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Usucapione del bene espropriato: necessario un atto di interversio possessionis

Noel Libera

“Nelle controversie soggette al regime normativo antecedente all’entrata in vigore del t.u. n. 327 del 2001, nelle quali la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta prima del 30 giugno 2003, nel caso in cui al decreto di esproprio validamente emesso – che è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile – non sia seguita l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva del decreto comportano la perdita dell’animus possidendi in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto sul bene – se egli continui ad occuparlo – si configura come una mera detenzione, con la conseguenza che la configurabilità di un nuovo periodo possessorio, invocabile a suo favore “ad usucapionem”, necessita di un atto di interversio possessionis da esercitare in partecipata contrapposizione al nuovo proprietario, dal quale sia consentito desumere che egli abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Resta fermo il diritto dell’espropriato di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene”.

È con tale primo principio di diritto, enunciato con la sentenza 651 del 12/01/2023, che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno risolto l’annosa questione riguardante gli effetti del decreto di esproprio cui non segue l’effettiva immissione in possesso da parte della P.A.

La questione traeva origine dal ricorso presentato da una società avverso il Comune di Roma avente ad oggetto una porzione di area acquisita in proprietà del Comune per la realizzazione di un parco pubblico, in forza di un decreto di esproprio emesso nel ’75, regolarmente trascritto. Tuttavia la ricorrente deduceva che il Comune non ne avesse mai effettivamente acquisito il possesso in quanto non aveva mai posto in essere le attività realizzative dell’opera pubblica e, quindi, non aveva mai esercitato alcun potere di fatto sul terreno de quo. L’originaria dante causa, inoltre, aveva continuato ad esercitare il possesso sul bene per un tempo che si doveva aggiungere a quello successivamente esercitato dall’attuale ricorrente e, pertanto, sarebbe anche maturato il periodo utile affinché questa lo usucapisse; ad ogni buon conto, in subordine, la ricorrente deduceva la sussistenza delle condizioni per la retrocessione. In ragione del rigetto delle pretese attoree da parte dei giudici di merito; è stata pertanto adita la Suprema Corte, la quale ha dovuto dirimere il contrasto esistente, attesi i due differenti orientamenti giurisprudenziali in materia.

Secondo un primo orientamento, infatti, il trasferimento volontario, quanto quello coattivo, di un bene non  integra necessariamente gli estremi del constitutum possessorium -un modo di acquisto derivato del possesso in cui la trasmissione del possesso avviene senza la consegna della cosa- giacché il diritto di proprietà è trasferito contro la volontà dell’espropriato e nessun accordo interviene tra questi e l’espropriante; ne consegue che il provvedimento ablativo non muta l’animus possidendi dell’espropriato il quale può, pertanto, usucapire il bene.

Un secondo orientamento ritiene invece che «il decreto di espropriazione è idoneo a far acquisire la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di diritto o di fatto con essa incompatibile e, qualora il precedente proprietario o un soggetto diverso continuino ad esercitare sulla cosa un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, la notifica [o conoscenza] del decreto ne comporta la perdita dell’animus possidendi, conseguendone che, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso ad usucapionem, è necessario un atto di interversio possessionis».

Il Supremo Consesso aderisce a quest’ultimo orientamento valevole sia per le controversie soggette al regime previgente al d.lgs 327 del 2001 nelle quali il decreto di esproprio sia stato emesso in forza di una dichiarazione di p.u. ante 30/06/2003 sia – per ragioni in parte difformi – nelle controversie soggette alle disposizioni del testo unico citato.

Ed invero la Corte ricorda che quando il Legislatore sancisce, con una norma espressa, che determinati beni di proprietà di un ente pubblico siano considerati patrimonio indisponibile del medesimo, tale carattere non possa mai essere disconosciuto.

A fondamento del loro assunto, le SS.UU. affermano che non è possibile qualificare quale possesso la relazione fattuale dell’espropriato con il bene, in quanto non è a lui concesso di proporre azioni possessorie; ed invero esse costituiscono modi di tutela del diritto di continuare a godere del bene nello stato di fatto in cui era precedentemente posseduto e sono proponibili nei confronti della P.A., a meno che sul diritto non abbia inciso un provvedimento avente attitudine a sottrarre al privato la proprietà o disponibilità della cosa o a mutarne il godimento; in tal caso, il Collegio ritiene che l’azione sia proponibile solo se sia ravvisabile carenza di potere amministrativo, situazione non configurabile in presenza di un provvedimento espropriativo legittimo e, per altro verso, ritiene che l’ente espropriante possa agire con i mezzi ordinari a tutela della proprietà e del possesso, ad esempio, con l’azione di rilascio, nei confronti dell’espropriato o dei terzi occupanti e, in alternativa, in via di autotutela amministrativa ex art. 823, co. 2, c.c. mediante atti non impugnabili davanti al g.o..

Si aggiunge che, qualora al decreto di esproprio non segua l’immissione in possesso, nel sistema normativo antecedente al T.U. del 2001, l’ente espropriante restava possessore solo animo, avendo la disponibilità giuridica del bene e potendo in ogni momento ripristinare il contatto materiale con esso e pretenderne il rilascio per tutta la durata di efficacia legale del decreto di esproprio e della dichiarazione di p.u, senza possibilità per il detentore di opporvisi, salva l’azione di retrocessione. A favore della tesi dell’usucapibilità del bene espropriato, il Collegio afferma che, in mancanza di specifica pattuizione in senso diverso, l’efficacia traslativa del consenso ha ad oggetto la proprietà e non il possesso sicché alla vendita, così come al decreto di esproprio, non si accompagni anche il trasferimento del possesso che costituisce, invece, oggetto di una specifica obbligazione che, se non adempiuta, fa sì che l’alienante e l’espropriato rimangano nel possesso della cosa, pur avendo trasferito la proprietà. Il Collegio ritiene inoltre che l’espropriazione per pubblica utilità non sia assimilabile ad una vicenda negoziale in quanto essa è un atto autoritativo con cui la PA acquista il bene a titolo originario con automatica estinzione di tutti i diritti gravanti sul bene espropriato che ricadono sull’indennità e privano il proprietario del possesso giuridico dei suoi beni. Tuttavia, la Corte riconosce che il proprietario espropriato possa restare nel godimento del bene finché persista l’assenso implicito (o mera tolleranza) dell’ente espropriante che in ogni momento è in condizione di ripristinare la relazione fattuale con il bene posseduto, senza vedersi opporre un’inesistente pretesa di astensione da parte dell’occupante, la cui detenzione per diventare utile ai fini dell’usucapione deve trasformarsi in possesso, mediante l’interversio possessionis.
Tale atto non si realizza per mera volizione interna ma occorre una manifestazione esteriore, rivolta specificamente contro il possessore dalla quale si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla res in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione dell’animus detinendi in animus rem sibi habendi, non rilevando né i meri atti di esercizio del possesso (ex multis: la stipula di contratti di locazione, la percezione dei relativi canoni etc.), essendo questi un’ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene, né l’impugnazione del decreto di esproprio in sede giurisdizionale, cui va attribuito il solo intento di disconoscere il titolo di acquisizione del diritto reale.

La Corte precisa tuttavia che un principio parzialmente diverso debba invece enunciarsi per le controversie soggette al t.u. n. 327 del 2001 nelle quali il decreto di esproprio sia intervenuto a seguito di una dichiarazione di p.u. successiva al 30/06/2003. Ed invero, ai sensi dell’art. 23 e 24 T.U. cit., l’esecuzione del decreto di esproprio con l’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio entro il termine perentorio di due anni, mediante la formale redazione di un verbale, assurge a condizione sospensiva di efficacia del decreto stesso. Ne consegue, in mancanza, che il decreto di esproprio diventa inefficace; che non si realizza l’effetto estintivo della proprietà e degli altri diritti gravanti sul bene ex art. 25 T.U. cit. e che la proprietà del bene è automaticamente ripristinata in capo al precedente proprietario, senza necessità e possibilità giuridica per questi di acquistare per usucapione un bene che è già di sua proprietà. Nel caso in cui l’esecuzione del decreto con l’immissione in possesso non abbia luogo, l’art. 24, co. 7 T.U. cit., dispone che «decorso il termine [perentorio di due anni] previsto nel comma 1, entro i successivi tre anni può essere emanato un ulteriore atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità», ma in tal caso dovrà essere emesso un altro decreto di esproprio, eseguibile entro l’ulteriore termine di due anni di cui all’art. 24 co. 1. Qualora invece il decreto de quo sia eseguito con la tempestiva immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio si realizzano tutti gli effetti estintivi tipici dell’espropriazione, quantunque «il bene [continui] ad essere utilizzato, per qualsiasi ragione, da chi in precedenza ne aveva la disponibilità»; in tal caso, la pretesa del proprietario espropriato o di chi continui ad utilizzare il bene di invocare un nuovo periodo di possesso utile ad usucapionem contrasta, oltre che con il principio sopra enunciato anche con il dato normativo vigente che esclude la possibilità di qualificare come possesso, dopo che sia stato redatto il verbale di immissione in possesso da parte della P.A., la mera utilizzazione di fatto del bene da parte del precedente proprietario.

Argomento: Della proprietà
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS.UU., 12 gennaio 2023, n.651)

stralcio a cura di Francesco Taurisano

"13.(…) nelle controversie soggette al regime normativo antecedente all’entrata in vigore del t.u. n. 327 del 2001, nelle quali la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta prima del 30 giugno 2003, nel caso in cui al decreto di esproprio validamente emesso (...) ‒ che è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile ‒ non sia seguita l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva del decreto comportano la perdita dell’animus possidendi in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto sul bene – se egli continui ad occuparlo – si configura come una mera detenzione, con la conseguenza che la configurabilità di un nuovo periodo possessorio, invocabile a suo favore «ad usucapionem», necessita di un atto di interversio possessionis da esercitare in partecipata contrapposizione al nuovo proprietario, dal quale sia consentito desumere che egli abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Resta fermo il diritto dell’espropriato di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene. (…) 15.- Un principio solo parzialmente diverso deve essere enunciato nelle controversie soggette al t.u. n. 327 del 2001, nelle quali il decreto di esproprio sia emesso sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità intervenuta dopo il 30 giugno 2003, alla luce degli artt. 23 e 24 del medesimo testo unico. In particolare, a norma dell’art. 23, il decreto di esproprio (sempre che tempestivamente emesso ai sensi degli artt. 13, comma 6, e 23, comma 1, lett. a) «dispone il passaggio del diritto di proprietà, o del diritto oggetto dell’espropriazione, sotto la condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente notificato ed eseguito» (comma 1, lett. f); il decreto «è notificato al proprietario […]» (comma 1, lett. g); «è eseguito mediante l’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio, con la redazione del verbale di cui all’articolo 24» (comma 1, lett. h); «è trascritto senza indugio presso l’ufficio dei registri immobiliari» (comma 2); «la notifica del decreto di esproprio [continua ..]

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