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Elargizione di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente e lesione della quota di riserva. Occorre accertare la sussistenza dello spirito di liberalità

Elisa Angela Cravero

“5.2. Non sono soggette, peraltro, a collazione né alla riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente [...], ove non sia accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalità, e cioè con la consapevole determinazione dell'arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza.”.

Nell'ordinanza in esame, la Suprema Corte ha accolto il ricorso della figlia della de cuius, condannata in prime cure (con conferma in secondo grado), alla restituzione di somme a favore degli altri figli coeredi, in quanto asseritamente destinataria di donazioni costanti dalla madre in corso del rapporto di convivenza di ventiquattro anni con quest'ultima.

In particolare, i giudici di merito avevano ritenuto sussistente l'obbligo di collazione in capo alla ricorrente a fronte degli esiti della CTU esperita per ricostruire il tenore di vita delle de cuius, rilevando, tramite l'applicazione delle presunzioni dedotte in causa, la circostanza secondo la quale, a fronte della parsimonia della defunta nella propria gestione di vita familiare,  gran parte dei risparmi della stessa fosse stato destinato alla figlia.

Ebbene, sulla scorta di tali deduzioni, anche la Corte d'Appello aveva escluso la riconducibilità delle somme percepite dalla ricorrente ad elargizioni a titolo remuneratorio o  alla esecuzione di obbligazioni naturali, accogliendo la domanda di accertamento della lesione delle quote di legittima lamentata dai coeredi.

Ricorreva, dunque, in Cassazione la presunta donataria, dolendosi delle  eccezioni formulate in merito alla buona salute della de cuius, "ingiustamente considerando lesivo un importo (comunque) ridotto e diluito nel tempo (24 anni) di 400 Euro mensili", e rilevando come la Corte d'Appello avesse omesso di tenere in conto i naturali conferimenti vicendevoli che in genere si verificano in un rapporto di convivenza, specie se di lunga durata.

Sul punto, la Suprema Corte, ritenendo fondati i motivi sollevati dalla ricorrente, ha ricordato come, in tema di lesione della quota di legittima, rilevano "le donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius", ad esclusione delle spese di mantenimento, di educazione, per malattie, per abbigliamento o per nozze, o ancora riconducibili a liberalità d'uso.

Proprio la definizione ontologica di donazione presuppone la sussistenza dello spirito di liberalità degli esborsi che il defunto ha effettuato in vita, e ciò deve essere necessariamente connesso alla convivenza con un terzo soggetto, individuato, per quanto concerne il caso di specie, nel coniuge o nel figlio; e tenuto conto che le elargizioni patrimoniali senza corrispettivo a favore del convivente non sono soggette all'azione di riduzione, occorre ricordare come il figlio non possa sottrarsi alla collazione, a differenza del coniuge, in caso di donazioni di modico valore.

In buona sostanza, la base del ragionamento risiede principalmente nel seguente ordine logico:

- distinguere se il destinatario di esborsi da parte del defunto sia coniuge o figlio;

- se il soggetto è il figlio del de cuius, verificare la sussistenza di un rapporto di convivenza;

- in tale caso, occorre distinguere quanto conferito nella ordinaria gestione della vita quotidiana e quanto, invece, ne esula, in quanto caratterizzato da puro spirito di liberalità, ovverosia senza un rapporto di scambio che è connaturato nel normale "adempimento delle obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legale parentale".

Proprio sulla scorta di tali considerazioni, la Cassazione ha rilevato come, nel caso in esame, il "complesso di donazioni" evidenziato dai giudici di merito non sarebbe stato supportato da alcun accertamento circa l'"esclusivo spirito di liberalità che avesse assistigto ogni dazione di deanro dalla madre alla figlia convivente", enunciando così il seguente principio di diritto: "al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all'obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa, occorre considerare altresì in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità”.

Pertanto, sarà onere del legittimario che si ritenga leso nella propria quota di riserva, fornire la prova della sussistenza della gratuità e della liberalità della dazione che ritenga collazionabile, non essendo sufficiente, in caso di rapporto di convivenza tra il presunto beneficiario e il de cuius, la mera prova presuntiva della sproporzione tra i redditi dei soggetti considerati né tantomeno la circostanza secondo la quale i risparmi del defunto siano stati necessariamente destinati al mantenimento in termini di vitto e alloggio del destinatario con il medesimo convivente.

 

Argomento: Delle successioni
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. II, 04 luglio 2023, n. 18814)

stralcio a cura di Giorgio Potenza

“5.2. Non sono soggette, peraltro, a collazione nè alla riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente [...], ove non sia accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalità, e cioè con la consapevole determinazione dell'arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza.”.

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