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Rapporti tra ordine di esposizione del crocifisso e libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa
Michele Emanuele Leo
La sentenza in commento si presenta articolata, investe più branche del diritto e coinvolge aspetti normativi di particolare rilevanza.
La questione trae origine da un procedimento disciplinare a cui è stato sottoposto un docente di lettere per non aver rispettato una circolare del dirigente scolastico che, su richiesta degli alunni di una classe dell'istituto, aveva fatto apporre un crocifisso nell'aula.
Il docente aveva più volte manifestato la sua disapprovazione per l’affissione del crocefisso che provvedeva a rimuovere prima dell’inizio di una lezione salvo riposizionarlo al termine della stessa.
Alcuni alunni sottoponevano la questione all’assemblea di classe che a maggioranza deliberava di mantenere il crocifisso esposto in aula.
Il dirigente, recepita la volontà dell'intera classe, emetteva una circolare ed un ordine di servizio “diffidando formalmente il docente dal continuare in questa rimozione che sta creando negli studenti frustrazione, incertezza e preoccupazione”.
Veniva anche redatto un verbale del consiglio di classe nel quale si evidenziava la laicità pluralista della scuola e, al contempo, la volontà della maggioranza della classe, ivi compresi alunni appartenenti ad altre religioni, di consentire l’affissione del crocifisso.
Malgrado ciò, il docente continuava a rimuovere il crocifisso durante le sue lezioni.
Per tale ragione il dirigente avviava un procedimento disciplinare da cui scaturiva la sanzione della “sospensione dell'insegnamento di trenta giorni”.
Il professore impugnava si l'ordine di servizio in quanto “discriminatorio nei confronti dei docenti che non si riconoscevano nel crocifisso” che il provvedimento di sospensione per trenta giorni dall'insegnamento “poiché volto a sanzionare una condotta che costituiva invece legittimo esercizio del potere di autotutela in relazione ai diritti fondamentali di libertà di insegnamento e di libertà di coscienza in materia religiosa”.
Il Giudice del lavoro in primo grado respingeva i ricorsi poi riuniti richiamando una sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo del 18 marzo 2011 nel caso Lautsi e altri c. Italia, sostenendo che la libertà educativa di religione e coscienza non fosse scalfita dalla presenza del simbolo religioso. Secondo il giudice, il dirigente scolastico aveva solo dato adempimento al deliberato dalla maggioranza di una sola classe non imponendone l'allocazione a tutto l'Istituto.
Presentava appello il docente senza ottenere esito differente, anzi, la Corte perugina evidenziava “che l'esposizione del crocifisso non ha limitato la libertà di insegnamento e che il ricorrente non ha titolo per dolersi dell'asserita violazione del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione nonché di quello di laicità dello Stato, perché gli stessi danno origine, non a diritti soggettivi dei singoli, bensì ad interessi diffusi, la cui tutela è affidata agli enti esponenziali della collettività nel suo complesso e solo nei casi di espressa previsione di legge ad associazioni o enti collettivi che di quegli interessi sono portavoce”.
Di contro, a parere del collegio, era stato il professore stesso con il proprio comportamento “disobbediente” a violare il principio di laicità dello Stato.
Interessante è il significato che la Corte d'appello ha attribuito al crocifisso, prendendo spunto dalla citata decisione della CEDU, il quale sarebbe un simbolo “passivo” dal momento che la sua affissione non comporta l'obbligo di adeguarsi o meglio conformarsi alla fede cristiana per cui “l'esposizione nel luogo di lavoro” non costituisce alcun condizionamento o compromissione della libertà del soggetto dissenziente.
Il professore a questo presentava ricorso dinanzi alla Corte di cassazione sostenendo: il carattere discriminatorio dell'ordine di servizio nei confronti degli insegnanti non cattolici; la lesione della libertà negativa di religione; la violazione del principio di laicità dello Stato; l'errata interpretazione della norma CEDU richiamata in primo grado in ordine all'esposizione del simbolo religioso in aula scolastica; l'errata interpretazione del principio di legalità; la mancata considerazione da parte della Corte della sussistenza di un diritto soggettivo del lavoratore in ordine alla rimozione del crocifisso; la mancata valutazione dei danni patiti per la discriminazione subita.
Instaurato il giudizio dinanzi alla sezione lavoro della suprema Corte di cassazione, la questione veniva rimessa alla Sezioni unite: “sul rilievo che il ricorso prospetta una questione di particolare rilevanza, che involge il bilanciamento, in ambito scolastico, fra le libertà ed i diritti tutelati rispettivamente dal D.lgs. n. 297 del 1994, artt. 1 e 2, che garantiscono, da un lato, la libertà di insegnamento, intesa come autonomia didattica e libera espressione culturale del docente, e, dall'altro, il rispetto della coscienza civile e morale degli alunni. L'interrogativo riguarda i modi di risoluzione di un eventuale conflitto e la possibilità di far prevalere l'una o l'altra libertà nei casi in cui le stesse si pongano in contrasto fra loro”.
Nell'ordinanza di rimessione si chiedeva di esaminare la sussistenza di una forma di discriminazione indiretta a carico di chi non aderisce ad una determinata convinzione religiosa, ma la subisce.
La decisione delle sezioni unite scaturisce da una complessa analisi di statuizioni del passato (alcune del Consiglio di stato, altre della Corte costituzionale, altre ancora della Corte di Strasburgo) avente ad oggetto l'esposizione del crocifisso in luoghi pubblici, il tutto non solo alla luce dei principi costituzionalmente garantiti nel nostro paese, ma anche vigenti in ambito europeo nel rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo.
Nel caso di specie, garante del lavoratore dissenziente, anche se in minoranza, è il datore di lavoro, il quale dovrebbe contemperare le diverse esigenze qualora: “a fronte della volontà manifestata dalla maggioranza degli studenti e dell'opposta esigenza esplicitata dal docente, l'esposizione del simbolo fosse comunque necessaria o se non si potesse realizzare una mediazione fra le libertà in conflitto, consentendo, in nome del pluralismo, proprio quella condotta di rimozione momentanea del simbolo della cui legittimità qui si discute, posta in essere dal ricorrente sull'assunto che la stessa costituisse un legittimo esercizio del potere di autotutela”.
Le Sezioni unite chiariscono che per un verso è innegabile che il crocifisso non rappresenti un mero suppellettile né un oggetto di culto, bensì simbolo di valori supremi quali: tolleranza; rispetto della persona; rifiuto di qualsiasi atto di brutale violenza, principi peraltro alla base della laicità dello Stato. Il crocifisso è alla base della tradizione e della cultura italiana anche se non si può parlare di “religione di Stato” perché così non è “dopo la dichiarazione congiunta, in sede di Protocollo addizionale all'Accordo di modifica del 1984 tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, di considerare non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”. Per questi motivi, la percezione soggettiva del dissenziente non è da sola sufficiente a caratterizzare una violazione del diritto soggettivo.
Di contro, ben avrebbe potuto il dirigente scolastico attuare “un metodo mite” onde farsi “carico di tutte le esigenze in tensione”, ovverosia sebbene non vi sia né discriminazione né forma alcuna di indottrinamento, lo stesso quale datore di lavoro, avrebbe dovuto imboccare, anche nell'ottica del principio di bilanciamento dei valori coinvolti, la strada “dell'accomodamento ragionevole...intesa come ricerca, insieme, di una soluzione mite, intermedia, capace di soddisfare le diverse posizioni nella misura concretamente possibile, in cui tutti concedono qualcosa facendo, ciascuno, un passo in direzione dell'altro”.
D'altronde, sebbene il dirigente abbia attuato quanto richiesto dalla maggioranza della classe, ben avrebbe potuto contemperare la richiesta con quanto preteso dall'unico docente dissenziente.
Come insegna la nostra Costituzione a norma degli artt. 19 e 21: “La regola di maggioranza senza correttivi non può utilizzarsi nel campo dei diritti fondamentali, che è dominio delle garanzie per le minoranze e per i singoli. I diritti fondamentali svolgono un ruolo contro-maggioritario, sicché, abbandonato il criterio quantitativo, il “peso” assunto dai soggetti coinvolti non può fare ingresso quale decisivo criterio di bilanciamento delle libertà. Anche nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità del singolo, la libertà religiosa che accompagna questo sviluppo della persona umana non può essere governata dal criterio della maggioranza che prevale e della minoranza che capitola”. In questa ottica quindi il dirigente scolastico avrebbe dovuto vestire i panni del mediatore terzo ed imparziale al fine di trovare un punto di incontro tra le posizioni contrastanti di alunni e docente.
Il detto assunto ha portato le Sezioni unite della suprema Corte di cassazione a considerare illegittimo l'ordine di servizio per non aver contemplato un contemperamento fra le due istanze antitetiche, ma non discriminatorio in quanto l'esposizione del crocifisso non ha mai costituito un vincolo allo svolgimento delle lezioni né tanto meno un impedimento per criticare “didatticamente ed educativamente” il punto di vista dei ragazzi.
La suprema Corte di cassazione rimetteva, infine, il giudizio alla Corte di appello in diversa composizione al fine di valutare esclusivamente il comportamento tenuto dal professore in merito alle “esternazioni verbali” rivolte al proprio superiore.
Sezione: Sezioni Unite
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