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L'assegnazione della casa familiare come tutela dell'interesse dei figli alla continuità della vita familiare

Cecilia De Luca

 

La Suprema Corte di Cassazione, in seguito ad un’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione Civile, è stata chiamata a pronunciarsi sulla seguente questione: “se – in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati già destinato a residenza familiare e, per tale ragione, assegnato in sede di separazione, al coniuge affidatario della prole – occorra tenere conto della diminuzione di valore commerciale del cespite conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge a cui è stata affidata la prole, pure nel caso in cui la divisione si realizzi mediante attribuzione a quest’ultimo della proprietà dell’intero immobile con conguaglio a favore del comproprietario e, quindi, determinandolo non in rapporto al valore venale dello stesso immobile, bensì in misura ridotta che tenga conto dell’incidenza della permanenza di tale vincolo, opponibile anche ai terzi”.

Tale questione ha tratto origine dalla pretesa avanzata da un coniuge, attore, legalmente separato dalla moglie, per sentire disporre lo scioglimento della comunione legale esistente su un loro immobile.

La convenuta si costituiva in giudizio opponendosi allo scioglimento della comunione immobiliare ai sensi dell’art. 717 c.c. nonché degli artt. 1111 e 1116 c.c., e chiedeva che si procedesse alla divisione del compendio immobiliare previo accertamento del suo valore, che tenesse conto dell’assegnazione in suo favore dello stesso a titolo di casa coniugale, come disposta nel giudizio di separazione giudiziale, nonché considerando la coabitazione con lei delle figlie di minore età che le erano state affidate.

In primo grado, il Tribunale, in relazione alla sola domanda di scioglimento della comunione, la accoglieva, attribuendo alla convenuta la proprietà esclusiva dell’anzidetto compendio immobiliare, determinando il conguaglio dovuto dalla stessa a favore dell’attore.

Avverso la suddetta decisione definitiva di primo grado, fu proposto appello ai fini della richiesta della riforma della determinazione del conguaglio da versare, all’appellato, rinnovando se del caso la c.t.u. per stabilire il valore dell’immobile gravato dal provvedimento di assegnazione quale casa coniugale.

Tuttavia, il giudice di secondo grado concludeva, conformemente a quello di prime cure, per la convinta adesione al principio secondo cui l’assegnazione del godimento della casa familiare, ai sensi degli artt. 155 e 155-quater c.c. previgenti, ovvero in forza della legge sul divorzio n. 898 del 1970, con specifico riferimento al suo art. 6, comma sesto, non può essere considerata in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora lo stesso venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento quale casa coniugale, atteso che il provvedimento di assegnazione per quest’ultimo titolo viene adottato nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario; diversamente, si realizzerebbe un’indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale, in relazione, cioè, al suo valore venale determinato dall’andamento del mercato immobiliare.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello è stato, poi, proposto ricorso per cassazione, avente ad oggetto la questione centrale: se in sede di divisione fra ex coniugi della casa familiare, oggetto di assegnazione in favore di uno di essi in sede di separazione, occorra tenere o meno conto dell’incidenza negativa del diritto sul valore del bene anche quando la divisione si concluda con l’attribuzione dell’intero immobile al coniuge beneficiario della sua destinazione a casa familiare.

Ravvisandosi, con l’ordinanza interlocutoria succitata, n. 28871 del 2021, un contrasto giurisprudenziale sulla questione sopra indicata, nel quale sono emersi due orientamenti formatisi all’interno della stessa Corte, vi è stata la rimessione alle Sezioni Unite del medesimo al fine di rinvenire una soluzione ragionevole e condivisibile: secondo un primo orientamento, il provvedimento di assegnazione della casa familiare non verrebbe ad incidere sul valore di mercato del cespite allorché l’immobile, in sede di divisione, venga attribuito in proprietà al coniuge affidatario della prole, atteso che la finalità perseguita con l’attribuzione di questo diritto atipico di godimento è esclusivamente la tutela dei figli minori o, comunque, non autosufficienti, rispetto alla conservazione del loro habitat familiare; secondo l’opposto orientamento, l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo oggettivo determinante una decurtazione del valore della proprietà, sia totalitaria che parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane condizionato come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento di assegnazione non sia eventualmente modificato.

In proposito, è da ricordarsi che la vigente disciplina, in punto di assegnazione della casa familiare in sede di separazione tra i coniugi, è mutata con la riforma di cui al d. lgs. n. 154 del 2013, il quale ha riproposto, mediante il suo art. 55, comma primo, con alcune modifiche, il contenuto dell’art. 155-quater c.c., introducendo l’art. 337-sexies c.c., che detta, al comma primo, per la fase di separazione, i principi cardine dell’assegnazione della casa familiare.

Per quanto concerne la fase divorzile, invece,  la disciplina è dettata dal comma sesto dell’art. 6 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 11 della legge n. 74 del 1987.

Come è agevole desumere, l’assegnazione della casa familiare è, di regola, funzionale a tutelare l’interesse prioritario dei figli alla continuità della vita familiare, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale contesto si sono radicate, onde preservarne l’habitat dai possibili esiti negativi conseguenti alla crisi coniugale, giacché la casa rappresenta il luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e continua a svolgersi la prosecuzione delle relazioni domestiche.

Per quanto concerne la natura giuridica del diritto di assegnazione della casa coniugale, la tesi che risulta essere più accreditata, e che le Sezioni Unite condividono, lo ricostruisce come diritto di godimento sui generis, ossia originato dal provvedimento di assegnazione e non definibile come diritto reale o semplice vincolo di destinazione, che lo considera estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all’interesse superiore dei figli a conservare il proprio habitat domestico.

Quanto appena illustrato trova conferma nella dottrina, che si è mostrata, anch’essa, divisa nell’affrontare il tema dei rapporti tra provvedimento di assegnazione e valutazione del cespite costituente la casa familiare di cui l’assegnatario chieda, ed ottenga, l’attribuzione per intero in sede di divisione.

Si è, da parte dei prevalenti orientamenti teorici, sostenuto che l’eventuale assegnazione al coniuge del cespite in comproprietà incide sul valore venale dell’immobile solo allorché il bene sia venduto ad un terzo o attribuito al coniuge non assegnatario. Nel caso opposto, di coincidenza tra attribuzione in sede di divisione e assegnazione, il diritto dominicale riassorbe in sé quello atipico di godimento.

Secondo un diverso indirizzo dogmatico, il godimento abitativo accordato dall’assegnazione non sfumerebbe a seguito del conseguimento nel corso del giudizio di divisione dell’intera titolarità del bene assegnato, conservando, per contro, i suoi effetti fino a quando l’unità immobiliare resta asservita alla tutela dei figli e dell’habitat domestico.

Altro indirizzo scientifico, argomentando dal nuovo testo dell’art. 568, comma secondo, c.p.c., che fissa i criteri di determinazione del valore del bene immobile in sede di esecuzione forzata, ove vanno considerati lo stato di possesso nonché i vincoli ed oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, sostiene che l’assegnazione incide, comunque, sul valore economico del cespite.

La soluzione offerta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione condivide l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui lo scioglimento della comunione immobiliare si attui mediante attribuzione dell’intero al coniuge affidatario della prole, il valore dell’immobile oggetto di divisione non può risentire del diritto di godimento già assegnato allo stesso a titolo di casa coniugale, poiché esso viene ad essere assorbito o a confondersi con la proprietà attribuitagli per intero, con la conseguenza che, ai fini della determinazione del conguaglio in favore dell’altro coniuge, bisognerà porre riferimento, in proporzione alla quota di cui era comproprietario, al valore venale dell’immobile attribuito in proprietà esclusiva all’altro coniuge, risultando, a tal fine, irrilevante la circostanza che nell’immobile stesso continuino a vivere i figli minori e non ancora autosufficienti rimasti affidati allo stesso coniuge divenutone proprietario esclusivo, in quanto il relativo aspetto continua a rientrare nell’ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole da regolamentare nella sede propria, con la eventuale modificazione in proposito dell’assegno di mantenimento.

In conclusione, ne deriva una soluzione differenziata del valore dell’immobile, a seconda che il medesimo sia assegnato in proprietà esclusiva al coniuge che, per essere residente con i figli o affidatario degli stessi, aveva su di esso il diritto di cui al citato art. 337-sexies, primo comma, c.c., già art. 155-quater c.c., ovvero, in alternativa, sia trasferito in proprietà per l’intero all’altro coniuge, o venduto ad un terzo, posto che, in questi due ultimi casi, il diritto di godimento in capo all’altro coniuge continua a sussistere.

 

 

 

 

 

Argomento: Delle persone e della famiglia
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS.UU., 9 giugno 2022, n. 18641)

stralcio a cura di Daniela Evoluzionista

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“(…) 2. L'enucleazione del quesito relativo alla questione giuridica oggetto di contrasto rimessa alle Sezioni unite. Se - in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati già destinato a residenza familiare e, per tale ragione, assegnato, in sede di separazione, al coniuge affidatario della prole - occorra tenere conto della diminuzione del valore commerciale del cespite conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge a cui è stata affidata la prole, pure nel caso in cui la divisione si realizzi mediante attribuzione a quest'ultimo della proprietà dell'intero immobile con conguaglio in favore del comproprietario e, quindi, determinandolo non in rapporto al valore venale dello stesso immobile, bensì in misura ridotta che tenga conto dell'incidenza della permanenza di tale vincolo, opponibile anche ai terzi". (…) 4. Il contesto normativo di riferimento. (…) l’assegnazione della casa familiare è, di regola, funzionale a tutelare l'interesse prioritario dei figli alla continuità della vita familiare (per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale contesto si sono radicate), onde preservarne l'habitat dai possibili esiti negativi conseguenti alla crisi coniugale, giacché la casa rappresenta il luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e continua a svolgersi la prosecuzione delle relazioni domestiche. In sostanza, la casa familiare si identifica nel luogo in cui i figli minori o non ancora autosufficienti costruiscono le loro vite affettive attraverso il rapporto con i genitori nello scorrere relazionale della vita quotidiana, o, meglio, nel luogo protetto dove, in particolare, la prole minorenne potrà elaborare l'esperienza traumatica che può scaturire dalla crisi di coppia. (…) Ne deriva che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, prioritariamente destinato al coniuge affidatario dei figli o con essi residente, è destinato a creare un vincolo di destinazione sui generis, collegato all'interesse superiore dei figli, si atteggia - secondo l'opinione maggiormente seguita - a diritto personale di godimento del cespite e viene a caducarsi nel caso di allontanamento del coniuge assegnatario, ossia allo scemare delle ragioni di protezione della prole per [continua ..]

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