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Risarcimento del danno da fatto illecito: gli interessi non sono automaticamente dovuti

Roberto Landi

 

 

La pronuncia in esame si innesta sulla violazione dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. da parte dell’azienda datrice di lavoro – riconosciuto in ambedue i precedenti gradi di merito –,  per aver tardivamente provveduto sulla legittima istanza della lavoratrice di essere esonerata da specifiche e circoscritte attività, in ragione delle patologie di cui era affetta.

La ricorrente denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. (nonché omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.), contestando la C.T.U. per la stima del danno asseritamente riduttiva e la Corte territoriale per non aver operato un’adeguata personalizzazione.

Il leitmotiv della decisione di ultima istanza concerne il risarcimento del danno derivante da fatto illecito, segnatamente il profilo relativo all’an e al quantum dei correlati interessi.

Suddetto risarcimento costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria[1]; ne consegue che il giudice di merito può procedere alla liquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore.

La predetta liquidazione può avvenire mediante riconoscimento degli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, ammettendosi quali parametri di valutazione il  tasso medio di svalutazione monetaria ovvero la redditività media del denaro nel periodo considerato, o ancora applicando, dalla data in cui si è prodotto il nocumento fino a quella della liquidazione, un saggio equitativo d’interessi sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all’epoca dell’illecito ovvero sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno[2].

Peraltro, oltre alla rivalutazione, possono essere sì liquidati gli interessi compensativi, ma la determinazione non è automatica, né presunta iuris et de iure, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento, analogamente a quanto richiesto, sul piano probatorio, per la dimostrazione del maggior danno nelle obbligazioni di valuta, ma secondo criteri differenti[3]; successivamente, sull’importo costituito dalla sommatoria di capitale e accessori maturano interessi al saggio legale, ai sensi dell’art. 1282 c.c., comma 1.

L’obbligazione risarcitoria da fatto illecito costituisce un tipico debito di valore e, pertanto, sulla relativa posta sono dovuti gli interessi legali al saggio legale ex artt. 1282 e 1284, primo comma, c.c., nonché la rivalutazione monetaria[4], dalla data del fatto generatore del risarcimento al saldo.

Laddove, tuttavia, la somma capitale risulti già quantificata all’attualità, nonché in ragione della difficoltà di procedere alla devalutazione, gli interessi possono essere calcolati sulla somma rivalutata in toto, ma da un momento intermedio tra il fatto e la sentenza[5].

È ipotizzabile, nondimeno, che la rivalutazione monetaria dell’importo liquidato all’epoca dell’illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non soddisfino integralmente il creditore, che non si pone, dunque, nella medesima condizione economica ove si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo.

In tal caso, è onere del creditore comprovare, anche sulla scorta di rilievi presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla data della pronuncia, se il pagamento della somma dovuta ab initio fosse occorso nei tempi. Tale effetto si innesta sul rapporto tra rimuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo considerato: laddove il primo termine sia inferiore al secondo, non è normalmente configurabile un danno da ritardo. Gli interessi c.d. “compensativi”, invece, costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo dei debiti di valore, sicché non è configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi[6].

Da ultimo, la Cassazione ha riconosciuto che nella domanda di risarcimento del danno è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria, quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti, attesa la diversità delle rispettive funzioni[7].

Ai fini dell’integrale risarcimento del danno non patrimoniale, quindi, occorre riconoscere al danneggiato sia la rivalutazione monetaria che attualizza al momento della liquidazione il nocumento subito, sia gli interessi compensativi, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno, sia gli interessi legali sulla somma complessiva risultante dal giorno della pubblicazione della sentenza in avanti[8].

Nel caso di specie, è da ritenere che i giudici d’appello abbiano stimato il risarcimento del danno all’attualità del momento decisorio (udienza di discussione del 22 gennaio 2019) sulla base delle tabelle milanesi del 2018, riconoscendo poi gli interessi legali sulla somma complessiva risultante con decorrenza dalla sentenza; il che si pone in coerenza con la pluralità e alternatività dei criteri liquidativi individuati dalla giurisprudenza di legittimità, senza che la ricorrente offra alcun diverso apporto ermeneutico[9].

Inoltre, quanto al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria successiva alla aestimatio, per detti importi opera comunque il divieto di cumulo con gli interessi stabilito per i dipendenti privati di enti pubblici non economici per i quali ricorrono, ancorché i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le ragioni di contenimento della spesa pubblica che sono alla base della disciplina differenziata secondo la ratio decidendi prospettata da Corte Cost. n. 459 del 2000; il richiamato principio non è stato derogato neanche in relazione a somme aventi contenuto risarcitorio, riconosciute ex art. 32 della L. n. 183 del 2010 (cfr. Cass. n. 15272 del 2017) o liquidate ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 (cfr. Cass. n. 21192 del 2018), considerando la ratio del divieto di cumulo, valorizzata invece dalla Corte Costituzionale, alla luce della quale si deve ritenere che il legislatore abbia utilizzato l’ampia dizione “emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale” per ricomprendere tutti i crediti ai quali, in difetto della previsione derogatoria, sarebbe stata applicabile la norma speciale prevista dal richiamato art. 429 c.p.c. (in termini: Cass. n. 12877 del 2020)[10].

Sulla scorta dei summenzionati rilievi, dunque, la Suprema Corte rigetta il ricorso de quo, con liquidazione delle spese come da dispositivo in favore dell’azienda controricorrente.  

 

 

[1] Cass. civ., Sez. Un., 10 luglio 2017, n. 16990.

[2] Cass. civ., Sez. Un., 5  aprile 2007, n. 8520. Si veda, inoltre, Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2014, n. 21396, ove gli Ermellini hanno statuito che il giudice chiamato a liquidare il danno non patrimoniale alla salute deve adottare un criterio in grado di garantire due principi: (a) da un lato, assicurare la parità di trattamento a parità di danno, attraverso l’adozione di un criterio standard uniforme; (b) dall’altro, garantire adeguata considerazione alle specificità del caso concreto, attraverso la variazione in più od in meno del parametro standard. Nel motivare le ragioni della propria decisione, pertanto, il giudice di merito deve: (a) indicare quale sia il parametro standard adottato; come sia stato individuato e quali ne siano i criteri ispiratori e le modalità di calcolo; (b) indicare se nel caso di specie, per quanto dedotto e provato dalle parti, sussista la necessità di variare in più od in meno il criterio standard.

[3] Cass. civ.,  sez. III, 8 novembre 2016, n. 22607.

[4] Trib. Torino, sez. spec. Impresa, 24 maggio 2021, n. 2570.

[5] Trib. Reggio Emilia, sez. II, 19 febbraio 2020, n. 293.

[6] Cfr. Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2018, n. 18564, ove, in applicazione del principio, la S. C. ha cassato la sentenza impugnata che, in ordine al danno derivato da anticipazioni di crediti non recuperati, aveva liquidato gli interessi, sul capitale rivalutato progressivamente, in modo automatico, senza alcuna valutazione del profilo probatorio.

[7] Cass. civ., sez. VI, 18 febbraio 2022, n. 5317.

[8] Corte d’Appello di Venezia, sez. IV, 24 dicembre 2021, n. 3156.

[9] Cass civ., Sez. Un., 21 marzo 2017, n. 7155.

[10] In ordine ai criteri di calcolo nella rivalutazione e negli interessi, si rinvia a Cass. civ., Sez. Un., 17 febbraio 1995,n. 1712.

Argomento: Dei fatti illeciti
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. VI, 26 novembre 2021, n. 36878)

stralcio a cura di Ilaria Marrone

"(...)il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1224 e 1282 c.c. "per omessa liquidazione degli interessi moratori e della rivalutazione monetaria", essendosi la Corte limitata a riconoscere gli interessi legali sulla somma dichiarata dovuta; il motivo non può trovare accoglimento; il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all'epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria (v. Cass. SS.UU. n. 16990 del 2017); ne consegue che il giudice di merito può procedere alla liquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell'ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore, ad esempio, riconoscendo gli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria o dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, oppure applicando, dalla data in cui si è verificato il danno fino a quella della liquidazione, un saggio equitativo d'interessi sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all'epoca dell'illecito ovvero sul credito espresso in moneta all'epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno (Cass. SS.UU. n. 8520 del 2007; Cass. n. 21396 del 2014); si è, inoltre, chiarito che, oltre alla rivalutazione, possono essere sì liquidati gli interessi compensativi, ma la determinazione non è automatica, né presunta iuris et de iure, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento, analogamente a quanto richiesto, sul piano probatorio, per la dimostrazione del maggior danno nelle obbligazioni di valuta, ma secondo criteri differenti (Cass. n. 22607 del 2016); successivamente, sull'importo costituito dalla sommatoria di capitale e accessori maturano interessi al saggio legale, ai sensi dell'art. 1282, primo comma, c.c.; nella specie è da ritenere che i giudici d'appello abbiano stimato il risarcimento [continua ..]

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