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Il ripianamento di debito a mezzo di nuovo credito non integra gli estremi del contratto di mutuo

Anna Pani

 

 

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema, invero molto dibattuto, dei mutui concessi dalle banche per rifinanziare uno scoperto di conto corrente, con conseguente trasformazione di un credito sino ad allora chirografario in ipotecario.

La vicenda trae origine dal fallimento di una società e dalla richiesta di insinuazione al passivo della banca in prelazione ipotecaria in ragione di un credito derivante dalla concessione di un mutuo, richiesta alla quale si era opposto il curatore fallimentare osservando come, nel caso di specie, nonostante in contratto fosse indicata la destinazione della somma a investimenti immobiliari “l’importo mutuato è servito semplicemente a coprire un precedente scoperto di conto corrente chirografario senza creare una provvista autonomamente utilizzabile e così trasformando un debito chirografario in debito privilegiato in epoca in cui erano già presenti in contabilità debiti concorsuali”, con conseguente nullità del negozio per mancanza di causa e delle ipoteche iscritte contestualmente ad esso, il tutto in frode alle ragioni dei creditori.

In accoglimento di dette argomentazioni, il giudice delegato escludeva dunque il credito dal passivo ed avverso tale pronuncia insorgeva la Banca: il Tribunale, in parziale accoglimento dell’opposizione spiegata dichiarava la nullità l’ipoteca ex art. 1418 c.c. rilevando che, nonostante il mutuo fosse finalizzato ad un investimento immobiliare, nella realtà lo stesso aveva come unico scopo quello di estinguere una pregressa esposizione debitoria, e quanto al “nuovo finanziamento a lungo termine” statuiva che le parti “non hanno simulato un mutuo non voluto, ma soltanto hanno simulato l’ipoteca” di tal che l’operazione posta in essere poteva configurarsi quale “trasformazione di uno scoperto di conto corrente in un debito a lungo termine” senza frode ai creditori, atta a provocarne la revoca.

Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per Cassazione la Banca, mentre il Fallimento resisteva e presentava ricorso incidentale condizionato e non condizionato.

La ricorrente lamentava, in particolar modo, l’erronea qualificazione del mutuo in questione quale “mutuo di scopo” destinato -sulla carta- a finanziare un investimento immobiliare, dalla quale il Tribunale ne ha fatto discendere la sola nullità dell’ipoteca concessa, che invero è ius in rea alia accessorio rispetto al credito garantito, e non anche la nullità dell’intera operazione posta in essere, come pure rileva il Fallimento nel primo motivo di ricorso incidentale condizionato.

Poste le premesse, gli Ermellini ritengono di doversi esprimere in primis sulla qualificazione giuridica del negozio contrattuale, giungendo a censurare l’operato del giudice di prime cure, il quale nel ricomprendere la fattispecie nell’alveo del mutuo di scopo, ha disatteso i principi più volte espressi dalla stessa Corte, la quale ha ribadito che il mutuo di scopo, nella sua variante convenzionale, richiede “ un interesse ( non solo del mutuatario, ma anche) proprio della persona del mutuante” ( ex multis Cass. 18 giugno 2018, n. 15929), per cui “la mera enunciazione, nel testo contrattuale, di una data destinazione delle erogante somme non indica che la stessa ha carattere vincolante e anzi esclusiva: come per contro pretende, in sé stessa, la figura del mutuo di scopo”.

Nel mutuo di scopo convenzionale, dunque, “il mancato perseguimento dello scopo da parte del mutuatario non è destinato ad incidere sulla validità della fattispecie negoziale, ma sull’esplicazione del sinallagma funzionale” con la conseguenza che il contratto sarà certamente risolvibile per inadempimento del mutuatario, a iniziativa del mutuante.

Si tratta ora di valutare se l’operazione posta in essere possa essere ricondotta all’interno della figura del contratto di mutuo, la cui struttura implica, come noto, la consegna delle somme di denaro che ne costituiscono l’oggetto.

La conclusione cui giungono gli Ermellini, discostandosi dall’orientamento nomofilattico più risalente ed invero maggioritario (un precedente si rinviene in Cass. 12 gennaio 1968 n. 76 a mente della quale “ non può ravvisarsi tradizione simbolica di una somma di denaro nella semplice sua annotazione in un conto corrente bancario, in quanto con tale annotazione la proprietà del denaro permane pur sempre presso la banca e passa all’accreditato unicamente il potere di disporre del loro valore, con la conseguenza che l’accreditato, mentre ha il vantaggio di disporre del denaro come se fosse in sue mani, per la sicurezza che gli proviene dalla qualità di accreditante, non deve sopportare nessuno dei rischi che il passaggio della proprietà necessariamente comporta”) nega che la fattispecie in oggetto possa configurare un’operazione di mutuo, argomentando che “per quanto possa essere realizzata anche a mezzo di forme assai rarefarre, comunque la traditio deve, per essere tale, realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario: farle muovere dal patrimonio dell’uno al patrimonio dell’altro, più precisamente. Appare chiaro, in effetti, che, senza il compimento di un simile passaggio -senza, dunque, il conseguente trasferimento della proprietà delle somme (art. 1814 cod. civ.), con la connessa, acquisita loro disponibilità ex art. 832 cod. civ.-, non potrebbe neppure ipotizzarsi, in ogni caso, la sussistenza dell’obbligo di restituzione che la parte finale della norma dell’art. 1813 cod. civ. pone in capo al mutuatario” (cfr. Cass. 5 agosto 2019 n. 20896).

Orbene, il finanziamento concesso ed utilizzato per ripianare uno scoperto di conto corrente, mediante accredito delle somme, sostanziandosi in una operazione meramente contabile, ha come prima conseguenza un’automatica modifica del saldo ex art. 1852 c.c., che preclude in quanto tale qualsiasi possibilità di utilizzazione delle somme da parte del mutuatario, ed infine comporta una dilazione nel tempo dell’esigibilità del pregresso debito.

Le uniche somme, a parere della Corte, per le quali possa configurarsi una operazione di mutuo sono dunque quelle in esubero rispetto all’entità del debito nel momento in cui viene contabilizzata la posta attiva.

In conclusione, coerentemente con i principi già espressi da Cass. 5 agosto 2019 n. 20896, la Corte ha enunciato il principio di diritto per cui “ l’operazione di ripianamento di un debito a mezzo di un nuovo “credito”, che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell’obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus” un accordo che, per essere idoneo a supportare una domanda di ammissione al passivo fallimentare, necessita di un riferimento al titolo da cui origina l’erogazione delle somme, nel caso di specie l’esposizione debitoria del conto corrente.

La sentenza, innovando l’impostazione tradizionale che ritiene l’accredito mediante annotazione contabile quale equipollente della traditio rei, essendo sufficiente, ai fini del perfezionamento del contratto di mutuo, il conseguimento della disponibilità giuridica delle somme da parte del mutuatario, rivela un contrasto giurisprudenziale destinato certamente ad essere rimesso alle Sezioni Unite.

Argomento: Diritto bancario
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1517)

stralcio a cura di Fabrizia Rumma

"(...) 20.- Lungi dal realizzare spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il "ripianamento" di un debito a mezzo di nuovo "credito" - che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente - viene propriamente a sostanziare un'operazione di natura contabile. Con una coppia di poste nel conto corrente - una in "dare", l'altra in "avere" - per l'appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione. In una tale evenienza, in effetti, l'accordo tra banca e cliente esclude la stessa eventualità di consegna e trasferimento di proprietà delle somme: la posta compiuta "in dare" sul conto comporta - ai sensi e per gli effetti dell'art. 1852 c.c. - un'automatica e immediata modifica del saldo ex art. 1852 c.c.: così precludendo ogni possibile ed eventuale sua utilizzabilità da parte del cliente, ma non eliminando la sostanza del debito. 21.- Ciò posto, è appena il caso di precisare che il carattere contabile dell'operazione in discorso si misura precisamente sull'entità del debito del cliente, che è raffigurata sul conto nel momento in cui sopravviene la posta attiva. Se quest'ultima risulta di montante superiore al debito del cliente in essere sul conto, per la parte del supero l'operazione ben può allora venire a iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo.(...) A conclusione dell'analisi relativa agli indicati motivi vanno dunque enunciati i seguenti principi di diritto. La mera enunciazione, nel testo contrattuale, che il mutuatario utilizzerà la somma erogatagli per lo svolgimento di una data attività o per il perseguimento di un dato risultato non è per sè idonea a integrare gli estremi del mutuo di scopo convenzionale, per il cui inveramento occorre, di contro, che lo svolgimento dell'attività dedotta o il risultato perseguito siano nel concreto rispondenti a uno specifico e diretto interesse anche proprio della persona del mutuante, che vincoli l'utilizzo delle somme erogate alla relativa destinazione". "Nel caso di mutuo di scopo convenzionale, il punto del necessario rispetto della destinazione delle somme erogate all'effettivo conseguimento dello scopo prefissato è assicurato sul piano dello svolgimento del sinallagma funzionale del rapporto, con la conseguenza che all'inadempimento del mutuatario [continua ..]

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