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Ricorre un patto commissorio quando lo scopo finale perseguito in una vendita è di garanzia piuttosto che di scambio
Angela Allegria
La vicenda alla base della sentenza in commento riguarda una compravendita immobiliare intercorsa tra il venditore A.A. e l’acquirente B.B. nel 2008, costituita da una serie di atti negoziali, tra cui un contratto di mutuo, una scrittura privata con concessione di ipoteca, un contratto preliminare con patto di retrovendita e una vendita definitiva.
In particolare, in data 19 luglio 2008 le parti avevano redatto una scrittura privata avente ad oggetto la concessione della facoltà di iscrivere ipoteca volontaria sul bene di proprietà di A.A., che si era, al contempo, riconosciuto debitore di B.B. per l’importo di € 730.000,00, rilasciando all’uopo tre assegni bancari dell’importo complessivo pari al debito riconosciuto.
Successivamente, il 23 agosto 2008 le stesse avevano stipulato, sempre tramite scrittura privata, un preliminare di vendita con il quale A.A. prometteva di vendere a B.B. l’immobile di cui era proprietario, con patto di retrovendita “ove A.A. avesse restituito la somma” ricevuta.
Il 1° settembre 2008 veniva formalizzata con atto pubblico la vendita dell’immobile promesso, il cui contenuto era connotato dalla mancata previsione di alcun pactum de retrovendendo, dal difetto di riferimento alla causale della datio in solutum della proprietà immobiliare a deconto del debito pecuniario contratto dall’alienante, dall’ulteriore precisazione che il prezzo concordato di € 730.000,00 era stato già corrisposto e, in ultimo, dalla mancata consegna dell’immobile alienato in favore dell’acquirente.
Successivamente, AA adiva il Tribunale di Avellino al fine di far dichiarare la nullità del contratto di compravendita per violazione del divieto di patto commissorio, ovvero, in subordine, il suo annullamento per vizio del consenso.
Le Corti di merito avevano rigettato le domande di A.A., salvo parziale riforma in appello per una questione di ultrapetizione. La Corte d’Appello di Napoli aveva qualificato la vendita intercorsa in termini di una datio in solutum e aveva escluso la sua integrazione con un patto commissorio, nonché ritenuto inattendibili i testimoni citati dall’attore per il loro rapporto di parentela.
A seguito di ricorso per Cassazione, AA aveva denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa “interpretazione” degli artt. 1344, 1418, 2744 e 1362 c.c. per avere la Corte di merito escluso la nullità della vendita in ragione della violazione del divieto di patto commissorio, negando lo scopo di garanzia a beneficio del creditore ed affermando la mera modalità solutoria di tale pattuizione traslativa, nonostante la clausola di retrovendita stabilita nel preliminare, poiché non reiterata nel contratto definitivo.
Col secondo motivo di ricorso, il ricorrente aveva poi prospettato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa “interpretazione” dell’art. 247 c.p.c., come risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte costituzionale n. 248 del 23 luglio 1974, per avere la Corte territoriale disatteso la domanda di annullamento della compravendita per violenza morale, ai sensi dell’art. 1434 c.c., sulla scorta della dichiarazione di inattendibilità dei testi D.D. e C.C., che si fondava unicamente sul legame di parentela – fratello e moglie – con l’appellante A.A..
Ebbene, con riferimento al primo motivo di ricorso, la Suprema Corte, con la sentenza in esame, ha dichiarato che, pur essendo stato correttamente applicato il principio secondo il quale le statuizioni contenute nel preliminare di vendita e non confluite nel contratto definitivo si considerano abbandonate, essendo il contratto definitivo unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, rimanendo così, di fatto, il preliminare superato, si è proceduto “a una valutazione atomistica e parcellizzata del solo atto di vendita, qualificato come datio in solutum ex art. 1197 c.c., senza tenere conto, secondo una ponderazione unitaria e complessiva, dell’intera concatenazione di atti che ha condotto al perfezionamento dell’atto traslativo, quale ultima “tappa” di un iter articolato”.
Secondo il ragionamento della Suprema Corte “non si poteva prescindere dal nesso di interdipendenza negoziale, tale da far emergere la funzionale preordinazione dei negozi collegati allo scopo finale di garanzia piuttosto che a quello di scambio, accertando la funzione economica sottesa alla fattispecie negoziale posta in essere e restando a tal fine irrilevanti sia la natura obbligatoria o reale del contratto, o dei contratti, sia il momento temporale in cui l’effetto traslativo fosse destinato a verificarsi, sia, infine, quali fossero gli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e perfino l’identità dei soggetti che avevano stipulato i negozi collegati, complessi o misti”.
In tale quadro, il preliminare di vendita con patto di retrovendita, ancorato al saldo del debito contratto, rileva quale fatto indiziario da ponderare, indipendentemente dalla sua persistenza all’esito della conclusione del definitivo che, rappresenta il mero esito della potenziale garanzia prevista attraverso il primo.
Se il patto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c. è configurabile ogni qualvolta il debitore sia costretto al trasferimento di un bene, a tacitazione dell’obbligazione, l’integrazione del patto risulta esclusa solo ove tale trasferimento sia frutto di una scelta, come nel caso in cui venga liberamente concordato quale datio in solutum ex art. 1197 c.c., ovvero esprima esercizio di una facoltà che si sia riservata all’atto della costituzione dell’obbligazione medesima ai sensi art. 1286 c.c.
Nel caso di specie, emerge che l’adempimento del debito fosse ancora esigibile al momento della stipula del contratto definitivo, tanto da essere stato riconosciuto in termini di attualità con la scrittura privata del 19 luglio 2008 di concessione della facoltà di iscrizione ipotecaria e con il preliminare di vendita di cui alla scrittura privata del 23 agosto 2008, ove il patto di retrovendita era collegato al saldo del debito (e non già al pagamento di un prezzo), sicché la promessa di trasferimento della proprietà avrebbe potuto ritenersi diretta ad “assicurarsi” (coartando) tale pagamento ancora possibile, in violazione degli artt. 1963 e 2744 c.c.
Il divieto di patto commissorio, sancito dall’art. 2744 c.c., si estende a qualsiasi negozio, quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore; pertanto, anche un contratto preliminare di compravendita può dissimulare un mutuo con patto commissorio, ancorché non sia previsto il passaggio immediato del possesso del bene, come nel caso in cui la promessa di vendita abbia la funzione di garantire la restituzione, entro un certo termine, della somma “precedentemente” o coevamente mutuata dal promittente compratore, purché sia dimostrato il nesso di strumentalità tra i due negozi.
Alla luce di quanto sopra conclude la Cassazione sancendo che “l’art. 2744 c.c. deve essere interpretato in maniera funzionale, sicché in forza della sua previsione risulta colpito da nullità non solo il “patto” ivi descritto, ma qualunque tipo di convenzione, quale ne sia il contenuto, che venga impiegata per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, dell’illecita coercizione del debitore a sottrarre alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene quale conseguenza della mancata estinzione di un suo debito” (In senso conforme Cass. Civ., Sez. III, ordinanza n. 2469 del 25.1.2024, Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 4262 del 20.2.2013, Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 5635 del 15.3.2005).
In merito al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ribadisce che, alla luce sentenza della Corte Costituzionale n. 248 del 1974, non esiste una presunzione di inattendibilità dei testimoni legati da vincoli di parentela o coniugio: la loro inattendibilità deve basarsi su elementi ulteriori e specifici, prescindendo dal dato oggettivo del vincolo.
La Corte di merito, infatti, avrebbe dovuto piuttosto dare contezza, ove sussistenti, di ulteriori elementi idonei a corroborare la ritenuta non credibilità dei testi, e non già giungere alla conclusione della loro inattendibilità per carenza di elementi che suffragassero la veridicità delle relative deposizioni.
Accogliendo entrambi i motivi di ricorso, dunque, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che sarà tenuta a decidere uniformandosi ai principi di diritto e ai rilievi svolti nella sentenza medesima.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. II, 14 maggio 2024, n. 13210)
Stralcio a cura di Giorgio Potenza
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