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Contratto di locazione: inerzia ed abuso del diritto del locatore nei confronti del conduttore

Amalia Pastore

 

 

La questione controversa concerne la legittimità della richiesta di pagamento dei canoni di locazione avanzata dal locatore, dopo diverso tempo dal verificarsi dell’inadempimento del conduttore. Inadempimento causato non solo dall’inerzia del conduttore, ma anche dalla costante omissione di domanda di pagamento di parte locatrice.

Nel caso di specie, nel 2004, la C. s.r.l., con struttura marcatamente familiare, stipulava un contratto di locazione per un immobile ad uso abitativo con B., divenuto socio per successione nella quota materna. Prima di allora, la locataria C. non aveva mai avanzato richiesta sia del pagamento del canone trimestrale che delle relative spese pattuite.

La società C. inviava una lettera di diniego di rinnovazione della locazione al 31/12/2011, a cui seguiva uno sfratto per morosità verso B.

La controversia veniva instaurata solo nel 2014. La C. s.r.l. agiva in via monitoria per il recupero del credito dei canoni di locazione scaduti e non pagati da B. dal 2004 al 2013. Quest’ultimo si opponeva facendo valere la natura gratuita del contratto anche verso il padre, socio della s.r.l. Egli asseriva, infatti, che il padre avesse violato il patto con cui avrebbe consentito il godimento gratuito dell’abitazione al figlio.

Orbene, il giudice del primo grado accoglieva la domanda della s.r.l. locatrice riconoscendo la somma richiesta per i canoni di locazione scaduti e mai versati, nonché delle spese sostenute dal 2009 al 2013.

In appello, invece, la Corte di Milano decideva che B. dovesse solo la minor somma pari a € 63.375,00 per i canoni di locazione e di € 19.125,00 per le spese e oneri.

Il Giudice d’Appello aveva disatteso la rilevanza esterna del contratto di qualsiasi pattuizione tra padre e figlio in quanto soci, qualificando il rapporto contrattuale come comodato. Secondo il giudice, quindi, non sarebbe tanto da sottolineare la totale gratuità del rapporto intercorso tra le parti, quanto l’inerzia della società protrattasi per anni. Statuiva che il comportamento del debitore non fosse contrario al principio di buona fede poiché tenuto sì al compimento di tutti quegli atti necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, ma senza un esorbitante sacrificio a suo carico. Proprio per il principio di buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., per il creditore scaturirebbe l’obbligo di agire con tempestività nella riscossione del credito periodico, non trovando giustificazione alcuna la richiesta improvvisa di pagamento dopo essere rimasto inerte per così tanto tempo.

L’inerzia del creditore, dunque, ben avrebbe potuto creare un legittimo affidamento in capo al debitore in ordine all’abbandono della pretesa.

Per tale ragione, la Corte di merito riteneva non dovuti i canoni antecedenti alla prima richiesta di pagamento – avvenuta nel 2011 – fino alla data di rilascio dell’immobile e, cioè, fino al 2013. Tuttavia, respingeva la richiesta di risarcimento del danno avanzata da B. verso il padre, non sussistendo alcun tipo di obbligo assunto dal secondo verso il primo.

La società C. ricorreva in Cassazione unitamente al socio M., padre di B., avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano.

Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione dà rilievo alla teoria del cd. Verwirkung di origine germanica e le più importanti pronunce sul tema.

La predetta teoria, come spiegata dalla Corte di Cassazione con sent. n. 5240/2004, sancisce che il “principio, basato appunto sulla buona fede, secondo cui, anche prima del decorso del termine prescrizionale, il mancato esercizio del diritto, protrattosi per un conveniente lasso di tempo, imputabile al suo titolare che abbia fatto sorgere nella controparte un ragionevole ed apprezzabile affidamento sul definitivo non esercizio del diritto medesimo, porta a far considerare che un successivo atto di esercizio del diritto in questione rappresenti un caso di abuso del diritto, nella forma del ritardo sleale nell’esercizio del diritto con conseguente rifiuto della tutela, per il principio di buona fede nell’esercizio del contratto”. Secondo la Cassazione del 2004, però, il principio della cd. “consumazione dell’azione processuale”, secondo cui il mero ritardo nell’esercizio del diritto non costituisce motivo per negarne la tutela, non può trovare ingresso nell’ordinamento italiano. L’unica eccezione plausibile è che il ritardo nell’esercizio del diritto non sia conseguenza di fatto di una inequivocabile rinuncia tacita o modifica della disciplina contrattuale o non sia sollevata l’eccezione di estinzione del diritto per prescrizione.

Spiega la Corte, dunque, che il principio in parola può entrare nel nostro ordinamento limitatamente al caso in cui il ritardo non costituisca un atteggiamento di mera tolleranza del creditore, ma un comportamento tale per tempo e costanza da “ingenerare nel debitore un affidamento di oggettiva rinuncia del diritto […]”

Secondo la Cassazione, un caso assimilabile alla teoria tedesca si può rinvenire qualora in una situazione di estrema gravità, come quella pandemica, e dunque per cause non solo collegate alla insolvenza debitoria nella fase esecutivo-dinamica del sinallagma, il creditore accetti un inadempimento come giustificato. Il fine ultimo è però, per buona fede solidaristica, quello di conservare gli effetti positivi del contratto, cioè la possibilità di un futuro riavvio del pagamento, che altrimenti risulterebbe non più recuperabile. Rileva, inoltre, che il nostro ordinamento si fondi sul concetto romanistico di buona fede per cui anche prima della prescrizione del diritto il suo mancato esercizio per lungo tempo, imputabile sempre al suo titolare, possa avere fatto sorgere nella controparte un ragionevole affidamento sul definitivo non esercizio del diritto in parola. Ecco che un atto successivo, volto all’esercizio del diritto, può integrare un abuso dello stesso nella forma del ritardo sleale e, dunque, la negazione della tutela.

Ebbene, se interpretato come abuso del diritto, il Verwirkung potrebbe ben essere applicato al caso di specie, atteso che il mancato esercizio di un diritto potestativo da parte del suo titolare, a seconda delle circostanze, nel tempo, può ingenerare un affidamento nell’altra parte nell’abbandono della relativa pretesa. L’affidamento in parola può essere idoneo a determinare la perdita della situazione soggettiva nella misura in cui l’esercizio del diritto si riveli un abuso.

Secondo gli Ermellini la buona fede si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà, quale dovere generare di non ledere la parte del rapporto sinallagmatico e senza che comporti un apprezzabile sacrificio a suo carico rispetto al comportamento dell’altra parte contrattuale. In tale ambito si può fare riferimento al Verwirkung. Il ritardo nell’esercizio del diritto, dunque, può dare luogo ad abuso se non risponde a nessun interesse del suo titolare diventando, invece, un mero danno per la controparte. In tale visione, il problema si pone in termini di proporzionalità del comportamento contrattuale delle parti rispetto agli interessi. Se sussiste un interesse proporzionale nello stesso ritardo, assolutamente non volto al mero danneggiare la controparte, nessun tipo di abuso può rinvenirsi.

Diverso è il caso in cui il titolare del diritto manifesti la propria volontà abdicativa per facta concludentia. È pacifico che la mera tolleranza del creditore non possa giustificare l’inadempimento, né la modifica contrattuale, né l’acquiescenza alla violazione dell’obbligo contrattuale dell’altro contraente, mentre potrebbe essere ispirato a mera benevolenza. In tale caso, non può costituire negazione della tutela giudiziaria.

Nella questione in oggetto, invece, la Corte ritiene che la chiave di volta non sia il ritardo, quanto la repentina richiesta dell’adempimento del credito ad avere integrato un abuso del diritto.

Nel contratto di locazione, quale negozio ad esecuzione continuata, l’adempimento del conduttore opera con atti di natura progressiva e periodica. L’affidamento, dunque, può essere costituito dall’inerzia per lungo tempo da parte del locatore nella riscossione delle pigioni maturate.

Per la Cassazione, dal punto di vista dell’accertamento fattuale della eventuale violazione, deve considerarsi che il rapporto contrattuale nasce in seno ad una s.r.l. con accentuato carattere personalistico e familiare: B. è figlio di M., il comportamento della società cambia in modo innaturale dopo l’uscita di B. dalla compagine sociale e dopo che i rapporti con il padre si incrinano.

Secondo la Corte, inoltre, non può trattarsi nemmeno di una tacita rinuncia a diritti maturati sino ad un determinato periodo. Richiamando un proprio precedente, la Cassazione afferma che in tema di remissione del debito, quale causa di estinzione dell’obbligazione, la volontà abdicativa del creditore deve essere espressa in modo inequivoco. Se espressa in modo tacito, in verità, non vi deve essere alcun altro indizio che giustifichi il comportamento se non, appunto, la palese volontà di rimettere il debito.

In conclusione, il criterio da seguirsi è sempre riferito alla sostanza dei rapporti intervenuti tra le parti, interpretati secondo il principio dell’affidamento. Palese è che l’atto teso a far rivivere l’obbligazione debba essere ricondotto alla conflittualità esistente tra le parti.

Ecco perché, la Corte ha espresso il principio di diritto secondo cui: “"il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. legittima in punto di diritto l'insorgenza in ciascuna parte dell'affidamento che, anche nell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nella esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere generale del "neminem laedere"; ne consegue che in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l'assoluta inerzia del locatore nell'escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, la improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto"

Circa i motivi di ricorso incidentale presentato da B in appello, la Corte di Cassazione, per quanto qui di interesse, statuisce che siano da considerarsi come dovute le somme relative al periodo 2011 al 2013. La decisione si basa sul fatto che, nonostante nel 2011 sia avvenuta la disdetta del contratto, il conduttore abbia comunque occupato l’immobile sino al 2013. Il tutto a prescindere dalla presenza di un contratto sottoscritto dalla sola società e non da B, ma appunto per applicazione dell’art. 1591 c.c. secondo cui il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna.

Con la pronuncia esaminata, ancora una volta, la Cassazione ha rimarcato l’importanza del principio di buona fede quale corollario dell’interpretazione e dell’esecuzione del contratto. Elemento cardine da seguire onde incorrere negli effetti previsti dal nostro ordinamento avverso qualsiasi abuso del diritto.

Argomento: Del contratto di locazione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 14 giugno 2021, n. 16743)

stralcio a cura di Fabrizia Rumma

" (...) Per quanto interessa in questo giudizio, la società ricorrente ha agito in via monitoria per il recupero del credito per canoni di locazione scaduti e non pagati dal conduttore B.C. F., figlio di B.M., in relazione a un immobile ad uso abitativo sito in (OMISSIS), il tutto per la somma complessiva di Euro 242.413,28 a titolo di canoni di locazione, maturati dal 2004 a fine 2013, e spese. Nell'opporsi al pagamento il conduttore... Il Tribunale ha accolto la richiesta della società limitatamente alla somma di Euro 222.322,10, a titolo di canoni di locazione scaduti e mai versati e di spese, queste ultime maturate dal 2009 a fine 2013, respingendo la domanda di risarcimento svolta dal figlio B.C. F. nei confronti del padre B.M.. In seguito all'impugnazione di B.C. F., la Corte d'appello di Milano, .... ha rilevato che per il contratto di locazione, formalizzato nel 2004 tra la società di famiglia C. s.r.l. e B.C. F.,.... non vi era stata mai da parte della società locatrice richiesta del pagamento del canone trimestrale pattuito e delle spese(...) 30. Nella fattispecie locatizia, in generale, quello che può evidentemente essere idoneo a costruire l'affidamento del conduttore nel senso di una oggettiva rinuncia è un comportamento del locatore di totale inerzia nella riscossione delle pigioni maturate per un protratto periodo di tempo, che si inserisce infatti nella natura del contratto, ad esecuzione continuata, in cui il correlato adempimento da parte del conduttore non è operato con un unico atto bensì si attua in via progressiva. Come, peraltro, a contrario, si verifica nel caso di cui all'art. 1458 c.c., comma 1, con riguardo agli effetti retroattivi della risoluzione del contratto ad esecuzione continuata, la progressività dell'esecuzione incide altresì sulla pregnanza della condotta del creditore nella fase esecutiva, e conduce quindi alla percezione di questa come oggettiva abdicazione del potere di far valere il diritto, rinuncia che riguarda, appunto, la fase esecutiva mentre, naturalmente, non ha relazione con un mutuo dissenso dal contratto, che rimane "in piedi" ed è in grado di riprendere vita, come è avvenuto nella presente vicenda quando la locatrice ha modificato repentinamente la sua condotta di inerzia settennale.(...)33. Non si dimostra nemmeno attagliata alla fattispecie in analisi l'istituto della tacita inequivoca rinuncia ai diritti maturati sino [continua ..]

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