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Leasing finanziario: fallimento dell'utilizzatore e irretroattività della L.124/2017, commi 136-140

Saverio Bellocchio

 

La Suprema Corte di Cassazione, con una importante pronuncia delle Sezioni Unite, ricostruisce il quadro normativo applicabile al contratto di leasing traslativo nel caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, poi fallito.

Un istituto di credito concedeva in locazione finanziaria un capannone industriale ad una società. Detto contratto veniva a scadere senza che la società utilizzatrice avesse esercitato il diritto di opzione per l’acquisto del capannone, risultando altresì inadempiente al pagamento delle ultime rate dovute. Il concedente aveva quindi azionato la clausola risolutiva espressa presente nel contratto, ottenendo un decreto ingiuntivo per l’importo dei canoni non corrisposti. A seguito dell’intervenuto fallimento, nel 2016 dell’utilizzatrice, l’istituto di credito concedente proponeva domanda di insinuazione al passivo del credito maturato per le rate scadute e non pagate.

Tanto il Giudice delegato, quanto il Tribunale adito in sede di opposizione, rigettavano le pretese avanzate dall’istituto di credito, rilevando che il contratto di leasing si era risolto di diritto prima dell’intervenuto fallimento dell’utilizzatrice, sicché doveva ritenersi applicabile l’art. 1526 c.c., secondo cui al concedente deve essere riconosciuto solamente un equo compenso per l’utilizzo della cosa concessa in locazione finanziaria.

Ricorreva quindi per cassazione l’istituto di credito, contestando la ricostruzione operata dai giudici di merito circa la disciplina giuridica applicabile al contratto di leasing traslativo. Questione che ha visto la Terza Sezione civile segnalare l’esigenza che ad esprimersi fossero proprio le Sezioni Unite, al fine di chiarire «la perdurante applicabilità dell’art. 1526 c.c. ai contratti di leasing risolti prima della legge n. 124 del 2017».

Per poter pienamente comprendere la portata sistematica dell’arresto in commento, occorre considerare che storicamente la giurisprudenza ha accolto una netta separazione tra il negozio del leasing di godimento e quello traslativo[1]. Nel primo, ciò che rileva è la funzione economico-sociale del finanziamento che viene concesso per lo scopo di godimento di un bene. Nel leasing traslativo, d’altro canto, il finanziamento è strutturalmente funzionale al trasferimento della proprietà del bene in capo all’utilizzatore, al quale viene quindi riconosciuto un diritto di opzione da esercitarsi alla scadenza del contratto per un prezzo inferiore rispetto al valore residuo del bene, proprio perché in tal caso l’ammontare del canone assorbe non solo il godimento della cosa ma anche una quota del prezzo finale. Da tale summa divisio è derivata l’esigenza, anch’essa di matrice giurisprudenziale[2], di tutelare la posizione del concedente in caso di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing traslativo, atteso che la prassi negoziale ne escludeva il diritto alla restituzione dei canoni già versati, obbligandolo anzi a titolo di penale al pagamento di quelli ancora dovuti.

Diretta conseguenza di quanto sopra è stata la pacifica, trentennale, applicazione in via analogica dell’art. 1526, dettato dal c.c. in materia di vendita con riserva di proprietà, anche nei casi di risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore, cosicché il concedente ha diritto a vedersi restituita la cosa concessa in locazione finanziaria, a un equo compenso per l’uso della stessa e al risarcimento del danno subito ma, dall’altro lato, è tenuto a restituire le rate riscosse in pendenza di contratto. Diversamente, invece, per il contratto di leasing di godimento è l’art. 1458 c.c. a regolare la risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che l’utilizzatore è sì tenuto a restituire il bene, ma non ha diritto alla ripetizione delle rate già riscosse.

L’equilibrio del sistema, per come ricostruito dalle pronunce di legittimità e di merito succedutesi nei decenni, è stato scosso alle fondamenta da due interventi del Legislatore. Il primo, nel 2006, ha condotto all’introduzione dell’art. 72 quater nella Legge Fallimentare (di seguito breviter L. F.) che, nel disciplinare la sorte del contratto di leasing in caso di fallimento dell’utilizzatore, specifica che in caso di scioglimento del rapporto ad opera del curatore «il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale»[3]. Quindi, con la legge n. 124/2017, il Legislatore ha definitivamente tracciato un quadro normativo organico per i contratti di leasing[4] e in particolare, per quel che più interessa ai presenti fini, il comma 137 dell’art. 1 stabilisce una disciplina analoga a quella dettata dall’art. 72 quater L.F., affermando che in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore «il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all'ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita».

E proprio sulla scorta di tale rinnovato contesto normativo, l’istituto di credito ricorrente ha dedotto l’avvenuto superamento della distinzione tra leasing di godimento e quello traslativo, con la conseguenza per cui in caso di risoluzione per inadempimento per quest’ultimo non troverà più applicazione l’art. 1526 c.c., bensì la disciplina ricavabile dalla legge n. 124/2017 e dall’art. 72 quater L. F.

Ed invero, tali argomentazioni sono state fatte proprie anche da plurime recenti sentenze di legittimità[5], secondo le quali, a ben vedere, le novità normative introdotte si rifletterebbero anche sui rapporti contrattuali a cui non sarebbero applicabili ratione temporis, in virtù di una interpretazione storico-evolutiva che deve necessariamente tenere conto della chiara volontà dell’ordinamento vigente di regolare il contratto di leasing, e l’ipotesi di risoluzione per inadempimento dello stesso, in termini autonomi e diversi rispetto a quanto previsto per la vendita a rate. Motivo per cui anche ai contratti di leasing qualificabili come traslativi, che si siano risolti prima dell’entrata in vigore della legge n. 124/2017, si dovrebbe applicare in via analogica l’art. 72 quater Legge Fallimentare, in quanto espressione del medesimo disegno normativo.

Per risolvere la tensione venutasi a creare in seno alla Suprema Corte stessa, figlia della spinta evolutiva dettata dalle recenti pronunce che predicano l’avvenuto superamento, anche in via retroattiva, della distinzione tra leasing di godimento e traslativo, le Sezioni Unite sfoggiano una sentenza-trattato che chiarisce e risolve in maniera certosina la vexata quaestio, senza lasciare adito ad ulteriori interpretazioni.

Ritengono le Sezioni Unite che debba condividersi l’orientamento tradizionale «che ha costantemente tratto dall’art. 1526 c.c., in forza di interpretazione analogica, la disciplina atta a regolare gli effetti della risoluzione per inadempimento di contratto di leasing (traslativo) verificatasi prima dell’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017 e del fallimento dell’utilizzatore resosi inadempiente». Viene rilevato infatti che se pur è vero che la legge n. 124/2017 ha fatto convergere «in un unico tipo» le due fattispecie di leasing, allo stesso tempo tale disciplina non ha carattere retroattivo. Potrà quindi applicarsi ai contratti di leasing conclusi antecedentemente all’entrata in vigore se e solo se medio tempore non si siano verificati i presupposti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore. Né, a parere delle Sezioni Unite, si potrebbe giungere a ritenere applicabile analogicamente l’art. 72 quater L. F., il quale è norma di natura eccezionale ed esclusivamente endoconcorsuale, potendo trovare applicazione solo a quei contratti in essere al momento del fallimento dell’utilizzatore ma sciolti unilateralmente dal curatore[6]. Il che quindi conduce infine la Suprema Corte a qualificare il tentativo di applicare analogicamente l’art. 72 quater ad un contratto di leasing finanziario già risolto per inadempimento, frutto non di una interpretazione sistematica ed evolutiva delle norme implicate, bensì di «una operazione disallineata rispetto ai criteri posti dall’art. 12 delle preleggi e avente carattere di dissimulata applicazione retroattiva della stessa legge n. 124 del 2017».

 

[1] Inaugurata già sul finire degli anni ’80 da Cass. Civ., 13 dicembre 1989, nn. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574. In dottrina ex multis Riva I., Leasing di godimento v. leasing traslativo: debolezze di una dicotomia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, I, 592.

[2] Sul punto si veda Cass., sez. un., 7 gennaio 1993, n. 65.

[3] Tra la vastissima la letteratura formatasi in materia v. Vattermoli, D., Commento all’art. 72 quater, in Nigro, A.-Sandulli, M, a cura di, La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006, I, 453; Inzitari B., Nuove riflessioni in tema di leasing nella disciplina dei rapporti pendenti della novella fallimentare (art. 72 quater l. fall.), in Il Caso, 2006.

[4] Lucchini Guastalla E., Il contratto di leasing finanziario alla luce della legge n. 124/2017, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 179 ss.

[5] Ci si riferisce a Cass. Civ. 29 marzo 2019, n. 8980 e alle seguenti Cass. Civ. 10 maggio 2019, n. 12552; Cass. Civ. 10 luglio 2019, n. 18543; Cass. Civ. 20 agosto 2019, n. 18545; Cass. Civ. 30 settembre 2019, n. 24438; Cass. Civ. 28 ottobre 2019, n. 27545.

[6] In tal senso v. Capizzi A., In tema di leasing traslativo risolto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, in Giur. comm., 2014, 2, 493.

Argomento: Del contratto di leasing
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS.UU., 28 gennaio 2021, n. 2061)

stralcio a cura di Fabrizia Rumma

"(...)4.5.1. - La disciplina recata dalla L. n. 124 del 2017 non ha, però, carattere retroattivo, essendo essa priva degli indici che consentono di riconoscerle efficacia regolativa per il passato, non avendo in tal senso disposto lo stesso legislatore, nè proponendosi la novella di operare una interpretazione autentica di un assetto legale precedente, in quanto essa interviene, in modo innovativo, a colmare una lacuna ordinamentale circa la disciplina del contratto di locazione finanziaria, cui soltanto il formante giurisprudenziale aveva posto rimedio attraverso l'integrazione analogica di cui si è già detto. L'efficacia della legge del 2017 è, dunque, pro-futuro, senza che il legislatore si sia, però, preoccupato di dettare una disciplina intertemporale, avuto riguardo ai rapporti contrattuali in corso di svolgimento al momento della sua entrata in vigore.(...)Deve ritenersi che l'applicazione della nuova legge è consentita, nei confronti di contratto di leasing finanziario concluso antecedentemente alla sua entrata in vigore (...) allorchè, ancora in corso di rapporto, non si siano ancora verificati i presupposti (legali o convenzionali) della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore: ossia non si sia verificato, prima dell'entrata in vigore di detta legge, il fatto generatore degli effetti giuridici derivanti dalla applicazione del diritto previgente. (..)Ed è proprio in ragione di tutte le evidenze appena elencate che il "diritto vivente" ha escluso - in assenza di una eadem ratio e di simili elementi, strutturali e/o funzionali, rilevanti - che la disciplina dettata dall'art. 72-quater L. Fall. potesse trovare applicazione analogica in caso di contratto di leasing finanziario risolto, per inadempimento dell'utilizzatore, prima del fallimento di quest'ultimo, avendo invece rinvenuto la disposizione idonea a colmare la lacuna ordinamentale, in coerenza con i criteri di cui all'art. 12 preleggi, in quella generale codicistica dell'art. 1526 c.c., in ipotesi di leasing traslativo.(...) 4.7.2. - In tale prospettiva va allora considerato che, ove la vendita o altra allocazione sul mercato del bene concesso in leasing non avvenga, non vi può essere (come precisato da Cass. n. 15202 del 2018, citata) "in concreto una locupletazione che eluda il limite... ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto". Per cui resta fermo [continua ..]

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