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Modificazione della domanda nel giudizio introdotto con opposizione a decreto ingiuntivo
Serena Cosentino
Le pronuncia in commento prosegue il complesso percorso giurisprudenziale in materia di domande modificative e alternative a quella originariamente proposta.
Norma di riferimento in merito è oggi, dopo la “riforma Cartabia”, l’art 171 ter c.p.c. che, sostituendo l’art. 183 c.p.c. senza modificarne sostanzialmente il contenuto, disciplina le memorie integrative ed in particolare al n. 1 sancisce che le parti possono: “almeno quaranta giorni prima dell'udienza di cui all'articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte”.
Punto cardine di tale tematica è la sentenza delle Sezioni Unite n. 12310 del 15.6.2015 con cui si affermò che la modificazione della domanda, ammessa a norma dell'allora art. 183 c.p.c., può riguardare uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio: “La vera differenza tra le domande "nuove" implicitamente vietate - in relazione alla eccezionale ammissione di alcune di esse - e le domande "modificate" espressamente ammesse non sta dunque nel fatto che in queste ultime le "modifiche" non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate "nuove" nel senso di "ulteriori" o "aggiuntive", trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate - eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali -, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività.”.
Da ciò conseguiva l'ammissibilità della modifica, nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., dell'originaria domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo.
Alla base di tale approdo giurisprudenziale si ponevano i principi del giusto processo e dell’effettività della tutela. La modifica della domanda garantiva, infatti, al convenuto di esercitare il contradditorio: “D'altro canto, una modificazione della domanda ammissibile senza limiti (quindi anche eventualmente incidente sugli elementi oggettivi di identificazione della medesima) risulta logicamente comprensibile siccome situata all'esito dell'udienza di comparizione, cioè una udienza in cui non è ancora sostanzialmente iniziata la trattazione della causa, non è intervenuta l'ammissione di mezzi di prova, e quindi una modifica anche incisiva della domanda non arrecherebbe pregiudizio all'ordinato svolgimento del processo.”.
Il processo diventa così il luogo naturale di accertamento di un diritto il più esaustivo possibile; laddove, infatti, la domanda non costituisca un novum dovrà affermarsi che la stessa non potrà formare oggetto di un successivo procedimento in quanto coperta dal giudicato ovvero che un altro giudice dovrà conoscere della medesima vicenda, sia pure sotto aspetti in parte dissimili, con il rischio di giudicati contrastanti. In tal modo il dualismo fra diritto e azione di chiovendiana memoria trova il suo punto di raccordo nel processo.
Con la successiva sentenza n. 22404 del 13.9.2018, le Sezioni Unite fanno applicazione dei principi affermati in precedenza, riconoscendo che nel giudizio introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta. La pronuncia evidenzia che “entrambe le domande proposte (di adempimento contrattuale e di indebito arricchimento) si riferiscono indubbiamente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale; sono attinenti al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (pur se, nell'una, come corrispettivo di una prestazione svolta e, nell'altra, come indennizzo volto alla reintegrazione dell'equilibrio preesistente tra i patrimoni dei soggetti coinvolti); sono legate da un rapporto di connessione "di incompatibilità", non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell'azione di arricchimento, ai sensi dell'art. 2042 c.c., e tale nesso giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus.”.
Nel 2018 i giudici chiariscono che la domanda modificata ex art. 183 c.p.c., comma 1, n. 6 non necessariamente dovrà sostituirsi alla domanda originaria, ma potrà ad essa cumularsi quale domanda principale o in via vicaria.
La giurisprudenza successiva svilupperà poi il concetto di “complanarità”: “ciò che rende ammissibile la introduzione in giudizio di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall'udienza ex art. 183 c.p.c., e che, quindi, consente di distinguere la domanda che tale diritto deduce da quella riconvenzionale di cui si occupa il comma 5 del medesimo articolo (cd. reconventio reconventionis), è il carattere della teleologica "complanarità": il diritto così introdotto in giudizio deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere dopo tutto alla realizzazione, almeno in parte, salva la differenza tecnica di petitum mediato, dell'utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale e dunque risultare incompatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio.” (Corte di Cassazione, sez. VI, sentenza n.18546/2020).
Le pronunce sopra richiamate si muovevano, tuttavia, nel contesto del giudizio ordinario di cognizione.
Il nuovo intervento della Corte di Cassazione tiene in considerazione le peculiarità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Il decreto ingiuntivo, infatti, è uno strumento acceleratorio inaudita altera parte e a seguito della sua opposizione viene instaurato un giudizio ordinario di cognizione.
In merito, già le Sezioni Unite n. 927 del 13.1.2022, negando che il giudizio di cui all’art. 645 c.p.c. desse vita ad un procedimento di impugnazione, avevano affermato che detto procedimento è un “ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore - anche se eventuale – del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.
Il decreto ingiuntivo si innesta in una fattispecie che, una volta sviluppatasi per effetto dell’opposizione, deve avere la caratteristica propria di ogni processo: il contraddittorio.
Poiché il soggetto che si era avvalso dello strumento monitorio, nel giudizio ordinario d’opposizione riveste formalmente il ruolo di convenuto, ma sostanzialmente quello di attore, ne conserva anche i poteri e, pertanto: “la proposizione da parte dell'opposto nella comparsa di risposta di domande alternative a quella introdotta in via monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda nel ricorso diretto all'ingiunzione.”.
La pronuncia in commento precisa, infine, il momento in cui la parte è abilitata ad incidere sul thema decidendum. L’attore sostanziale, poiché ha già goduto della fase monitoria per avanzare la propria pretesa, avrà diritto di precisare la domanda solo con la comparsa di costituzione e risposta (e non nella prima memoria integrativa) e ciò al fine di non creare disparità di trattamento con l’attore formale rimasto, invece, estraneo alla fase iniziale: “Pertanto, in un’ottica di parità e in correlato riferimento al canone della correttezza processuale di cui all’articolo 88, primo comma, c.p.c. - includente anche, per logica, semplificazione - chi ha avviato il giudizio per via monitoria ha facoltà di introdurre nella comparsa di risposta le domande alternative che eventualmente intenda presentare, non potendo invece riservarle fino all’“ultimo giro” offerto dall’articolo 183, sesto comma, c.p.c. Fino a quest’ultimo, comunque, a seconda dell’evoluzione difensiva dell’opponente posteriore alla comparsa di risposta, gli sarà consentito proporre domande come manifestazioni di difesa, anche se non stricto sensu riconvenzionali.”.
Sezione: Sezioni Unite
(Cass. Civ., Sez. Un., 15 ottobre 2024, n. 26727)
Stralcio a cura di Luigi De Felice
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