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Nel caso in cui un contratto di lavoro autonomo venga qualificato come subordinato, la prescrizione dei crediti retributivi inizia durante il rapporto di lavoro

Alessia Maggiotto

Nell’ordinanza in commento l’Azienda ospedaliero universitaria ospedali riuniti, in persona del Direttore Generale pro tempore, proponeva ricorso avverso alla sentenza n. 289/2017 della Corte d’Appello di Ancona che aveva confermato le due pronunce, una in via non definitiva e una in via definitiva, emesse dal Tribunale di Ancona che avevano parzialmente accolto le domande di A.A..
Nello specifico A.A., quale medico biologo, aveva svolto la mansione di dirigente biologico presso l’azienda ospedaliera mediante contratti di collaborazione a far data dall’anno 2002.
Successivamente A.A. aveva agito nei confronti dell’azienda ospedaliera per chiedere l’accertamento della nullità dei contratti di collaborazione intercorsi tra le parti con conseguente accertamento e costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e conseguente richiesta di differenze retributive.
L’azienda ospedaliera respingeva le domande di A.A. insistendo sulla natura autonoma del rapporto intercorso tra le parti.
Nel primo e nel secondo grado di giudizio le domande di A.A. hanno trovato parziale accoglimento con riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro tra le parti solo a decorrere dal 01/01/2008; per il precedente periodo dal 2002 al 2008 i giudicati di primo e secondo grado hanno rilevato che non è stata raggiunta la prova relativamente al requisito dell’effettivo inserimento nell’organizzazione pubblicistica di A.A..
Proponeva, pertanto, ricorso l’azienda ospedaliera con cinque motivi.
Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione delle norme nonché del ragionamento logico – giuridico adottato dai giudicanti nei precedenti gradi di giudizio in relazione alla presenza dei requisiti e degli indici volti al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato.
Su questo punto la Corte, richiamando i precedenti orientamenti giurisprudenziali conformi, ha ribadito che “ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nell’organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionale dell’ente pubblico, non rilevando in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, che si tratti di un rapporto a termine e nemmeno che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni”.
Con il quinto motivo, invece, viene esaminato un punto oggetto di ampia discussione sia a livello dottrinale che giurisprudenziale ovvero quello della decorrenza del termine di prescrizione dei crediti retributivi nel rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato.
Anche in questo caso la Corte, in continuità con i precedenti orientamenti, ha affermato che “in tema di pubblico impiego contrattualizzato, nell’ipotesi di contratto di lavoro formalmente autonomo, del quale sia successivamente accertata la natura subordinata, la prescrizione dei crediti retributivi decorre in costanza di rapporto, attesa la mancanza di ogni aspettativa del lavoratore alla stabilità dell’impiego e la conseguente inconfigurabilità di un “metus” in ordine alla mancata continuazione del rapporto suscettibile di tutela”.
Come noto nel nostro ordinamento in tema di rapporto di lavoro subordinato sussistono differenti e plurime norme aventi ad oggetto il decorso della prescrizione dei crediti retributivi in relazione alla peculiarità del rapporto di lavoro stesso o del datore di lavoro.
Ad esempio nel rapporto di lavoro subordinato privato è recentemente intervenuta la sentenza n. 26246 del 06/09/2022 in virtù della quale il dies a quo della prescrizione dei crediti retributivi decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Predetta pronuncia ha portato nuovamente ad interrogarsi sul differente regime previsto nel rapporto pubblico contrattualizzato secondo cui, come prima riportato, la prescrizione dei crediti retributivi decorre in costanza di rapporto.
L’adozione del predetto principio è dovuto dalla presenza della cd “forza di resistenza” che contraddistingue i rapporti di lavoro del pubblico impiego con conseguente assenza nel dipendente di un timore del licenziamento.
Predetta “forza di resistenza” viene definita dalla giurisprudenza come quella forza “data da una disciplina che normalmente assicura la stabilità del rapporto, o dalle garanzie dei rimedi giurisdizionali conto l’illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che il timore del licenziamento possa indurre l’impiegato a rinunciare ai propri diritti”.
Con il successivo processo di privatizzazione operato dal D.lgs. n. 165/2001 predetta “forza di resistenza” non trovava più le sue basi di stabilità nella riconducibilità del rapporto di lavoro pubblico ad un rapporto di servizio nei confronti della Pubblica Amministrazione, ma nella Legge n. 300/1970 richiamata dal D.lgs. n. 165/2001.
Tuttavia le riforme della Legge n. 92/2012 (cd Legge Fornero) e del D.lgs. n. 23/2015 (cd Jobs Act) con le modifiche apportate all’art. 18 della Legge n. 300/1970 e con la previsione, innanzi a licenziamenti illegittimi, di forme di tutela puramente risarcitorie o una limitazione delle forme di tutela di reintegrazione piena, hanno portato a domandarsi sul loro grado di incisione rispetto alla cd “forza di resistenza” sopra indicata.
Sul punto è intervenuta sia la giurisprudenza che con proprie pronunce ha escluso che nei rapporti di lavoro pubblici contrattualizzati si applicassero le modifiche apposte sull’art. 18 della Legge n. 300/1970 dalla Legge Fornero sia il legislatore mediante la modifica del testo dell’art. 63 del D.lgs. n. 165/2001.
Pertanto, a seguito del D.lgs. n. 75/2017, l’art. 63, secondo comma, del D.lgs. n. 165/2001 ora recita: “il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative”.
Preme rilevare, inoltre, che la stabilità del rapporto di lavoro pubblico viene altresì garantita da principi costituzionali improntati sull’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione.
A differenza del rapporto di lavoro privato che richiama l’art. 41 della Costituzione sulla libera iniziativa economica privata, il rapporto di lavoro pubblico è improntato sui principi enunciati all’art. 28, 97 e 98 della Costituzione.
La pubblica amministrazione, pertanto, in fase di risoluzione del rapporto di lavoro dovrà agire in conformità con tali interessi collettivi e, inoltre, dovrà garantire l’equilibrio dei bilanci pubblici considerando che ogni decisione impatterà sul debito pubblico.
Infatti l’applicazione anche nel rapporto pubblico delle sole indennità risarcitorie previste nei rapporti di lavoro privato sarebbe contraria ai predetti interessi collettivi.
In forza anche di tali principi il dipendente pubblico gode di una maggiore garanzia rispetto al dipendete privato.
Quanto appena esposto permette di confermare l’orientamento giurisprudenziale anche richiamato dalla pronuncia in commento secondo cui nel rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato il dies a quo della prescrizione dei crediti retributivi decorre in costanza di rapporto di lavoro anche nel caso in cui l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro avvenga in un momento successivo.
Tale principio è stato altresì confermato dalla Corte di Cassazione a Sezione Unite con la sentenza n. 36197 del 28/12/2023 secondo cui “la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato decorre sempre - sia in caso di rapporto a tempo indeterminato sia in caso di rapporto a tempo determinato, così come di successione di rapporto a termine - in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per
quelli originati da essa) non essendo configurabile alcun metus del cittadino verso la pubblica amministrazione e perché, nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un’apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica”.
Nel caso come quello in esame, inoltre, ove la natura subordinata del rapporto è stata accertata in un periodo successivo oltre alla non configurazione di un metus il lavoratore, stante la precedente natura autonoma del rapporto di lavoro, non ha nemmeno maturato un’aspettativa sulla stabilità dell’impiego.

Argomento: Del rapporto di lavoro
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. Lav., 11 settembre 2024, n. 24446)

Stralcio a cura di Giovanni Pagano

“(…) il primo motivo si rivela infondato alla luce dell'orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 32254/2019), secondo cui "quando un rapporto di collaborazione autonoma si risolva per effetto di una manifestazione di volontà del collaboratore di voler recedere dal rapporto, ovvero cessi per la sua naturale scadenza, l'azione per l'accertamento della subordinazione e la riammissione in servizio è esercitabile nei termini di prescrizione, senza essere assoggettata al regime decadenziale dell'art. 32, comma 3, L. n. 183/2010, poiché il regime in questione si applica al solo caso di "recesso del committente" e non è estensibile alle ipotesi in cui manchi del tutto un atto che il lavoratore abbia interesse a contestare o confutare"; che parimenti infondato risulta il secondo motivo, atteso che la pronunzia della Corte territoriale è rimasta circoscritta alle tutele assicurate anche nell'impiego privatizzato dall'art. 2126 c.c., prescindendo dalla nullità o meno dei contratti stipulati ex art. 7 D.Lgs. n. 165/2001, nullità comunque rilevabile d'ufficio (cfr. Cass. S.U. n. 26242/2014); (…) la Corte territoriale, (…) si è pronunziata in conformità all'orientamento accolto da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. n. 30297/2022), secondo cui "ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nell'organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'ente pubblico, non rilevando in senso contrario l'assenza di un atto formale di nomina, che si tratti di un rapporto a termine e nemmeno che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni"; è stato, altresì, precisato che anche in relazione ai contratti che intercorrono con le pubbliche amministrazioni, formalmente qualificati di collaborazione coordinata e continuativa, la sussistenza dell'elemento della subordinazione nell'ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e [continua ..]

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