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In materia di responsabilità medico-sanitaria l'accertamento del nesso causale in caso di condotta omissiva va compiuto secondo il criterio di probabilità logica
Alessandra Lepanto
La sentenza n. 16199 del 2024 emessa dalla Corte di cassazione, Sezione III civile, stabilisce il principio secondo cui, in materia di responsabilità per attività sanitaria, l’accertamento del nesso causale in caso di condotta omissiva va compiuto conformandosi sia al criterio della probabilità logica (interno alla ricostruzione del nesso di causalità materiale), sia al diverso standard probatorio richiesto all’interno del giudizio civile, cioè quello fondato sul “più probabile che non”.
Procediamo con ordine riassumendo i fatti in causa:
in primo grado, Ma.An. convenne in giudizio l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche (ASUR Marche) al fine di ottenere la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti, iure proprio e iure hereditatis, a seguito del decesso del figlio neonato – con successiva diagnosi di “emorragia cerebrale massiva ed insufficienza cardiaca acuta destra in neonato con sindrome da Aspirazione di Meconio (MAS) complicata da Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID)” – avvenuto in data 28 marzo 2003 e ricondotto alla imperizia e negligenza dei sanitari al tempo della gestione e del monitoraggio del parto, derivante dal mancato accertamento dell’esatto periodo di gestazione in corso.
Il Tribunale emetteva sentenza nell’agosto 2015 con cui rigettava integralmente la domanda avanzata da parte attrice, condividendo in toto le risultanze della CTU espletata nel giudizio civile, che “aveva comunque ritenuto statisticamente non riconducibile alla condotta dei sanitari l’evento de quo, variabili essendo le cause che possono determinare una sofferenza ipossico-ischemica del feto e potendosi escludere un danno asfittico cronico o ipossico cronico in quanto il peso del neonato, le caratteristiche morfologiche ed antropometriche, il segnalato accrescimento fetale dell’ultima ecografia e la flussimetria risultavano nella norma”.
Successivamente la Ma.An. e ASUR Marche proponevano appello rispettivamente in via principale e in via accidentale.
L’adita Corte d’appello di Ancona accoglieva l’appello principale proposto da Ma.An., e condannava l’ASUR Marche al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 250.000,00, a titolo di risarcimento del danno da sofferenza soggettiva patito iure proprio, e della somma di Euro 75.000,00, a titolo di risarcimento del danno da perdita di chances di sopravvivenza per il decesso del neonato patito iure hereditatis.
In ragione dell’iter processuale di primo e secondo grado ut supra riassunto, si evidenziano le ragioni poste a fondamento della decisione della Suprema Corte. Viene denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1218 e 2697, c.c., per avere la Corte territoriale errato nell’affermare la sussistenza della responsabilità in capo ai sanitari ripudiando l’attendibilità delle conclusioni peritali in quanto asseritamente fondate sul “desueto” criterio della probabilità logica e non anche su quello del ‘più probabile che non’.
Il giudice di appello non soltanto sarebbe incorso in un errore di valutazione in ordine al fatto della sussistenza di una gravidanza protratta (fatto non emerso in nessuna delle due relazioni peritali, civile e penale e, dunque, non provato), ma sarebbe caduto altresì in errore nella parte in cui avrebbe travisato il contenuto della CTU civile in punto di nesso di causalità: quest’ultima, applicando il vigente criterio della probabilità logica, infatti, avrebbe correttamente escluso la sussistenza del nesso di causalità tra le (accertate) inadempienze dei sanitari e il decesso del neonato.
Giova, anzitutto, rammentare (tra le molte: Cass. n. 25119/2017; Cass. n. 2472/ 2021; Cass. n. 19372/2021; Cass. 21530/2021) che, in materia di responsabilità per attività medicochirurgica, l’accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva – da compiersi secondo la regola del “più probabile che non” ovvero della “evidenza del probabile”- si sostanzia nella verifica dell’eziologia dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che l’agente avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire, o meno, l’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità, giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità statistica o pascaliana), ma anche all’ambito degli elementi di conferma e, nel contempo, nell’esclusione di quelli alternativi, disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana).
Tuttavia, sebbene il ragionamento della Corte territoriale tragga origine da una premessa erronea, sono stati applicati correttamente i principi giurisprudenziali.
Nello specifico, l’affermazione del giudice di merito secondo cui “la conclusione cui è pervenuta la CTU attraverso la ormai desueta teoria dell’alto grado di credibilità razionale o probabilità logica non può essere condivisa, stante la riconosciuta applicabilità nel campo della responsabilità civile del diverso criterio del “più probabile che non”, postula a monte un’erronea sovrapposizione tra il criterio della probabilità logica, da un lato, e i criteri probatori di accertamento della causalità materiale, dall’altro.
Sotto tale specifico profilo, varrà evidenziare che, alla luce dei principi già affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite penali n. 30328/2002 (sentenza “Franzese”) in materia di causalità materiale nei reati commissivi impropri consumati nell’esercizio della professione medico-sanitaria, il giudizio controfattuale è spiegazione causale che non può tuttavia essere ancorata a valutazioni soggettive e discrezionali del giudice in relazione alla specificità del caso concreto, ma deve piuttosto essere ancorata ad un giudizio di tipo oggettivo e generalizzante, cioè quello della sussunzione del singolo evento all’interno di leggi scientifiche cd. di copertura.
In altri termini, quella condotta può dirsi causa di quel determinato evento non se è reputata discrezionalmente tale dal giudice sulla base di una conoscenza esperienziale soggettiva (e per ciò dunque mutevole in base alla diversità dei giudizi), ma nel solo caso in cui sia possibile affermare ciò sulla base o di una regola di esperienza generalizzata (l’id quod plerumque accidit) ovvero sulla base di una legge dotata di validità scientifica che inserisca quell’evento in misura certa (legge universale) o in misura probabile (leggi statistiche) nella serie causale in cui è altresì inserita la condotta umana”.
Stante quanto sopra, pertanto, mentre in sede civile è possibile pervenire ad un giudizio di responsabilità argomentando che essa è un’ipotesi più attendibile di quelle alternative emerse all’interno del giudizio, all’interno del processo penale per pervenire ad una sentenza di condanna è necessario che la ricostruzione su cui si fonda il giudizio di condanna sia fermamente confermata attraverso la motivata esclusione della plausibilità della tesi contraria. La ratio posta a fondamento di tale differenza è quella di preservare in materia penale il principio costituzionale di non colpevolezza dell’accusato.
“La Corte territoriale, dunque, ha in concreto sviluppato l’iter argomentativo che l’ha condotta all’accertamento della sussistenza della responsabilità dei sanitari dell’ASUR Marche in conformità ai principi sin qui enunciati; in particolare, conformemente sia al criterio della probabilità logica (interno alla ricostruzione del nesso di causalità materiale), sia al diverso standard probatorio richiesto all’interno del giudizio civile, cioè quello fondato sul “più probabile che non”.
Con specifico riferimento al primo profilo, la Corte territoriale ha correttamente svolto il giudizio controfattuale che ha portato all’accertamento della responsabilità civile attraverso un tipo di standard probatorio non di tipo quantitativo-statistico (probabilità statistica), ma di tipo qualitativo-logico (probabilità logica), ancorando cioè lo stesso alla luce delle specifiche risultanze probatorie emerse nel caso concreto.
Il giudice di appello ha, infatti, concluso nel senso che se i sanitari non avessero compiuto quelle condotte omissive nel monitoraggio della gravidanza “il decorso clinico del neonato sarebbe stato favorevole e comunque non certamente letifero” sulla base:
- dello stato di salute della paziente;
- della sua storia clinica, concernente le tre ecografie cui era stata sottoposta durante i tre ricoveri ospedalieri prima del parto presso il Presidio Ospedaliero Unificato di Civitanova Marche e documentati dalla parte attrice sin dal giudizio di primo grado;
- sull’assolvimento dell’onere della prova, da parte di Ma.An., della riconducibilità causale dell’evento lesivo all’inadempimento omissivo dei medici mediante l’indicazione delle tipologie di esame che, se tempestivamente effettuato, avrebbero consentito di rilevare il fatale protrarsi della gestazione.
Gli elementi che hanno consentito alla Corte territoriale di confermare il giudizio controfattuale attraverso cui è possibile affermare che, in un illecito omissivo, quella condotta è causa di quello specifico evento così come realizzatosi hic et nunc, sono stati correttamente ricavati non ab externo, cioè attraverso lo sterile riferimento alla probabilità quantitativo/statistica della sua verificazione in relazione a quel determinato antecedente causale, ma ab interno, attraverso la conferma di quel giudizio controfattuale attraverso il materiale probatorio acquisito agli atti e su cui si è innestata la valutazione del secondo giudice; valutazione che si rivela insindacabile al giudizio di questa Corte”.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. III, 11 giugno 2024, n. 16199)
Stralcio a cura di Giorgio Potenza
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