica del comportamento, della condotta che integra il reato.

In altri termini, spiega la Corte, non è l'atto a dover essere sindacato dal giudice penale ai fini della verifica della sussistenza del reato di corruzione propria, ma la condotta dell'agente, e cioè come il pubblico ufficiale si sia posto rispetto alla funzione pubblica di cui è titolare e cosa abbia fatto in concreto per "giungere" all'atto.

Pertanto, l'esistenza di un potere discrezionale non è sufficiente, in sé, ad assumere integrata la fattispecie (più grave) di corruzione propria. Quest'ultima, invece, sussiste solo ove sia dimostrata la violazione di una delle regole sull'esercizio del corrispondente potere.

Quanto, poi, all'utilità da riferire al pubblico agente, i Giudici hanno ribadito un orientamento, invero, ormai cristallino: la nozione di «altra utilità», quale oggetto della dazione o promessa, ricomprende qualsiasi vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico ufficiale o per un terzo.

In questo concetto, come ormai noto, rientrano anche i benefici leciti che, nondimeno, assumono rilevanza penale nel caso in cui si inseriscano in una relazione sinallagmatica di tipo finalistico - strumentale o causale rispetto all'esercizio dei poteri o della funzione ovvero al compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio.

Alla stregua di tutte le argomentazioni che precedono, è possibile ricavare dalla sentenza in commento il seguente principio di diritto: “Ai fini dell'integrazione del reato di corruzione propria non è sufficiente l'adozione di un atto discrezionale a fronte di una indebita utilità promessa/percepita del pubblico agente, dovendo essere accertato se l'interesse perseguito in concreto sia sussumibile nell'interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere ovvero se quest'ultimo sia stato limitato, condizionato, inquinato dalla esigenza di soddisfare gli interessi privati posti a carico dell'accordo corruttivo”.

In conclusione, dunque, gli Ermellini individuano un rapporto di sussidiarietà tra le due fattispecie delittuose in commento, nel senso che una volta accertato l'asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato – ipotesi che integra la fattispecie di cui all'art. 318 c.p. - il ricorso alla più grave fattispecie di cui all'art. 319 c.p. richiederà l'individuazione di un atto in senso formale contrario ai doveri d'ufficio quale oggetto dell'accordo corruttivo.

Argomento: Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 30 aprile 2021, n. 35927)

Stralcio a cura di Ilaria Romano

“2.2. (…) Entrambe le fattispecie criminose previste dagli artt. 318 - 319 cod. pen. descrivono il perfezionamento di una pattuizione tra un privato e un soggetto qualificato, il cui oggetto tuttavia deve essere accertato.Concluso l'accordo, il reato è perfezionato e non assume rilievo decisivo la sua esecuzione; è l'accordo che si punisce, anche se intervenuto successivamente all'adozione dell'atto- legittimo o illegittimo che sia - ovvero all'esercizio della funzione.Ciò che accomuna le due fattispecie è il divieto di "presa in carico" d’interessi differenti da quelli che la legge persegue attraverso il pubblico agente; nella corruzione propria detta presa in carico riguarda e si manifesta con il compimento di un atto contrario. I delitti di corruzione puniscono il collateralismo clientelare o mercantile.2.2.1. (…) È possibile che il patto corruttivo sia solo apparentemente muto, ma in realtà il suo oggetto sia ricostruibile nel senso che l'impegno da parte del pubblico ufficiale sia quello di compiere uno o più specifici atti contrari ai doveri d'ufficio; non importa che l’atto specifico sia successivamente compiuto, quanto, piuttosto, la esatta ricostruzione del contenuto del programma obbligatorio che il pubblico ufficiale assume.Si tratta di un accertamento che, sotto il profilo probatorio, deve essere compiuto caso per caso: potranno assumere rilievo la situazione concreta, le aspettative specifiche del corruttore- cioè il movente della condotta del corruttore il senso ed il tempo della pretesa di questi, la condotta in concreto compiuta dal pubblico agente, le modalità della corresponsione del prezzo.Deve essere accertato il "colore" del patto corruttivo, il suo oggetto specifico, la sua riferibilità o meno al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio; se il contenuto del patto non attiene al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio, la condotta è riconducibile all'art. 318 cod. pen.Le considerazioni esposte assumono una maggiore complessità in tutti i casi in cui oggetto del mercimonio sia l'attività amministrativa discrezionale, cioè un'attività in cui la norma attributiva del potere consente all'amministrazione un ampio ambito di possibilità di azione.2.2.2. Il tema del rapporto tra esercizio della discrezionalità amministrativa e corruzione involge l'interpretazione del [continua ..]

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