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In caso di trasformazione, la norma dell'art. 10 trova comunque applicazione nei confronti dell'ente originario

Vito Forte

 

 

Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte, sulla scorta di quanto affermato in tema di fallibilità di società di capitali trasformate in comunione d’azienda[1] ovvero in società semplici[2], ha sancito l’applicabilità dell’art. 10 l. fall. nei confronti di una società di capitali già trasformata in associazione non riconosciuta.

Il percorso, che ha portato al provvedimento de quo, origina dall’avvenuta trasformazione eterogenea di una S.r.l. in liquidazione in associazione sportiva dilettantistica, in assenza di opposizione da parte di uno dei suoi creditori privilegiati, che, invero, vedeva accolta la propria istanza di fallimento nei confronti della società, ad opera del Tribunale di Napoli, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 10 l. fall. Avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, l’associazione proponeva dapprima reclamo ex art. 18 l. fall. alla Corte di appello di Napoli e successivamente, atteso il rigetto del predetto, da parte della Corte partenopea, ricorso per cassazione; in particolare, adducendo che l’ipotesi di cancellazione della società dal registro delle imprese, dovuta alla cessazione dell’attività imprenditoriale, avrebbe dovuto considerarsi una vicenda assai diversa dalla cancellazione della medesima a seguito di trasformazione, in relazione a cui, l’art. 10 l. fall., non avrebbe potuto trovare applicazione. In quest’ultimo caso, infatti, la sentenza dichiarativa di fallimento, a parere della ricorrente, avrebbe dovuto interessare soltanto l’ente risultante dalla trasformazione (ove fallibile), in qualità di soggetto subentrante all’ente originario in tutti i suoi rapporti sostanziali e processuali (v. art. 2498 c.c.).

 La Cassazione, anche alla luce di un’interpretazione sistematica dell’art. 10 l. fall. (v. artt. 2500 quinquies c.c. e 147 l. fall.), ha precisato che la trasformazione eterogenea non ha la forza di mutare retroattivamente il regime di responsabilità relativo alla struttura precedente al compimento dell’operazione - con la conseguenza che “i creditori di titolo anteriore al verificarsi della trasformazione si avvantaggiano del regime di responsabilità che è proprio di tale struttura” - nonché di “purgare una situazione di dichiarabile fallimento dell’ente originario”. Tale fenomeno, dunque, non può inquadrarsi quale causa di sottrazione dell’ente originario, cancellato dal registro delle imprese, dalla soggezione alle procedure concorsuali, che, tuttavia, dovrebbe essere espressamente prevista dalla normativa vigente in materia. La Suprema Corte ha altresì affermato che il diverso “titolo” per cui avviene la cancellazione non comporta l’applicabilità di una differente disciplina, con la conseguenza che l’ente originario fallibile ex art. 10 l. fall. debba “ritenersi “esistente” sotto questo peculiare profilo – allo stesso modo, e negli stessi termini, di una qualunque società cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno susseguente per il riscontro della relativa fictio iuris”.

Ne deriva che i creditori anteriori alla trasformazione eterogenea, anche se non hanno presentato opposizione ex art. 2500 novies c.c. - strumento di tutela a beneficio della singola posizione creditoria, basato sull’esigenza di assicurare la conservazione della garanzia di cui all’art. 2740 c.c.– [3] debbono ritenersi comunque legittimati a proporre, al ricorrerne dei presupposti, istanza di fallimento dell’ente originario, entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla stessa ovvero entro l’anno successivo (art. 10 l. fall.).

L’opposizione ex art. 2500 novies c.c. non rappresenta un meccanismo di tutela sostitutivo rispetto a quello offerto dal combinato disposto degli artt. 6 e 10 l. fall. (se così fosse, ciò comporterebbe un radicale arretramento della tutela offerta ai creditori, di dubbia legittimità costituzionale), bensì aggiuntivo al predetto.

La mancata opposizione alla trasformazione, da parte dei creditori della società originaria, non può considerarsi, quindi, rappresentativa di una volontà abdicativa all’esercizio dell’istanza di fallimento: i due meccanismi di tutela in oggetto presentano una diversa ratio e differenti presupposti, sebbene entrambi risultano esperibili dai medesimi soggetti.

Ma viepiù. La fallibilità dell’ente originario ex art. 10 l. fall. non implica la caducazione degli effetti dell’avvenuta trasformazione eterogenea, che, in assenza di opposizione nei termini di legge, da parte dei creditori, deve considerarsi valida ed efficace, nonché opponibile ai terzi.

Il termine annuale, sancito dalla cennata norma per la dichiarazione di fallimento, da computarsi sulla base dell’art. 22, ult. co., l. fall., non opera quale termine di prescrizione o decadenza, ma costituisce un limite oggettivo alla stessa dichiarazione,[4] che pone a carico del creditore istante il rischio della durata del procedimento.

L’istanza per la dichiarazione di fallimento dell’ente originario, presentata dal creditore, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo, di converso, a tal fine sufficiente un accertamento incidenter tantum da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante.

Orbene, la sentenza in esame offre certamente una lettura condivisibile in ordine alla fallibilità della società sottoposta a trasformazione eterogenea, in particolare nell’ottica di evitare l’intenzionale sottrazione della medesima alla dichiarazione di fallimento, per esigenze diverse da quelle che dovrebbero presiedere a detto fenomeno; tuttavia, non offre spunti argomentativi per districare un possibile nodo problematico da essa derivante: l’eventuale conflitto che potrebbe ingenerarsi tra i creditori concorsuali della fallita, cancellata dal registro delle imprese, e quelli posteriori alla trasformazione, poiché questi ultimi, attesa la stabilizzazione degli effetti derivante dall’avvenuto compimento dell’operazione, non sono legittimati ad insinuarsi allo stato passivo dell’ente originario. Problematica che potrebbe risolversi nell’ipotesi in cui anche il nuovo ente post-trasformazione risulti fallibile (e fallito), conducendo, però, in tal caso ad un fenomeno di duplicazione delle domande d’insinuazione al passivo.[5] Sul punto, occorre precisare che le domande dei creditori ante e post trasformazione risulterebbero esperite sì nei confronti, rispettivamente, dei due enti falliti, ma in relazione de facto ad un unico patrimonio, poiché, com’è noto, l’operazione di trasformazione configura una vicenda evolutivo-modificativa dell’ente originario, non determinando l’estinzione di quest’ultimo e la creazione di un nuovo soggetto di diritto.[6] L’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, dell’ente originario, in quanto la trasformazione comporta unicamente una variazione della sua struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti sostanziali e processuali facenti capo all’originaria organizzazione societaria (v. art. 2498 c.c.).

Le peculiari problematiche sopra evidenziate rappresentano solo alcuni dei molteplici riflessi applicativi dell’art. 10 l. fall. alle società, cancellate dal registro delle imprese, già sottoposte a trasformazione eterogenea, che, invero, non trovano, nella sentenza in commento, neppure un principio di soluzione.

 

[1] Cfr. M. Sarale, Società cancellate – fallimento – società cancellate dal registro delle imprese a seguito di operazioni straordinarie e art. 10 l. fall., in Giur. It., 2021, 2, 352, nota a Cass. civ., 22 ottobre 2020, n. 23174.

[2] Cfr. Cass. civ. 29 maggio 2020, n. 10302, in Società, 2020, 12, 1319, con nota di Bonavera.

[3] Cfr. P. P. Ferraro, La tutela dei creditori nella trasformazione eterogenea, in Notariato, 2011, 5, 566.

[4] Cfr. Cass. civ. 28 marzo 1969, n. 998.

[5] Così G. Fauceglia, Riflessioni sul fallimento della società trasformata in associazione sportiva dilettantistica, in Società, 2021, 4, 387.

[6] Cfr. Cass. civ. 26 gennaio 2000, n. 851, in Mass. Giur. It., 2000.

Argomento: Diritto societario
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1519)

stralcio a cura di Fabrizia Rumma

"21.- Secondo la tesi svolta la ricorrente, la mancata di opposizione da parte dei creditori anteriori all'operazione verrebbe a consolidare la trasformazione, così rendendola "irreversibile" e "intangibile" (cfr. sopra, nel n. 9). Neppure quest'opinione, però, risulta in qualche modo condivisibile. Che essa assume a suo presupposto necessario il fatto che l'ente uscito dalla trasformazione "succeda" nei rapporti prima esistenti con l'ente originario. Ma questo aspetto - si è ampiamente visto sopra - rimane del tutto estraneo alla tematica della fallibilità dell'ente originario. Nè, d'altro canto, predicare la fallibilità dell'ente originario viene di per sè a implicare una qualche "caducazione" dell'avvenuta trasformazione. 22.- A conclusione dell'analisi del primo motivo di ricorso, vanno dunque espressi i seguenti principi di diritto. L'istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss., ricomprendendo in sè una congerie di figure diverse e anche molto dissimili tra loro, non si presta a una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre. I creditori di titolo anteriore alla cancellazione dell'"ente originario" si avvantaggiano del regime di responsabilità proprio della relativa struttura. A tale regime rimane ancorata, di conseguenza, la fallibilità dell'"ente originario", che l'intervenuta trasformazione non è idonea a impedire. In caso di trasformazione, la norma dell'art. 10 trova comunque applicazione nei confronti dell'"ente originario". La soggettività fallimentare di questo ente non è diversa da quella che viene riconosciuta a una qualunque società cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell'anno successivo. Lo strumento di tutela dei creditori dato dall'opposizione, che è previsto dalla legge in relazione alle operazioni di trasformazione, non può in alcun modo considerarsi sostitutivo di quello rappresentato dal fallimento, posto che, per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione, appronta una tutela di intensità sensibilmente inferiore. 23.- Col secondo motivo, il ricorrente afferma che, in ogni caso, non può ritenersi valida la notifica effettuata alla vecchia sede legale della società: questa andava eseguita presso la sede legale dell'ente uscito dalla trasformazione. 24.- Il motivo [continua ..]

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