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Negozio dissimulato: necessaria la forma scritta per ricorrere ai mezzi di prova

Cesare Valentino

 

 

Con la sentenza 10933/2022 la Suprema Corte interviene sulla vexata quaestio afferente ai limiti di prova che le parti contraenti incontrano in presenza di un negozio dissimulato "formale". Purtuttavia, al fine di più proficua comprensione delle conclusioni interpretative cui addiviene il giudice della nomofilachia, si rende necessaria una preliminare ricognizione del complesso sostrato fattuale sottostante la decisione.

Nella specie due coniugi agivano in giudizio al fine di ottenere la risoluzione per inadempimento di un contratto di compravendita stipulato con una società cooperativa ed avente ad oggetto un immobile del valore di lire 300.000.000 sostenendo che la quietanza contenuta nel rogito risultava simulata, atteso che l'acquirente giammai aveva corrisposto il prezzo della vendita.

La società convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, in quanto la stessa risultava infondata. Infondatezza derivante dalla circostanza che il mancato pagamento da parte della società stessa non era affatto un inadempimento, ma rientrava in un più articolato programma negoziale nell'ambito del quale il trasferimento immobiliare costitutiva la controprestazione alla rinuncia da parte della società a richiedere il rimborso di somme di cui uno dei coniugi si era illegittimamente appropriato nel momento in cui aveva rivestito la carica di amministratore nella cooperativa. Nella sostanza le parti avevano dissimulato, dietro un'apparente vendita, una datio in solutum.

La domanda di risoluzione di parte attrice verrà rigettata sia in primo che in secondo grado, determinando la stessa a ricorrere per Cassazione.

Di seguito, con sentenza n. 23971/2013 la Suprema Corte cassava con rinvio la decisione d'appello, rilevando che la società aveva sempre ammesso il mancato pagamento, giustificandolo in quanto alla base dello stesso vi era una simulazione relativa, peraltro mai provata. In sede di rinvio si doveva pertanto stabilire se il mancato pagamento configurasse un inadempimento contrattuale o una datio in solutum.

Il giudice del rinvio propendera' nel secondo senso, in quanto dalle risultanze processuali era emerso che le parti, dietro l'ombrello di un'apparente vendita, avevano inteso dissimulare una datio in solutum. Pertanto, il mancato pagamento del prezzo, discendente dall'aver le parti dato luogo ad una datio in solutum (che doveva compensare il danno subito dalla societa'), non essendo qualificabile come inadempimento, conduceva al rigetto della domanda di risoluzione.

I due coniugi, soccombenti nel giudizio di rinvio, decidevano di impugnare la sentenza emessa in tale sede attraverso ricorso per Cassazione, che si concluderà con l'accoglimento delle censure prospettate dagli stessi.

Ricostruito il complesso quadro fattuale sotteso alla decisione, occorre soffermarsi sulla vexata quaestio su cui si innesta il dictum della Suprema Corte, afferente in particolare i limiti che le parti contraenti incontrano nella prova di un negozio dissimulato "formale". È tale il negozio del quale le parti, nell'ipotesi di simulazione relativa[1], vogliono gli effetti, e che viene occultato dietro l'apparenza del negozio simulato, inefficace tra le parti e ostentato verso terzi.

Nel caso deciso dalla Suprema Corte tale questione era strettamente connessa alla qualificazione del mancato pagamento lamentato dai ricorrenti, che poteva non integrare inadempimento se solo il medesimo risultava giustificato dalla sussistenza di una datio in solutum immobiliare, come riconosciuto anche dal giudice d'appello. Al riguardo la Suprema Corte richiama innanzitutto i principi generali che governano la prova del congegno simulatorio, desumibili dall'impianto codicistico, e determinanti una netta differenziazione probatoria[2] tra le parti contraenti e i terzi. Ed infatti mentre per questi ultimi la prova della simulazione può esser data con qualsiasi mezzo (finanche testimoni e presunzioni), le parti incontrano limiti nel provare l'operazione di simulazione. In particolare, alle stesse sarà preclusa la prova della simulazione tramite testimoni o presunzioni, disponendo di regola della controdichiarazione scritta[3].

L'applicazione di tali principi all'ipotesi di contratto dissimulato formale conduce la Suprema Corte a ritenere che la prova del medesimo ad opera delle parti può esser fornita solo tramite la controdichiarazione scritta, la cui sussistenza consente il rispetto del vincolo formale discendente dal combinato disposto degli art. 1414 c. 2 e 1350 c.c. ed incidente sulla stessa validità del negozio. In tale prospettiva il Supremo Collegio rileva non solo che la confessione non può giammai supplire alla carenza di un onere formale imposto per la validità del negozio[4], ma che tale onere neppure può ritenersi soddisfatto per il tramite del negozio simulato, attesa la mancanza di una formalizzazione scritta di un elemento essenziale dello scambio, ovverosia la controprestazione del trasferimento immobiliare[5].

 

 

 

[1] Per una trattazione sistematica della simulazione sia consentito il rinvio a: C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2019, p. 652 e ss.; M.C. DIENER, Il contratto in generale, Milano, 2015, p. 733 e ss.; L. GUAGLIONE, Il contratto, Torino, 2018, p. 430; A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, (a cura di) F. Anelli e C. Granelli, Milano, 2021, p. 650 e ss.

[2] La ratio di tale differente articolazione probatoria si ricollega alla difficoltà per i terzi di mettere le mani sul documento dal quale risulti l'intesa simulatoria. In ordine alla suindicata differenziazione probatoria si vd. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op. cit., p. 659 e ss.; C.M. BIANCA, op. cit., p. 665 e ss.

[3] Per le parti non vi sono limiti per la prova della simulazione allorquando intendano far valere la illiceità del contratto dissimulato.

[4] Che pertanto doveva risultare per iscritto, ed in particolare dalla controdichiarazione.

[5] Sul punto anche SS.UU. Cass. n. 7246/2007.

Argomento: Delle obbligazioni
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. II, 5 Aprile 2022, n. 10933)

stralcio a cura di Francesco Taurisano

"3.1. (...) E’ opportuno premettere che la "datio in solutum", costituendo un contratto a titolo oneroso solutorio-liberatorio, che estingue l'obbligazione in modo satisfattivo, è assoggettata alla disciplina generale dei contratti, con la conseguenza che deve essere rispettata la forma che attiene alla natura della prestazione oggetto di dazione (Cass. 17810/2021, secondo cui è soggetto alla forma scritta ad substantiam anche il patto modificativo di un contratto di alienazione immobiliare con cui le parti abbiano sostituto ad un originario trasferimento immobiliare la consegna di somme di denaro; analogamente, nel senso che solo le modifiche dei contratti formali che non investano gli elementi essenziali del negozio, ma ad es. prevedano modifiche alle modalità di adempimento, non richiedano la formalizzazione scritta: Cass. 2268/1980; Cass. 5290/1982; Cass. 6990/1986; Cass. 13703/2005; Cass. 419/2006; 525/2020). E’ altresì noto che l’art. 1414 c.c. vuole che tra le parti non produca effetto il contratto simulato ma che abbia effetto il contratto dissimulato purché ne sussistano i requisiti di forma e di sostanza. Nella specie, quindi, essendo stato concepito un trasferimento immobiliare in funzione solutoria, la datio in solutum, quale negozio dissimulato, era sottoposto alla forma scritta a pena di invalidità (art. 1350 c.c.). Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di prova della simulazione di una compravendita immobiliare, la mancanza della controdichiarazione osta all'ammissibilità dell'interrogatorio formale, ove rivolto a dimostrare la simulazione relativa, giacché la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, non può supplire al difetto dell'atto scritto, necessario per il contratto diverso da quello apparentemente voluto; viceversa, ove sia diretto a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, l'interrogatorio formale è ammissibile, anche tra i contraenti, perché, in tal caso, oggetto del mezzo di prova è l'inesistenza stessa della compravendita (Cass. 6262/2017; Cass. 4071/2008). Più in particolare, per il disposto dell'art. 1417 c.c., le limitazioni di prova della simulazione per i contraenti concernono la prova per testimoni e quella per presunzioni (sempreché non si tratti di far valere l'illiceità del contratto dissimulato, nel qual caso la prova anzidetta è [continua ..]

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