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Il diritto di cronaca e di critica e la responsabilità civile del giornalista rispetto alle dichiarazioni rese dall'intervistato
Giulia Nespolo
La questione prospettata dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, 25 luglio 2022, n. 23166, richiede l’analisi del rapporto tra il reato di diffamazione a mezzo stampa, la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica e la possibilità che sorga responsabilità civile in capo al giornalista che abbia riportato le dichiarazioni rese dall’intervistato. Ai fini di una completa analisi della sentenza in commento, appare opportuno procedere ad una breve disamina sulla vicenda in esame. In particolare, i giornalisti esercitavano correttamente il diritto di cronaca, poiché lo scritto riportava fedelmente e in modo imparziale un’intervista giornalistica resa dall’intervistato che presentava profili di interesse pubblico all’informazione. Orbene, chiariti i termini della vicenda, ai fini di un corretto inquadramento giuridico del caso di specie su cui si fonda la sentenza in esame, appare opportuno eseguire un’attenta disamina in ordine alle possibili fattispecie criminose integrate dai giornalisti con la loro condotta. In particolare, occorre analizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa ex art. 595, comma 3, c. p. e la rilevanza del diritto di cronaca e di critica in merito all’applicabilità della scriminante dell’esercizio del diritto ex art. 51 c. p. Il reato di diffamazione a mezzo stampa si sostanzia nella condotta di offendere la reputazione altrui attraverso il mezzo di comunicazione della stampa. A tal proposito, il bene giuridico tutelato dal reato consiste nell’interesse a prestare tutela alla reputazione altrui. Quest’ultima, risulta meritevole di protezione costituzionale, atteso che la reputazione altrui rientra nel novero dei diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost. Per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato, è rappresentato dalla condotta di offendere la reputazione altrui attraverso il mezzo di comunicazione della stampa. Essa costituisce una forma aggravata del reato di diffamazione, quindi devono sussistere gli ulteriori presupposti richiesti da tale delitto. Il reato in parola è considerato particolarmente lesivo, poiché tale mezzo di comunicazione per sua natura consente di raggiungere un numero elevato di persone, maggiore diffusività. Per quanto attiene all’elemento soggettivo del reato, è richiesto il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di offendere la reputazione altrui attraverso il mezzo di comunicazione della stampa. Alla stregua di quanto rammentato, in tale reato assume particolare rilevanza la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica. In ossequio alla libertà di manifestazione del pensiero tutelata a livello costituzionale ex art. 21 Cost., vengono considerate scriminanti della fattispecie in esame il diritto di cronaca e di critica, a condizione che siano rispettati canoni della notizia fornita, verità dei fatti narrati, interesse pubblico all’informazione e continenza delle espressioni utilizzate. Nell’ipotesi in cui i giornali riferiscono fatti che ledono la reputazione altrui non ricorre il reato di diffamazione. Ciò posto, chiariti i termini in merito ai profili normativi del reato di diffamazione a mezzo stampa e dell’applicabilità della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, ai fini di una completa analisi della sentenza in commento, appare opportuno esaminare le peculiarità della responsabilità civile che sorge dal reato di diffamazione a mezzo stampa di natura non patrimoniale ex art. 2059 c. c. La responsabilità civile di natura non patrimoniale si sostanzia in tutti quei danni indicati tassativamente dalla legge e deve avere ad oggetto la lesione di un bene giuridico tutelato a livello costituzionale. Difatti, si ha oramai una lettura costituzionalmente orientata di tale danno. Per danno morale si intendono le afflizioni fisiche anche di natura psichica cagionate dall’illecito. Il danno non patrimoniale inteso come danno morale, si inquadra nel sistema risarcitorio tripolare, che è incentrato sulle figure del danno biologico, del danno morale soggettivo e del danno patrimoniale. Il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, senza duplicazioni. La lesione deve aver cagionato un pregiudizio serio. Ciò posto, è necessario procedere alla risoluzione della questione sottesa alla vicenda sottoposta al vaglio della sentenza in esame. Occorre valutare se il giornalista che riporti fedelmente in uno scritto le dichiarazioni rilasciate dall’intervistato, senza manipolarle in alcun modo, abbia esercitato correttamente il diritto di cronaca ex art. 51 c. p., ovvero abbia integrato il reato di diffamazione a mezzo stampa ex art. 595, comma 3, c. p. Peraltro, occorre verificare se, anche non integrando il suddetto reato, per effetto della lesione della reputazione altrui, sia comunque tenuto al risarcimento dei danni ex art. 2059 c. c. Sul punto, si è ritenuto che in tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora la cronaca abbia ad oggetto il contenuto di un’intervista, il requisito della verità dei fatti deve essere apprezzato in relazione alla corrispondenza fra le dichiarazioni riportate dal giornalista e quelle effettivamente rese dall’intervistato. Ne discende che il giornalista non può essere chiamato a rispondere di quanto affermato dall’intervistato laddove non abbia manipolato od elaborato tali dichiarazioni, in modo da falsarne anche parzialmente il contenuto, sempre che ricorrano gli ulteriori requisiti dell’interesse pubblico alla diffusione dell’intervista e della continenza, da intendersi rispettato per il sol fatto che il giornalista abbia riportato correttamente le dichiarazioni, a prescindere da qualsiasi valutazione sul contenuto (Cons. in dir. 6., Cass. civ., Sez. I., sent. n. 23166/2022). Alla luce di tale fondamentale passaggio della sentenza in commento, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi. Tuttavia, al fine di riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, seppure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca. A seguito della sentenza cd. decalogo dei giornalisti è stato riconosciuto ai soggetti diffamati e lesi dal reato di diffamazione il diritto di tutelare la propria reputazione in sede civile, senza che sussista la necessità di avviare l’azione penale, portando tali soggetti a preferire l’azione civile rispetto a quella penale. Ai fini della risarcibilità dei danni conseguenti dal reato di diffamazione a mezzo stampa non è richiesto che la responsabilità dell’autore del fatto illecito sia stata accertata a seguito di un procedimento penale. L’onore e la reputazione che costituiscono diritti inviolabili della persona, la quale ha generato il reato di diffamazione a mezzo stampa, fa sorgere in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato. Ai fini risarcitori è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o colpa. Nell’ipotesi in cui il soggetto sia leso dal reato di diffamazione a mezzo stampa e agisca in sede civile, si deve accertare incidenter tantum la sussistenza della fattispecie penale del reato di diffamazione. Tale accertamento, a differenza che in sede penale, prescinde dalla sussistenza dell’elemento psicologico del dolo. In ambito civilistico, l’accertamento del reato di diffamazione avviene incidenter tantum. Nel caso in cui tale accertamento emerga anche in assenza di una condanna in sede penale, viene dichiarata la risarcibilità del danno di natura non patrimoniale ex art. 2059 c. c., derivante dal fatto illecito. A tal proposito, nel caso di specie, appare evidente che i giornalisti abbiano riportato fedelmente nello scritto le dichiarazioni rilasciate dall’intervistato. In tal modo, i giornalisti, così operando, hanno esercitato il loro diritto di cronaca e di critica. Per tale ragione, gli stessi non rispondono delle dichiarazioni offensive riportate nello scritto e rilasciate dall’intervistato, non avendole manipolate in alcun modo. Tuttavia, i giornalisti saranno tenuti al risarcimento del danno nei confronti del soggetto che è stato leso nella propria reputazione. Dunque, alla luce delle enunciazioni giurisprudenziali e delle superiori argomentazioni si deve concludere che i giornalisti, con la loro condotta, non abbiano integrato il reato di diffamazione a mezzo stampa ex art. 595, comma 3, c. p., in quanto scriminato dalla causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica ex art. 51 c. p. Tuttavia, i giornalisti, seppure ritenuti esenti dalla responsabilità penale, saranno tenuti a rispondere in sede civile per il medesimo fatto di diffamazione a mezzo stampa, rispondendo della responsabilità civile di natura non patrimoniale ex art. 2059 c. c. Difatti, la soluzione alla quale è addivenuta la sentenza in commento, è apparsa condivisibile, atteso che la stessa abbia attribuito rilevanza alla scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica anche per i giornalisti che riportino fedelmente in uno scritto le dichiarazioni rilasciate dall’intervistato, senza manipolarle in alcun modo, escludendo la responsabilità penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa. In tale prospettiva, anche non essendovi stato l’accertamento della responsabilità in sede penale, si riconosce il risarcimento dei danni in sede civile, di natura non patrimoniale ex art. 2059 c. c. in favore della persona a cui è stata lesa la reputazione.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. I, 25 luglio 2022, n. 23166)
stralcio a cura di Francesco Taurisano
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