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Accertamento di ricavi occulti. Il contribuente imprenditore può comunque eccepire la incidenza percentuale dei costi sostenuti

Antonio Borghetti

L’ordinanza in commento tratta in modo esauriente e condivisibile due fondamentali problematiche che sovente ricorrono nelle controversie tra fisco e contribuenti: il trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette da riservare alle persone fisiche che cedono oggetti d’arte e da collezione e la corretta modalità di determinazione di quella grandezza netta che è, rectius dovrebbe essere, il reddito imponibile. La disamina verrà qui in particolare operata sul secondo aspetto rinviando ad altro scritto[1] la compiuta analisi della prima tematica sulla quale, peraltro, incombe la riforma fiscale in itinere.

Oggetto di scrutinio è quivi l’esistenza di un obbligo, o meno, in capo ai verificatori, di riconoscere l’incidenza dei costi (probabilisticamente) sostenuti dal contribuente allorquando si rideterminano i componenti positivi. Nel momento in cui i verificatori ricostruiscono i componenti positivi di reddito (principalmente, quindi, i Ricavi) del contribuente i cui redditi debbono essere determinati in base scritture contabili occorre avere riguardo alla metodologia accertativa utilizzata ed alle connesse conseguenze. È’ ben noto che nei casi più gravi, allorquando il contribuente ponga in essere comportamenti censurabili ed ostativi volti ad occultare la propria “forza economica”, l’Amministrazione non può che prescindere dalle risultanze delle scritture contabili, se tenute, e rideterminare ab ovo, tutte le componenti necessarie alla determinazione del reddito imponibile: non solo quindi i ricavi ma anche i consequenziali costi al fine di determinare appunto una grandezza netta. In tale fattispecie, il richiamo va operato all’accertamento induttivo ex art. 39 comma 2 del d.p.r. 29 settembre 1973, n.600. È altresì noto che tale metodologia non si rende sempre applicabile ma solo allorquando v’è, sostanzialmente, l’impossibilità di avere un “dato di partenza” affidabile rappresentato dalle scritture contabili. È’ giusto segnalare che tale approdo tuttavia non è sempre stato pacifico ed anzi si rese necessario il fondamentale intervento della Corte Costituzionale n. 8 giugno 2005, n. 225 a mente della quale: “in caso di accertamento induttivo, si deve tenere conto – in ossequio al principio di capacità contributiva – non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati.” La presunzione legale in tema di accertamenti bancari ex art. 32 del d.p.r. 600/73 viene quindi calmierata dal necessario conteggio dei costi.

L’ordinanza n. 6784 analizza un caso parzialmente diverso ed inerente ad un accertamento spiegato con il metodo analitico-induttivo ex art. 39 comma 1 lett. d) del d.p.r. 600/73 nel quale peraltro sono anche state utilizzate le risultanze dei movimenti bancari. Un metodo che quindi non (dovrebbe) prescindere dalle scritture contabili ma che da esse (dovrebbe) prende avvio. Esso consta in una ricostruzione della base imponibile che si avvale di elementi inferenziali esterni alla contabilità (e dunque anche presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti). Presupposto per l’utilizzo di tale metodologia è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente (solo) la rettifica di “singole componenti reddituali”. È noto, al contrario, che sovente l’Amministrazione proceda a rideterminare non singole poste contabili ma intere componenti (es. tutte le componenti positive). Si sostiene che proprio la presenza di una contabilità complessivamente attendibile, e una ripresa a tassazione che si realizza mediante rettifiche di singole “poste contabili”, implichi che, ai fini della deduzione dei costi, operi la regola generale ritraibile dall’art. 109 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, in forza della quale, se i costi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l’onere della prova è a carico del contribuente.

A costituire il fondamento delle motivazioni esposte nell’ordinanza in commento è la sentenza della Corte costituzionale 31 gennaio 2023 n. 10 a mente della quale nell’accertamento analitico-induttivo che ridetermina in toto una componente di reddito (componenti positivi nel caso), vi è la necessità di considerare anche i correlati costi.

Sotto tale ultimo profilo quindi, il contribuente può, in detti casi, alternativamente, (i) provare in modo puntuale e specifico l’esistenza di costi di produzione del reddito (anche non presenti in contabilità) facendo ricorso a documentazione comprovante esistenza ed inerenza dei suddetti costi ovvero (ii) adottare una metodologia (altrettanto) induttiva di calcolo dei costi occulti, mediante l’utilizzo di presunzioni semplici che comprovano su base razionale e logica la plausibilità dei costi stessi nella fattispecie specifica (es. medie del settore).

Il principio sancito dalla Corte costituzionale qui richiamato è stato rapidamente recepito nelle pronunce della Suprema Corte di Cassazione, facendo quest’ultima richiamo all’utilizzo di meccanismi induttivi tipici (e cioè le medie di settore o comunque il confronto comparativo coi dati statistici del comparto di mercato) a mezzo dei quali poter consentirsi l’assolvimento dell’onere probatorio incombente sul contribuente in punto di componenti negative di reddito[2].

Dall’analisi di tali pronunce, si ritrae il principio per cui non appare condividibile e ragionevole ritenere che il contribuente che abbia commesso una delle gravi condotte che legittimano l’accertamento induttivo-extracontabile, non abbia comunque il diritto al riconoscimento “automatico” della deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi non contabilizzati, mentre, tale “facoltà”, non sussisterebbe in capo a chi, più “diligente”, fosse destinatario di un accertamento di tipo analitico-induttivo a mezzo del quale si recuperano ad imposizione – in via comunque presuntiva – intere componenti reddituali (solitamente, ricavi non contabilizzati).

E’ bene precisare, però, che questa incoerenza è ravvisabile solo qualora l’accertamento analitico-induttivo, si traduca in una rettifica non di “singole poste” attive o passive del reddito, ma della (quasi) “globalità” del reddito, in quanto la rettifica (di tipo induttivo) finisce per rideterminare in toto (o quasi) la categoria – quella dei ricavi – “più rilevante tra quelle dalla cui somma algebrica si determina il reddito”: in questi casi le risultanze delle scritture contabili, anche se non espressamente dichiarate inattendibili, de facto vengono significativamente disattese dall’Amministrazione finanziaria, con ciò venendosi a configurare una sorta di abuso del metodo analitico-induttivo in luogo di quello più agevole (accertamento induttivo extracontabile) ma meno difendibile in giudizio.

Diversamente, non è ravvisabile l’incoerenza segnalata nei casi in cui il metodo analitico-induttivo venga applicato nella sua forma più “pura”, ovvero sia utilizzato nel contesto di una ricostruzione analitica di singoli elementi attivi e passivi del reddito d’impresa, sulla base di presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti).

La Corte ha quindi stabilito che “il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati»)”.

L’utilizzo di tale principio, fatto proprio dal giudice di legittimità (tra le prime, Cass. n. 5586/2023) riverbera effetti, anche a mente della citata dottrina, non solo nell’accertamento analitico-induttivo suffragato da indagini bancarie, ma a fortiori anche in quegli accertamenti in cui queste non sono utilizzate e ciò in ossequio della applicazione dell’art. 53 Cost che, come noto, tra l’altro, mira a tassare grandezze nette proprio per la precipua ricerca ed eventuale ricostruzione della capacità contributiva del contribuente. Lo schema inferenziale è il seguente: ogni reddito d’impresa va calcolato come saldo algebrico dei ricavi e dei costi di produzione, la produzione di ricavi richiede costi per la relativa produzione, in assenza di una puntuale dimostrazione dei costi in misura analitica può adottarsi un criterio di incidenza percentuale dei costi in riferimento anche ai ricavi occulti[3].

Di questo ed altri principi ne dà conto la Cassazione (es. Cass 5586/2023 e 18231/2023 e da ultimo Cass. 2344/2024).

Nella pronuncia che ci occupa quindi, la Corte di Cassazione viene così a recepire l’ultimo orientamento espresso dal giudice delle leggi e stabilisce l’importante principio di diritto che segue: “In tema di accertamenti bancari di cui all'art. 32 d.p.r. 602/1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, eccepire la incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati”.

 

[1] A. Borghetti, Un quadro (normativo) senza cornice: il difficile rapporto tra Arte e Fisco, in Diritto e pratica tributaria, n. 3 del 2024.

[2] Si vedano i lavori di S. Zaga, Prelevamenti bancari e metodi di accertamento, in Diritto e pratica tributaria n. 3/2023 e P. Boria, Nell’accertamento analitico-induttivo il contribuente può opporre l’incidenza percentuale dei costi, in GT Giurisprudenza tributaria 1/2024.

[3] P. Boria, La Consulta riconosce al contribuente la presunzione di incidenza dei costi dui ricavi occulti, in GT-Giurisprudenza tributaria 4/2023.

Argomento: Del reddito d’impresa
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. Trib., 08 marzo 2023, n. 6874)

stralcio a cura di Giorgio Potenza

“6.3. La Corte costituzionale, con sentenza n. 10 del 2023, si è pronunciata sulla legittimità costituzionale d e l D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 , art. 32, comma 1, n. 2), (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dal D.L. n. 193 del 2016, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo, nella parte in citi pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell'imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario. La Corte Cost., dopo avere richiamato la sentenza n. 228 del 2014 - che aveva differenziato rispetto agli imprenditori la posizione dei lavoratori autonomi e dei professionisti, ritenendo solo rispetto a questi ultimi che la norma con riferimento ai prelievi fosse lesiva del principio di ragionevolezza e di capacità contributiva - e la sentenza n. 225 del 2005 - che aveva già deciso su alcune questioni afferenti alla legittimità costituzionale rispetto ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost. della presunzione di equiparazione dei prelievi ai ricavi espressa dalla norma censurata - ha ritenuto non fondate le questioni di costituzionalità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. 6.4. Ciò in base alla possibilità di un' interpretazione adeguatrice, orientata alla conformità agli evocati parametri, precisando (al punto 8 e 9) che bisogna tener conto dei costi in misura percentuale rispetto ai ricavi accertati. Ha pertanto statuito che: "la disposizione censurata in tanto si sottrae alle censure mosse, in riferimento agli evocati parametri, dalla Commissione tributaria rimettente sì che le sollevate questioni possono essere dichiarate non fondate - in quanto si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la " incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati". 6.5. Sulla base della indicata interpretazione della norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 il secondo motivo del ricorso è fondato nei limiti di cui in prosieguo. La Corte Cost., richiamato il [continua ..]

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