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Principi in materia di assunzione in seguito a concorso pubblico
Annunziata Staffieri
Con la sentenza in epigrafe la quarta sezione della Corte di Cassazione torna ad affrontare plurime e complesse tematiche inerenti al pubblico impiego contrattualizzato.
Nel caso in esame, un lavoratore era stato assunto, in qualità di dirigente medico chirurgo, dall’azienda ospedaliera della provincia di OMISSIS, in forza di una successione di contratti temporanei senza soluzione di continuità dal dicembre 1999 al dicembre 2008 e dal 5 marzo al 5 novembre 2009, per poi sottoscrivere il 1° settembre 2009 un contratto a tempo indeterminato quale dirigente medico di chirurgia di urgenza presso l’ospedale di OMISSIS.
Nel frattempo, l’azienda ospedaliera revocava le delibere con le quali aveva conferito al ricorrente l’incarico, a tempo determinato della durata di 18 mesi, quale dirigente medico di chirurgia generale sul presupposto che, erroneamente, l’amministrazione non aveva fatto ricorso allo scorrimento della graduatoria, ancora efficace.
Conseguentemente, il dirigente conveniva in giudizio l’indicata azienda ospedaliera proponendo nei confronti della stessa due distinte azioni, fondate su autonome causae petendi: da un lato aveva chiesto il risarcimento dei danni cagionati dall’illegittima revoca delle delibere, con le quali era stato indetto l’avviso pubblico e successivamente conferito l’incarico in esame, dall’altro aveva denunciato il carattere abusivo della reiterazione dei contratti a termine intercorsi tra le parti ininterrottamente dal dicembre 1999 al 2008 e chiesto il risarcimento dei pregiudizi derivati dall’abusivo rinnovo.
Il giudice di prime cure accoglieva il ricorso proposto dal lavoratore, dichiarando l’illegittimità della revoca dell’incarico a tempo determinato conferito al ricorrente dall’azienda ospedaliera e condannando quest’ultima al pagamento del risarcimento dei danni subiti dallo stesso a seguito della revoca in commento.
L’azienda ospedaliera impugnava tale decisione e la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello ritenendo legittima la revoca dell’assunzione disposta dall’azienda datrice di lavoro e respingeva integralmente la domanda risarcitoria proposta a tale titolo.
In relazione alla richiesta di risarcimento dei danni da abusiva reiterazione dei contratti a termine, la Corte di appello di Milano, accoglieva invece l’appello avverso il capo della sentenza che pur riconoscendo il carattere abusivo della reiterazione “de qua”, aveva ritenuto di non poter condannare l’amministrazione al risarcimento del danno in quanto non provato dal dirigente.
Parte soccombente ricorreva, pertanto, in Cassazione.
Le coordinate così fissate permettono di affrontare quattro complesse questioni che periodicamente fanno capolino nelle aule giudiziarie:
- la qualificazione della procedura di individuazione del dirigente;
- il diritto all’assunzione dei cd “idonei” non vincitori del concorso;
- la revoca del bando di concorso e, a cascata, di tutti gli atti della procedura concorsuale;
- l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato da parte della PA.
In merito alla prima tematica, i giudici della nomofilachia chiariscono che la procedura di selezione di un dirigente non rientra tra quelle idoneative disciplinate dall’art. 15 ter del D.lgs. n. 502/92 ma deve essere qualificata come una vera e propria procedura concorsuale, anche se finalizzata alla nascita di un rapporto di lavoro “a termine”, in quanto la selezione del futuro contraente costituisce esercizio del potere pubblico.
Chiarita, pertanto, la natura concorsuale della procedura “de qua”, gli ermellini passano ad esaminare la seconda questione relativa alla natura della posizione giuridica soggettiva dell’idoneo non vincitore del concorso a fronte della decisione della pubblica amministrazione di assumere nuovo personale.
Tale questione, com’è noto, è stato oggetto di un contrasto interpretativo.
Un primo orientamento assegnerebbe agli idonei di una graduatoria in corso di validità un diritto soggettivo pieno all’assunzione nel caso in cui l’Amministrazione decida di coprire il posto vacante.
Secondo una diversa e prevalente tesi, invece gli idonei sono titolari di una mera aspettativa allo scorrimento, non tutelabile in via giudiziaria.
La giurisprudenza dominante ha pertanto negato che l’idoneo abbia un diritto soggettivo all’assunzione con lo scorrimento della graduatoria che costituisce una mera facoltà della PA che potrebbe decidere anche di bandire un nuovo concorso. Il diritto all’assunzione è configurabile, pertanto, solo ove la P.A. abbia optato per lo scorrimento.
Indirizzo, quest’ultimo, prescelto anche dal Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa- l’Adunanza Plenaria n. 14 del 2011, poi confermato anche dalla quarta sezione della Corte di Cassazione che, con la decisione in commento ribadisce, che l’aspettativa di mero fatto allo scorrimento della graduatoria di cui sono titolari gli idonei diventa “qualificata” e tutelabile in via giudiziaria solo in presenza di un preciso obbligo della PA di coprire il posto.
Ciò chiarito, i giudici di ultima istanza prendono posizione sulla terza questione della revoca del bando di concorso e, a cascata, di tutti gli atti della procedura concorsuale.
Com’è noto con l’approvazione della graduatoria, che ha la duplice natura di provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo e di atto negoziale di individuazione del futuro contraente, sorge in capo a quest’ultimo il diritto soggettivo all’assunzione. Il superamento di un concorso pubblico consolida, pertanto, nel patrimonio del vincitore del concorso una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo: l’assunzione dello stesso costituisce un atto dovuto da parte della Pubblica Amministrazione.
Quest’ultima è infatti tenuta ad adempiere l’obbligazione, salvo che non ricorrano ragioni sopravvenute che impediscano l’adempimento quali, ad esempio, lo ius superveniens o le modifiche organizzative intervenute medio tempore che non consentano l’inquadramento previsto dal bando.
Inoltre, la PA può rifiutare la stipulazione del contratto, o farne valere l’invalidità, nei casi in cui l’instaurazione del rapporto si pone in contrasto con la norma inderogabile di legge, come accade nei casi di annullamento o di mancato rispetto della graduatoria o di assenza dei requisiti richiesti per la partecipazione alla procedura.
Ad eccezione di queste ipotesi, l’amministrazione può sottrarsi al vincolo che deriva dall’espletamento della procedura e dall’approvazione della graduatoria solo qualora intervenga un contrarius actus di esercizio del potere di autotutela in relazione all’indizione e all’espletamento di tale procedura, atto che deve essere adottato nel rispetto delle forme e dei limiti posti a quel potere.
Dopo tali precisazioni, i giudici di ultima istanza passano ad esaminare l’ultima questione offerta dal caso in esame.
L’ordinanza in commento costituisce, infatti, l’ennesimo arresto della giurisprudenza di legittimità sulla vexata quaestio della prova e della quantificazione del risarcimento del danno patito dal lavoratore in conseguenza dell’abusiva reiterazione dei contratti a termine nell’ambito del settore pubblico.
Il Sommo Collegio con la decisione in esame ha rimarcato il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 15 marzo 2016, n. 5072 secondo cui “in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE, (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso- siccome incongruo- il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo e un massimo, salva la proroga del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, agevola l’onere probatorio del danno subito”.
In conclusione, la quarta sezione della Corte di Cassazione, con la decisione in commento ha ritenuto conforme a diritto la quantificazione del danno effettuata dalla Corte di Appello di Milano che aveva liquidato il danno subito dal ricorrente, a seguito della abusiva reiterazione dei contratti a termine, in dieci mensilità sulla base dei parametri indicati nel combinato disposto della legge n.183 del 2010, art. 32 e dell’art.8 della legge n.604/66.
Sezione: Sezione Semplice
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