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Compravendita: gli accessori vanno obbligatoriamente consegnati all'acquirente salvo diversa ed espressa pattuizione tra le parti.

Ambrogio Ietto

 

 

L’individuazione degli elementi discretivi su cui si fonda la distinzione tra “pertinenze” ed “accessori” è una problematica sì tradizionale del diritto civile ma ancora oggi foriera di molteplici dubbi interpretativi in capo agli interpreti.  

Ne è conferma la circostanza che la Corte di Cassazione, come nel caso oggetto della pronuncia in esame (ord. n. 28613/2022), sia ancora chiamata a pronunciarsi sul punto e a chiarire le differenze (in punto di struttura e di disciplina applicabile) tra questi due istituti giuridici.

La controversia che ha dato modo alla Corte di intervenire nuovamente sul tema riguardava un’azione di accertamento di responsabilità per inadempimento contrattuale (per aver il venditore, nell’ambito di una vendita immobiliare, asportato dall’immobile, prima dell’immissione nel possesso dei neo acquirenti, una “nutrita serie di beni accessori, quali sanitari, luci, mobilia, impiantistica”).

Gli originari convenuti, costituitisi nel giudizio di primo grado, contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che nel contratto non era previsto il trasferimento di accessori diversi da quelli contemplati nel contratto.

La Corte di Appello di Bari, chiamata a pronunciarsi sul punto, discostandosi dalla decisione del giudice di prime cure, accertava l’inadempimento del venditore e accoglieva la ricostruzione attorea.

Ne seguiva il ricorso per Cassazione del medesimo venditore col quale egli deduceva, in particolare, la “violazione e falsa applicazione dell’art. 818 c.c. e dell’art. 817 c.c. […] per avere erroneamente postulato che i detti beni fossero ricompresi nella vendita al prezzo concordato in virtù dell’espresso riferimento all’acquisto unitamente a tutti gli accessori ed allo stato di fatto in cui si trovava l’immobile oggetto del contratto”.

In particolare si censurava il “decisum” della Corte barese, per avere la stessa erroneamente applicato l’art. 818 c.c. anche ai beni accessori (quali sono quelli sottratti dall’appartamento prima dell’immissione del possesso degli acquirenti).

Difatti nell’ottica del ricorrente era errata la ricostruzione della Corte d’Appello posto che l’art. 818 c.c. (a norma del quale “gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto”) si applica solo alle pertinenze e che, pertanto, i beni accessori (a differenza di quelli pertinenziali) si trasferiscono insieme al bene principale solo in caso di un’espressa ed esplicita previsione contrattuale (insussistente nel caso “de quo”).

Detta ricostruzione di parte era manifestamente infondata.

Difatti la Corte d’Appello era giunta ad accogliere la domanda attorea in forza non di un’applicazione analogica (inammissibile) dell’art. 818 c.c. bensì in virtù del disposto dell’art. 1477 comma 2° c.c., secondo cui, in materia di vendita immobiliare, “la cosa deve essere consegnate insieme con gli accessori, le pertinenze e i frutti dal giorno della vendita” (norma similare è statuita, in materia di locazione, dall’art. 1617 c.c.).

Ne deriva che, qualora ci si trovi dinanzi ad una vendita immobiliare (come nel caso in questione), sia i beni pertinenziali che i beni accessori vanno consegnati insieme alla res principale (salvo diversa volontà delle parti).

Non vi era, quindi, almeno in relazione al contratto di compravendita, alcuna necessità di applicare analogicamente l’art. 818 c.c. posto che l’art. 1477 c.c., unificando (almeno sotto questo aspetto) la disciplina dei beni accessori e di quelli pertinenziali, espressamente dispone l’obbligatorietà della loro consegna insieme alla cosa venduta.

Posto che, nell’ipotesi fattuale “de qua”, non era possibile individuare una diversa volontà delle parti volta a derogare detto obbligo legislativo, la Corte di Cassazione, con la pronuncia esame, ha avuto “gioco facile” nel dichiarare infondato il ricorso.

L’ordinanza, tuttavia, (al netto della manifesta infondatezza del ricorso di parte) è densa di spunti dogmatici ed interpretativi, posto che la Corte ha utilizzato questa occasione per ribadire e chiarire, ancora una volta, gli elementi discretivi tra pertinenze e accessori.  

Il primo concetto non pone particolari problemi, dato che è lo stesso legislatore, all’art. 817 comma 1° c.c., a statuire come per “pertinenze” devono intendersi “le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”.

Pertanto, come ribadito dalla stessa Corte in questa occasione, la legittima costituzione di un vincolo pertinenziale presuppone che il bene accessorio sia legato da un rapporto funzionale col bene principale (“elemento oggettivo”) e che vi sia una effettiva volontà, espressa o tacita, di destinazione della res al servizio o all’ornamento del bene principale da parte di chi abbia il potere di disporre di entrambi (“elemento soggettivo”).

Va, tuttavia, evidenziato come siffatto rapporto di subordinazione, del bene pertinenziale nei confronti di quello principale, non sia tale da far sì che il primo perda la propria individualità o non possa separarsi dal secondo se non alterandone la funzione economica.

Inoltre la Corte chiarisce come per i beni pertinenziali “non opera un vincolo di necessaria contiguità fisica, necessitando invece il vincolo funzionale”.

Ciò che rileva, quindi, non è che il bene pertinenziale sia unito materialmente alla res principale ma che, piuttosto, sia ad essa legata da un nesso funzionale (classico esempio è quello del garage come bene pertinenziale di un’unità immobiliare abitativa).  

Ad abundantiam” la Corte rileva come vada esclusa la natura pertinenziale di quei beni la cui funzionalità e strumentalità riguardi “esclusivamente la persona del titolare del diritto reale sulla cosa principale e non la cosa in sé considerata”. Ne deriva che non basta, ai fini della qualificazione di pertinenzialità, che quel bene sia funzionale ma occorre che detta funzionalità riguardi la cosa principale in sé e non il suo titolare.

Detto assunto ricorda molto quanto sostenuto dalla Cass. sent. n. 16698/2017 in materia di “servitù di parcheggio”. Anche in quell’occasione la Suprema Corte, rifiutando soluzioni apodittiche, sostenne come il carattere della “realità” (costituente la vera grande differenza tra le servitù “prediali” e quelle “irregolari”) vada indagato in concreto; nello specifico il giudicante, quindi, con un’analisi caso per caso, sarà tenuto a verificare che il vantaggio (costituito dalla facoltà di poter parcheggiare) sia a vantaggio della cosa in sé e non del suo titolare. 

Poiché il nesso pertinenziale deve avere un carattere durevole, esso, per espressa disposizione legislativa (art. 817 c.2° c.c.), può essere costituito solo da chi è proprietario della cosa o da chi è titolare di un diritto reale sulla stessa (non anche da chi abbia un mero diritto personale di godimento sulla res).

A seconda del bene principale cui esse accedono, le pertinenze sono classificabili in “pertinenze agrarie”, “urbane”, “industriali” e “navali/aereonautiche”.

Gli accessori, invece, non ricevono dal codice civile né una definizione generale né una disciplina organica, al punto che la stessa Corte di Cassazione evidenzia come detta lacuna normativa abbia “determinato in parte della dottrina dubbi sulla effettiva autonomia” di detta categoria giuridica.

In realtà la Suprema Corte, anche in quest’occasione, allineandosi su un suo orientamento tradizionale (cfr. Cass. sent. 343765/2001), conferma come gli accessori, da tenere distinti dalle pertinenze, costituiscano una categoria giuridica autonoma, avente un proprio rilievo ordinamentale, in forza delle molteplici previsioni codicistiche che fanno ad essi richiamo (artt. 179 c.1° lett. c, 1007, 1477, 1617 e 2912 c.c.)

La Corte definisce gli accessori come quei “beni che vengono a costituire parti integranti o incorporate nella cosa principale (i c.d. “accessori in senso stretto”) oppure che sono destinati a completare la funzionalità di un altro bene (i c.d. “accessori d’uso”) al quale sono materialmente uniti”.

Sono quindi questi dei beni che non hanno le caratteristiche oggettive e soggettive dei beni pertinenziali e che, per via del rapporto di subordinazione con la res principale, perdono la propria individualità.  

La Corte, al fine di concretizzare le statuizioni di principio appena sostenute, ribadisce la natura accessoria “delle suppellettili, degli arredi e dei mobili” posto che detti beni, di regola, in primo luogo non possiedono gli elementi oggettivi e soggettivi tipici delle pertinenze e, in secondo luogo, risultano utili non alla res principale in sé quanto al suo proprietario.

Siffatta differenziazione “presenta evidenti ricadute su varie fattispecie”, posto che il codice civile detta una disciplina giuridica parzialmente distinta dei due istituti.

Tipico esempio di questa diversa regolamentazione dei due istituti è l’art. 818 c.2° c.c., ove si dispone che “le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici”.

E’ questa una disposizione coerente con quanto sostenuto circa l’individualità e autonomia del bene pertinenziale.

I commi 1° e 2° dell’art. 818 c.c. vanno, quindi, analizzati in rapporto di regola-eccezione. Il comma 1°, nel disciplinare che gli “gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze”, pone la regola. Il comma 2°, nell’attribuire validità agli atti con oggetto meri beni pertinenziali, rappresenta la deroga che concretizza l’inciso del comma 1° ove si richiama ad una diversa volontà contrattuale.

L’art. 818 c.2° c.c., pacificamente, non si applica ai beni accessori per plurime ragioni.

In primo luogo la norma si rivolge testualmente alle sole pertinenze. Difatti il legislatore ha dato prova di conoscere la distinzione tra pertinenze ed accessori e quando, ha voluto, ha espressamente citato i beni accessori (come fatto, ad esempio, nell’art. 1477 c.c.).

Nella stessa ord. n. 28613/2022 la Cassazione conferma come l’art. 818 c.c. sia norma “dettata espressamente per le sole pertinenze”.

In secondo luogo la caratteristica dei beni accessori è quella, in forza del forte rapporto di subordinazione che li lega ai beni principali cui sono funzionali, di perdere la propria autonomia e la propria individualità (esempio classico è quello della porta di una unità immobiliare abitativa).

Ne deriva, quindi, che la cosa accessoria segua sempre la condizione giuridica della cosa principale.

La pronuncia in esame è solo l’ultima di una lunga serie che ha visto la Suprema Corte occuparsi della distinzione tra pertinenze e accessori.

Ormai le coordinate ermeneutiche in detta materia sono chiare, precise e omogenee nel tempo dal punto di vista contenutistico.

Nonostante ciò la Corte, ciclicamente, è tuttavia chiamata a ribadire detti concerti perché taluni interpreti non ne fanno una corretta applicazione (come d’altronde accaduto nel caso “de quo”, dato che il giudice di prime cure aveva accolto l’originaria domanda attorea).

Alla base di queste perduranti difficoltà applicative vi sono, essenzialmente, due ragioni.

La prima è che il codice non detta una disciplina organica degli accessori (non definendoli neanche).

E’ questa, tuttavia, una lacuna normativa ormai quasi del tutto colmata dal capzioso e reiterato lavoro interpretativo dei giudici di legittimità.

La seconda è che, effettivamente, detta distinzione, in astratto molto lineare, nella prassi rischia di perdere nitidezza. Difatti non è sempre facile per il giudice del caso concreto valutare la sussistenza o meno dei requisiti strutturali dei vincoli pertinenziali, soprattutto quando non vi è un orientamento univoco della giurisprudenza sulla loro qualificazione; si pensi ai casi delle cassette della posta, delle staccionate, dei gazebo o dei capanni (in passato estremamente discussi e oggi qualificati come pertinenziali dalla giurisprudenza prevalente).

L’auspicio è che questa ennesima pronuncia sul tema serva a fare ulteriore chiarezza.

Ciò che è indiscusso è che l’ord. n. 28613/2022 si caratterizza per una apprezzabile sinteticità, chiarezza e precisione, a conferma di come la volontà degli Ermellini sia quella di definire una volta per tutti i rapporti tra pertinenze e accessori e le relative discipline giuridiche.

 

 

 

 

 

 

Argomento: Del contratto di compravendita
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. II, 3 ottobre 2022, n. 28613)

stralcio a cura di Fabrizia Rumma

(...)2.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 818 c.c. e dell'art. 817 c.c., (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3) e dei principi applicabili in materia per avere il Giudice di appello sostanzialmente accordato rilievo alla circostanza secondo cui i beni rivendicati dagli istanti possano qualificarsi quali pertinenze o accessori dell'immobile acquistato e che siano strettamente connessi al ‘normale utilizzò dell'immobile". (...) 2.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 818 c.c., e dell'art. 817 c.c., (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3) e dei principi applicabili in materia per avere erroneamente postulato che i detti beni fossero ricompresi nella vendita al prezzo concordato in virtù dell'espresso riferimento all'acquisto unitamente a tutti gli accessori ed allo stato di fatto in cui si trovava l'immobile oggetto del contratto (pag. 6 della sentenza impugnata - terzultimo periodo)". (...)2.3. I due motivi sono infondati. Correttamente, infatti, la Corte d'appello barese ha richiamato ed applicato la distinzione tra pertinenze ed accessori. Il primo concetto, infatti, viene direttamente definito dal Codice civile come quelle cose - dotate di autonomia - che il proprietario ha destinato durevolmente al servizio o all'ornamento di un'altra cosa (art. 817 c.c.). Per accessori, invece, devono intendersi tutti i beni che vengono a costituire parti integranti o incorporate nella cosa principale (da una dottrina definiti "accessori in senso stretto"), oppure che sono destinati a completare la funzionalità di un altro bene (e pertanto definiti anche "accessori d'uso") al quale sono materialmente uniti, a differenza delle pertinenze per le quali non opera un vincolo di necessaria contiguità fisica, necessitando invece il vincolo funzionale (Cass. Sez. 2 Sentenza n. 2804 del 02/02/2017 - Rv.. 642813 - 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2278 del 19/03/1990 - Rv. 466043 - 01). Sebbene la categoria degli accessori non riceva dal Codice civile una definizione generale - al punto da aver determinato in parte della dottrina dubbi sulla sua effettiva autonomia - il suo reiterato richiamo in diverse previsioni codicistiche (art. 179 c.c., comma 1, lett. c), artt. 1007, 1477, 1617 e 2912 c.c.) - e talvolta (ci si riferisce ancora agliartt. 1617 e 2912 c.c.) in specifico ma distinto [continua ..]

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