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Contratto di compravendita di cose: l'onere della prova del danno da ritardo è a carico dell´acquirente.

Cecilia De Luca

 

Con l’ordinanza in commento viene affrontata la questione relativa al riparto dell’onere probatorio in materia di responsabilità contrattuale per danno da ritardato adempimento ad opera del venditore nella consegna della merce.
Il caso in commento trae origine dalla richiesta di risarcimento dei danni derivanti dalla ritardata consegna di gasolio, ossia dall’inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul venditore-debitore, in virtù di due distinti contratti aventi ad oggetto la vendita del carburante per 30.000 tonnellate.
All’esito dell’istruttoria documentale e testimoniale era emerso che il venditore aveva correttamente adempiuto all’obbligazione, di fornire l’atto di nomina della nave destinata a ricevere il carico, le istruzioni documentarie e la destinazione, prodromica rispetto all’assolvimento dell’obbligo di consegna da parte del medesimo, ma solo con otto giorni di ritardo rispetto ai tempi fissati.
Sulla base di ciò il giudice di primo grado rigettava la domanda relativa al risarcimento del danno da ritardo nell’adempimento delle obbligazioni assunte, ad opera del venditore, in quanto si trattava di danno “da ritardato adempimento” e non da risoluzione per grave inadempimento e, dunque, non era applicabile l’art. 1518 c.c., invocato dall’attrice bensì l’art. 1223 c.c., con onere per la parte inadempiente della prova dell’effettività del pregiudizio subito.
Avverso la suddetta decisione veniva interposto appello: il giudice del gravame confermava il motivo relativo alla non applicabilità dell’art. 1518 c.c., bensì dell’art. 1223 c.c..
L’art. 1518 è collocato nella sezione, del Titolo III del Libro IV del Codice civile, relativa alla “vendita di cose mobili”, la quale dedica una peculiare disciplina relativa al “contratto di compravendita” avente ad oggetto beni della suddetta natura. Il bene mobile in questione è il gasolio, ossia la merce il cui valore di mercato si era deprezzato a causa del presunto ritardo.
Trattandosi di un bene rientrante nell’elenco di cui all’art. 1515, comma terzo, c.c. si è prospettata l’ipotesi dell’applicazione dell’art. 1518 c.c., relativo alla risoluzione per inadempimento, il quale fornisce un criterio logico-giuridico applicabile anche per la determinazione dei danni da inesatto adempimento.
Inoltre, proprio l’art. 1515, nel comma terzo, c.c., pone una presunzione legale di danno, dispensando la parte inadempiente dall’onere della prova, stabilendo un meccanismo automatico di determinazione del danno provocato dall’inadempimento di una delle parti.
La suddetta ipotesi di responsabilità contrattuale, che segue all’inadempimento delle obbligazioni che derivano dal contratto di vendita, configura una fattispecie di responsabilità “speciale”, che diverge da quella ordinaria disciplinata dalle disposizioni generali sul contratto e sulle obbligazioni, ex artt. 1218 ss. e 1453 ss. c.c.: questo ordine di disposizioni, che introduce forme di responsabilità speciale, prevede particolari mezzi di tutela contro l’inadempimento dell’obbligazione di consegna della cosa o di pagamento del prezzo, per i quali è prevista una disciplina che devia da quella di diritto comune riguardo ai profili procedimentali – poiché i mezzi di tutela in esame, il più delle volte, concretano forme di autotutela – alle condizioni necessarie per la loro attivazione, agli effetti e ai congegni attraverso i quali gli strumenti di tutelano trovano attuazione.
In particolare, la “vendita in danno” è un originale strumento di “rapida tutela” della parte contro l’inadempimento nella vendita immobiliare, disciplinato dagli artt. 1515 e 1516 c.c. .
Un ulteriore strumento di speciale tutela è rappresentato dall’azione che l’art. 1519 c.c.: il rimedio in esame – che veniva chiamato sotto il Codice civile del 1865 “rivendicazione del venditore”, ex art. 1513 c.c. – concreta una speciale azione recuperatoria del possesso della cosa, la quale non è diretta né a risolvere il rapporto di vendita, né a determinare un ritorno della proprietà in capo al venditore, ed è opponibile ai terzi, salvi i limiti indicati nella medesima disposizione.
Proprio sulla base di questo quadro, sinteticamente, ricostruito a livello dottrinale, la Corte d’Appello di Genova ha ritenuto infondata la censura relativa all’art. 1518 c.c., reputatosi violato dalla ricorrente: la suddetta disposizione è norma di carattere eccezionale, poiché, contenendo un criterio di liquidazione del danno da inadempimento delle obbligazioni nascenti dalla compravendita di cose che abbiano un prezzo corrente e dispensando la parte adempiente dall’onere della prova del pregiudizio subito, deroga ai normali criteri di liquidazione del danno, ex art. 1223 c.c., ed è, dunque, applicabile esclusivamente alle merci ricomprese nell’elenco di cui all’art. 1515 c.c., al quale esso rinvia, e solo in caso di risoluzione contrattuale per inadempimento, e non per ritardata consegna della merce.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha preso in considerazione il tema della sussistenza o meno della prova del danno da perdita di chance o lucro cessante, ritenuto, già dal giudice di primo grado, non dimostrato poiché non si era provato che il prezzo di rivendita del gasolio era stato contrattato a condizioni peggiorative in conseguenza del ritardo o di aver perduto occasioni di vendita immediata.
Ben si sa che il risarcimento assolve la funzione di compensare la parte non inadempiente del danno subito a seguito dell’inadempimento dell’altra.
La disciplina del risarcimento è ispirata al principio della riparazione integrale del danno, desumibile dall’art. 1223 c.c., il quale indica una prospettiva tendenziale dell’ordinamento, che viene attuata sul piano concreto attraverso meccanismi che consentono di individuare il danno risarcibile, secondo una logica distributivo-allocativa, i quali si basano sui criteri della certezza, della prevedibilità e dell’evitabilità del danno e del concorso di colpa del creditore danneggiato.
Le componenti del danno risarcibile sono individuate nel: danno emergente, che si ha se l’inadempimento sottrae al creditore utilità già entrate nel suo patrimonio; nel lucro cessante, o mancato guadagno, che si ha se l’inadempimento preclude la possibilità di acquistare nuovi elementi di utilità.
La distinzione tra la voce del danno emergente e quella del lucro cessante opera su un piano giuridico più che economico, considerato che, da un punto di vista squisitamente economico, sono entrambe interamente risarcibili, ma assume rilevanza sul piano dell’onere della prova. Per il creditore, infatti, è più agevole provare il danno emergente: essendo quest’ultimo una posta attiva del patrimonio del soggetto, è sufficiente dimostrarne l’attualità e la sua conseguente lesione. Al contrario, è più difficoltosa la prova del lucro cessante: il creditore è costretto a provare il mancato guadagno che gli sarebbe potuto derivare da quella determinata operazione economica ove la prestazione fosse stata eseguita.
La distinzione tra danno emergente e lucro cessante tende a sfumare quando il risarcimento del danno si incentra sulla chance, cioè sulla perdita di una “buona probabilità di riuscita”. La chance, dal latino “cadentia”, che evoca il lasciar cadere dei dadi, è un bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto, la cui lesione configura una perdita, pari all’incremento patrimoniale netto che il creditore avrebbe conseguito con l’utilizzazione della prestazione inadempiuta.
Con l’espressione “danno da perdita di chance” si designa quel particolare pregiudizio patrimoniale che consiste nello sfumare di utilità che si atteggiano come possibilità, opportunità, occasioni. Il problema fondamentale del danno da perdita di chance è la sua risarcibilità: qualsiasi pregiudizio, per essere risarcibile, deve essere certo, od almeno ragionevolmente prevedibile secondo le facoltà umane, mentre un danno soltanto eventuale, per definizione, non costituisce un danno risarcibile.
La giurisprudenza, in merito, ha offerto differenti prospettive: parte di essa configura la chance come un bene suscettibile di valutazione patrimoniale in sé e per sé e considera la perdita di chance come un’ipotesi di danno emergente, un danno certo, quindi, non eventuale – la c.d. teoria ontologica; un diverso orientamento della medesima, invece, assimila l’ipotesi della perdita di chance al lucro cessante e ne ammette la risarcibilità soltanto quando l’occasione perduta si presenta, se valutata con prognosi postuma, assistita da considerevoli possibilità di successo – la c.d. teoria eziologica.
Per quanto concerne l’onere della prova del danno, in materia di responsabilità contrattuale, esso incombe sul danneggiato. Al riguardo trova applicazione la regola generale secondo la quale chi vuol fare valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, ex art. 2697 c.c. .
Per assolvere il suo onere probatorio il danneggiato deve allora dimostrare gli elementi costitutivi del danno sofferto, sia per quanto attiene agli eventi lesivi sia per quanto attiene agli effetti economici negativi.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto che la ricorrente non abbia provato la perdita di “chance” per aver venduto il gasolio ad un prezzo inferiore rispetto a quello che avrebbe potuto ottenere in caso di consegna tempestiva.
Le censure, dunque, si risolvono in una richiesta di valutazione in fatto della vicenda al fine di ritenere provato il danno da lucro cessante.
In conclusione, il principio di diritto enucleato è stato il seguente: “Nel contratto di vendita, fuori dei casi di cui all’art. 1518 c.c., in caso di ritardo da parte del venditore nella consegna della merce è onere dell’acquirente provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per la perdita di valore del bene ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice di merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni, anche sulla base di elementi indiziari allegato dallo stesso danneggiato”.

Argomento: Del contratto di compravendita
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. II, 6 aprile 2022, n.11126)

stralcio a cura di Carla Bochicchio

"(…)Il collegio, infatti, intende ribadire il seguente principio di diritto: l'art. 1518 c.c., contiene un criterio per la liquidazione del danno da inadempimento delle obbligazioni nascenti dalla compravendita di cose che abbiano un prezzo corrente, a norma dell'art. 1515 c.c., comma 3, dispensando la parte adempiente dall'onere della prova del pregiudizio subito. Detta norma ha carattere eccezionale perché deroga ai normali criteri di liquidazione del danno ex art. 1223 c.c., ai quali, pertanto, deve farsi ricorso quando la cosa compravenduta non sia sussumibile nell'elenco di quelle indicate dall'art. 1515, comma 3, al quale l'art. 1518 rinvia o quando non vi sia stata risoluzione del contratto ma solo ritardata consegna della  merce (…). (…) Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nel contratto di vendita, fuori dei casi di cui all'art. 1518 c.c., in caso di ritardo da parte del venditore nella consegna della merce è onere dell'acquirente provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per la perdita di valore del bene ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni, anche sulla base di elementi indiziari allegati dallo stesso danneggiato (…)"  

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