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Contratti dei consumatori: in caso di fornitura non richiesta il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva

Giorgio Potenza

 

 

La decisione in commento involge la questione di quali siano i confini della tutela consumeristica predisposta dal nostro ordinamento nelle ipotesi di fornitura di beni o servizi non richiesta, fattispecie originariamente disciplinata dal Codice del Consumo ai sensi dell’art. 57, e che oggi trova applicazione in virtù del comma 1 dell’art. 66 quinquies.

Nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità, un consumatore aveva stipulato un contratto di fornitura di energia elettrica e gas con E. S.p.A., beneficiando delle condizioni economiche e contrattuali del c.d. mercato tutelato. Senonché, dopo alcuni anni di esecuzione del servizio di fornitura, lo stesso si avvedeva della sopravvenuta sostituzione di E. S.p.A. da parte di E. E. S.p.A., società che, pur facendo parte del medesimo gruppo, è del tutto distinta dalla prima ed opera nel mercato c.d. libero. A seguito di formale richiesta di chiarimenti, la nuova società fornitrice asseriva di essere “subentrata” nel rapporto di fornitura in forza di un nuovo contratto (con condizioni economiche difformi e peggiorative rispetto al precedente) stipulato con lo stesso utente; ribadiva pertanto la propria legittimazione a ricevere il pagamento del corrispettivo fino a quel momento maturato per l’espletamento del servizio. L’utente-consumatore, sostenendo invece di non aver mai concluso un nuovo contratto sostitutivo del precedente rapporto con E. S.p.A., si rifiutava di saldare le successive fatture emesse da E. E. S.p.A., formulava istanza di “rientro” con il precedente fornitore e, al contempo, adiva le vie legali, denunciando - in sede penale - l’ipotesi di reato di truffa contrattuale, e convenendo E. E. S.p.A. - nell’instaurando giudizio civile - per l’accertamento della nullità/inesistenza del contratto dalla stessa dedotto, in ragione del formale disconoscimento della sottoscrizione apocrifa ivi apposta, e per la sua condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite, nonché al risarcimento del danno.

Incardinatosi ritualmente il procedimento dinanzi al Giudice di pace (competente per territorio e per valore della causa), la società convenuta si costituiva in giudizio chiedendo, in via principale, il rigetto delle avverse domande, previo riconoscimento del proprio diritto al pagamento del corrispettivo per le prestazioni eseguite e, in via subordinata, con la formulazione di un’eccezione riconvenzionale, la condanna dell’attore al pagamento di una somma pari al corrispettivo che lo stesso sarebbe stato comunque tenuto a versare sulla base delle condizioni economiche del contratto precedentemente concluso con il primo fornitore, a titolo di indennità ai sensi dell’art. 2041 c.c. per l’ingiustificato arricchimento conseguito attraverso la prosecuzione de facto del rapporto di fornitura di energia elettrica e gas.

La dedotta nullità del contratto, da un lato, e la formulazione dell’eccezione riconvenzionale di ingiustificato arricchimento dell’attore da parte della società convenuta, dall’altro, hanno posto due questioni giuridiche relative all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 57 cod. cons., applicabile ratione temporis al caso di specie nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 21 del 2014, ma il cui contenuto, come si è detto, è oggi sostanzialmente confluito nelle disposizioni del comma 1 dell’art. 66 quinquies.

In particolare, si è posto il duplice problema se la norma in questione esclude che il consumatore sia tenuto al pagamento del corrispettivo non solo nelle ipotesi in cui riceva una prestazione non preventivamente richiesta (ed erogata al solo scopo di indurlo a concludere un contratto) ma anche quando la prestazione non è richiesta perché derivante da un contratto nullo/inesistente; e se la norma, oltre ad escludere che il consumatore sia tenuto al pagamento di una prestazione corrispettiva, dovuta ex contractu, lo esonera altresì dall’obbligo (derivante ex lege) di indennizzare il fornitore ai sensi dell’art. 2041 c.c. per arricchimento senza causa.

Il giudice di prime cure, dichiarando la nullità del contratto dedotto dalla società convenuta per difetto di sottoscrizione dell’attore, aveva accertato che nulla era dovuto per la fornitura di energia elettrica e gas, interpretando l’art. 57 del cod. cons. nel senso che, in caso di nullità del contratto, all’ente fornitore non compete alcunché, nemmeno a titolo di indennità ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Proposta impugnazione dinanzi al Tribunale, il giudice dell’appello aveva riformato integralmente la sentenza di primo grado, ritenendo invece non applicabile al caso di specie la tutela offerta al consumatore ai sensi dell’art. 57 del cod. cons. vigente ratione temporis, posto che ad essere “non richiesta” dall’attore non era la fornitura in sé ma soltanto il nuovo fornitore e le condizioni economiche del contratto contestato e disconosciuto nella sottoscrizione (come attestato dalla circostanza della formulazione dell’istanza di rientro con il precedente fornitore), e pertanto aveva accolto l'eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento avanzata da E. E. S.p.A.

Ad avviso del giudice di appello, infatti, pur ricorrendo la nullità/inesistenza del titolo contrattuale, non può comunque trovare giustificazione nell’ordinamento la “sbilanciata locupletazione da parte dell'utente del totale risparmio dei costi che egli avrebbe dovuto comunque sostenere, in base alle condizioni contrattuali di maggior favore instaurate con il precedente gestore, per i quantitativi di corrente elettrica e di gas che in concreto e di fatto gli sono stati forniti dal nuovo gestore”.

Avverso la sentenza del Tribunale, l’utente-consumatore aveva proposto quindi ricorso dinanzi alla Corte di cassazione per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto.

Ebbene, i Giudici di legittimità, con la decisione in commento, hanno dapprima affermato che si è in presenza di una “fornitura non richiesta”, nei termini indicati dall'art. 57 del Codice di consumo (nella sua versione applicabile ratione temporis), anche nei casi di prestazioni eseguite da un soggetto diverso da quello scelto dal consumatore e sulla base di un successivo contratto mai realmente sottoscritto, riconducendo dunque la fattispecie concreta, come accertata dal Giudice del merito, nell’alveo della fattispecie giuridica astratta della norma richiamata. Si sono poi soffermati sulla seconda quaestio iuris, relativa alla “estensione” della tutela del consumatore, ritenendo che tale questione debba essere risolta tenendo conto della ratio della norma medesima, anche alla luce delle direttive CE sulle pratiche sleali e ingannevoli (si veda, in particolare, l’art. 9 della Direttiva 1997/7/CE , l’art. 9 della Direttiva 2002/65/CE, l’art. 15 della Direttiva 2005/29/CE, nonché il punto 29 del suo Allegato I, il quale annovera l’ipotesi della fornitura non richiesta fra le pratiche commerciali “in ogni caso sleali”) e della disciplina, non applicabile direttamente al caso di specie ratione temporis, ma comunque rilevante ai fini interpretativi, del citato art. 66-quinquies del Codice di consumo, le cui disposizioni sono state introdotte con il D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, volto a dare attuazione nel nostro ordinamento alla Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori che, ai sensi dell’art. 27, esonera il consumatore dall’obbligo di eseguire “qualsiasi prestazione corrispettiva” in caso di fornitura non richiesta.

La norma de qua, infatti, è volta a tutelare il consumatore da tutti gli oneri che possono conseguire dalla realizzazione di pratiche commerciali scorrette da parte del professionista, e dunque svolge anche una funzione lato sensu sanzionatoria che impedisce a quest’ultimo di avanzare qualsivoglia pretesa di ripetizione della prestazione resa sine causa (c.d. indebiti solutio), o comunque di indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c.

In buona sostanza, come affermato dai Giudici di legittimità, nelle ipotesi di “fornitura non richiesta” ai sensi dell’art. 57 cod. cons. (e oggi dell’art. 66 quinquies, comma 1), “deve ritenersi che il legislatore abbia inteso far prevalere gli interessi della parte debole del contratto a discapito di professionista che abbia scelto unilateralmente e illecitamente di procedere alla fornitura, di tal chè sul professionista debbono ricadere, in ogni caso, le conseguenze derivanti da tale comportamento”.

Dalla decisione in commento è possibile quindi ricavare il seguente principio di diritto: il consumatore non è tenuto, ai sensi dell'art. 57 del Codice del Consumo (applicabile ratione temporis al caso di specie, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 21 del 2014), ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta, né può sorgere a suo carico alcuna obbligazione a titolo di ripetizione dell’indebito o di arricchimento senza causa, dovendosi riconoscere alla disposizione citata pure una valenza latamente sanzionatoria nei confronti del professionista che, scegliendo unilateralmente e illecitamente di procedere alla fornitura, realizza una pratica commerciale scorretta i cui oneri non possono incombere in capo alla parte debole del rapporto che il legislatore ha inteso tutelare.

Si tratta di una “prima presa di posizione[1] della Suprema Corte in merito al campo di applicazione delle disposizioni del Codice del consumo sopra richiamate, la quale si pone in conformità con l’interpretazione estensiva delle disposizioni di cui all’art. 27 della Direttiva 2011/83/UE, in virtù della quale la normativa eurounitaria impone agli Stati membri di adottare le disposizioni necessarie per prevedere, nei casi di fornitura non richiesta, l’esonero del consumatore da qualsiasi obbligazione (anche di tipo restitutorio o indennitario) che può astrattamente sorgere in favore del fornitore.

 

[1] L’espressione è di G. De Cristofaro, Il regime privatistico ‘‘speciale’’ delle c.d. forniture non richieste: la prima presa di posizione della Suprema Corte, in NGCC, n. 3, 2021, pp. 575-585.

Argomento: Dei contratti del consumatore
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 12 gennaio 2021, n. 261)

Stralcio a cura di Giorgio Potenza

“(…)Nel caso all’esame, infatti, deve ritenersi che la fattispecie concreta, come accertata dal Giudice del merito, deve essere ricondotta alla fattispecie giuridica disciplinata dall’art. 57 del Codice di consumo, rubricato ‘‘Fornitura non richiesta’’, nella versione applicabile ratione temporis (il contratto con firma contraffatta e di cui si discute in causa pacificamente e` datato 25 gennaio 2010, v. ricorso p. 2 e controricorso p. 2), secondo cui:‘‘1. Il consumatore non e` tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. In ogni caso l’assenza di risposta non implica consenso del consumatore. 2. Salve le sanzioni previste dall’art. 62, ogni fornitura non richiesta di cui al presente articolo costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 21, 22, 23, 24, 25 e 26’’. Nella specie risulta evidente che si e` in presenza di ‘‘fornitura non richiesta’’, nei termini indicati dalla norma richiamata, trattandosi di fornitura erogata da soggetto diverso in base ad un contratto pacificamente non sottoscritto dal consumatore e recante firma falsa, ne´ rileva la circostanza che l’esecuzione materiale della fornitura, per esigenze tecniche, non possa che essere la stessa e che trattasi di servizi essenziali, rimarcandosi che il consumatore, che e` venuto a conoscenza di siffatto contratto dalle fatture, non poteva restituire o impedire la fornitura non richiesta (se non, a tale ultimo riguardo, come in effetti fatto, denunciando, una volta resosene conto, la contraffazione della sottoscrizione e chiedendo di ricevere la medesima fornitura dal precedente gestore). Se dunque, la norma applicabile nella specie e` quella di cui all’art. 57 citato, occorre stabilire se tale normativa, oltre ad escludere qualsiasi prestazione corrispettiva a carico del consumatore, escluda ogni sorta di ‘‘ripetibilita`’’, da parte del fornitore, della ‘‘prestazione’’ resa sine causa, perfino nel caso in cui quest’ultimo faccia valere l’arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041, sia in via d’azione che - come nel caso all’esame - di eccezione riconvenzionale, proposta al solo scopo di paralizzare la domanda dell’attore. Ritiene il Collegio che la questione vada risolta tenendo conto della ratio della norma di cui all’art. [continua ..]

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