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Gli effetti dell'attribuzione congiuntiva di beni ereditari
Nicola D'Onofrio
La pronuncia in esame muove dalla richiesta di un erede, il quale conveniva in giudizio le tre sorelle e la propria madre, per procedere alla divisione dei beni caduti nella successione ab intestato del padre (richiesta non opposta dai convenuti).
Nel corso del giudizio decedeva anche la madre, cui ex lege succedevano i quattro figli.
Dopo l’espletamento di due consulenze tecniche d’ufficio, le tre sorelle dell’attore chiedevano l’attribuzione congiunta di taluni beni dell’asse, con conguaglio – per la differenza - a favore di queste da versare da parte del fratello, al quale venivano destinati, invece, altri cespiti appartenenti al de cuius, di valore commerciale superiore.
Il Tribunale di Napoli autorizzava il progetto così come innanzi indicato, ma senza previsione di conguagli, con condanna dell’attore alla refusione di metà delle spese, per il proprio comportamento processuale.
Avverso tale sentenza proponeva appello il fratello, il quale – tra gli altri motivi – si doleva della circostanza che non ci fosse una omogeneità tra la quota congiunta assegnata alle sorelle, le quali pertanto costituivano un unico centro d’interesse, e quella ricevuta dall’appellante uti singuli.
La Corte d’Appello di Napoli, all’esito del giudizio di gravame, confermava quanto statuito dal Tribunale, riformando solo la parte della sentenza di primo grado relativa alla condanna alle spese, le quali venivano compensate integralmente tra le parti.
Il fratello, avverso tale pronuncia, insorgeva dinanzi la Corte di Cassazione sulla base di sette motivi.
Dirimente, ai fini del commento in oggetto, è il terzo motivo di ricorso, ove viene denunciata dal ricorrente la violazione ex artt. 360 c.1 n.4 e 132 c.2 n.4 c.p.c. del provvedimento impugnato per una omessa motivazione della Corte d’Appello di Napoli su alcuni rilievi critici del germano, concernenti differenze qualitative e quantitative tra la propria quota e quella attribuita congiuntamente alle sorelle.
L’attribuzione congiunta di beni a queste ultime, infatti, a detta del ricorrente, avrebbe creato una situazione di svantaggio, poiché avrebbe destinato i cespiti di più ingente valore al gruppo di coeredi, pregiudicando la quota del fratello, la quale risultava – nella prospettazione di parte - più modesta.
La Suprema Corte, preliminarmente, rileva che la fattispecie de quo non rientra nel regime dell’art. 720 c.c. rubricato “immobili non divisibili” - la quale, in tema di divisione di immobili non comodamente frazionabili, statuisce che questi 1) vanno attribuiti per intero a uno degli eredi, con addebito dell’eccedenza, o 2) attribuiti congiuntamente, o come extrema ratio, 3) venduti all’incanto – in quanto il Tribunale ha posto in essere una divisione in natura (incompatibile con il regime dell’art. 720 c.c.).
Infatti le res, costituenti l’asse, sono state suddivise dal Giudice di Merito tra due centri di interesse: le tre sorelle da una parte, le quali avevano espresso la volontà di rimanere in comunione di una quota parte dei beni, ed il fratello dall’altra.
Ciò detto, la Cassazione si sofferma sul concetto di “comoda divisibilità dei beni”, la quale deve necessariamente tenere conto a) della massa di beni da dividere; b) del numero delle quote; c) del numero dei condividenti.
La “comoda divisibilità della massa” è attuabile con diverse modalità: essa, infatti, sarebbe possibile sia ripartendo il bene comune in tante parti quanti sono i numeri e le quote dei condividenti, ma anche mediante la sopra richiamata attribuzione congiunta, ove garantisca l’utilizzo della res sul piano funzionale ed economico senza spese rilevanti ed imposizione di vincoli a carico di altra porzione.
La Cassazione, infatti, già con la pronuncia avente n.8599/2004 aveva rilevato che l’attribuzione congiuntiva di beni ereditari – proponibile per la prima volta anche in appello - produce, di fatto, uno scioglimento dell’asse, con applicazione della disciplina della comunione a quel gruppo di beni congiuntamente attribuiti agli eredi.
Vale la pena evidenziare che, se da una parte, i coeredi hanno diritto ad una proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie di “immobili, mobili e crediti”, dall’altra, va evitato un eccessivo frazionamento del relictum. Quando vi sono più immobili, come nella fattispecie de quo, il giudice deve accertare se il diritto dei singoli condividenti sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure con l'assegnazione ad essi di beni interi. Nell’attribuzione congiuntiva non si pone una questione di indivisibilità o non comoda divisibilità, essendo comunque ottenuta ripartizione dei vari cespiti nel rispetto del valore di ciascuna quota.
Sulla base di ciò, applicando i già menzionati principi al caso di specie, il Giudice di Merito, per la Cassazione, aveva fatto corretta applicazione dei criteri in materia, dal momento che le quote assegnate agli eredi, anche usufruendo dell’istituto dell’attribuzione congiunta, erano rispettose dei valori da attribuire a quest’ultimi.
Il Supremo Collegio è giunto così ad enunciare il seguente principio, per cui “in tema di divisione, la richiesta, proveniente da alcuni coeredi e suscettibile di essere avanzata per la prima volta anche in appello, di rimanere in comunione, al fine di scongiurare gli effetti legali derivanti dalla non comoda divisibilità della massa comune, non integra una domanda nuova, trattandosi di una mera sollecitazione al giudice a rinnovare il giudizio sulla divisibilità in natura dei beni, alla luce del mutato assetto del numero e della consistenza delle quote da comporre ed in vista dell'obiettivo tendenziale di assicurare con la divisione una distribuzione in natura dei beni tra i condividenti, scongiurando che i diritti di alcuni di essi vengano tacitati solo in denaro.”.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. II, 16 dicembre 2021, n. 40426)
stralcio a cura di Fabrizia Rumma
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