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“Palmario” avvocati, vige sempre l´obbligo di fatturazione

Domenica Russo 

Le Cassazione Civile, con sentenza dell’8 giugno 2023 n. 16252 pronunciata a Sezioni Unite, ha confermato la pronuncia del Consiglio Nazionale Forense con la quale era stata accertata la violazione degli obblighi di fatturazione previsti dal nuovo Codice Deontologico Forense.

La decisione in esame muove da un reclamo proposto da un avvocato che era stato sottoposto a procedimento disciplinare e alla sanzione della censura “per essere venuto meno ai doveri di fedeltà, correttezza, probità e diligenza che caratterizzano la professione forense”.

Nel caso specifico, era accaduto che il ricorrente avesse pattuito con il cliente una somma ulteriore rispetto al normale compenso calcolato secondo prassi con le tariffe forensi, ossia il c.d. “palmario”.

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina territorialmente competente ha ritenuto sussistente la violazione degli artt. 9 e 29, comma 3, del nuovo Codice Deontologico Forense, per aver omesso il rilascio del documento fiscale relativo al pagamento della somma percepita a titolo di palmario e gli ha applicato la sanzione della censura.

L’avvocato ha impugnato il suddetto provvedimento, contestando l’assoggettabilità del palmario all’obbligo fiscale di fatturazione e sostenendo che – in ogni caso – la somma integrava una “mera regalia” o una liberalità.

Tuttavia il C.N.F ha rigettato il gravame, ritenendo il palmario, nonostante la sua natura premiale, una vera e propria componente aggiuntiva del compenso e, per tale motivo, il professionista risulta tenuto al generale obbligo di emissione della fattura.

Il provvedimento del Consiglio Nazionale Forense è stato impugnato dinnanzi alle Sezioni Unite della Suprema Corte, alla stregua di quanto previsto dall’art. 36, comma 6 della Legge professionale forense (n. 247 del 2012).

In prima battuta, è utile specificare che per “palmario” si intende l’accordo tra avvocato e cliente che prevede il pagamento, in favore del professionista, di una somma ulteriore in ragione del risultato perseguito (solitamente la vittoria della lite) o della complessità dell’attività svolta; trattasi di un compenso straordinario ed integrativo rispetto al normale onorario, da considerarsi legittimo essendo consentito alle parti di convenire un compenso libero.

La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. II - 3, 28/06/2017, n. 16214) aveva già precisato che il palmario possa considerarsi valido, a condizione che esso sia stato pattuito in forma scritta oppure, in ogni caso, provato dall’avvocato. Infatti, il professionista che ne deduce la pattuizione con il cliente è soggetto all’onere probatorio riguardo l’esistenza di detto accordo, nel rispetto del principio generale in forza del quale di fronte alla prova dell’avvenuto pagamento di una somma di denaro il convenuto è tenuto a provare il titolo in forza del quale ha trattenuto la somma ricevuta.

In mancanza di accordo scritto o di altra prova, la pretesa su una percentuale della somma ottenuta all’esito della lite non integra la fattispecie palmario bensì il patto di quota lite, vietato nel nostro ordinamento.

Ciò detto, la Cassazione con la sentenza in commento, nel rigettare il ricorso, afferma che le censure articolate dal deducente si fondano sul presupposto interpretativo errato di ritenere che le somme oggetto del compenso aggiuntivo non siano soggette ad obbligo di fatturazione.

Per le Sezioni Unite, infatti, La connotazione premiante del “palmario” non fa venir meno la sua natura di compenso: come tale, esso soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge ed al relativo obbligo di fatturazione.”

Del resto, il Codice Deontologico Forense stabilisce, da un lato, il dovere generale di adempimento fiscale, prevedendo che l’avvocato deve provvedere agli adempimenti fiscali previsti dalle norme in materia (articolo 16) e, “a sua volta, l’art. 29, terzo comma, dello stesso codice fa obbligo all’avvocato di emettere il prescritto documento fiscale per ogni pagamento ricevuto.

Dunque, ciascun pagamento ricevuto soggiace all’obbligo di fatturazione e, per tali ragioni, è necessario emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l’attribuzione patrimoniale effettuata in favore dello stesso costituisca adempimento del “palmario” convenuto in sede di conferimento del mandato professionale.

Nel caso de quo, il pagamento extra ricevuto dal professionista è stato sussunto alla fattispecie del palmario.

In sede di legittimità, infatti, vengono ripercorse e condivise le motivazioni addotte dal C.N.F. a sostegno della qualificazione della somma in esame come palmario e non come liberalità

Dalle risultanze istruttorie, infatti, erano emersi elementi tali da considerare raggiunta la prova che il pagamento effettuato dalla cliente in favore del professionista fosse l’adempimento del palmario.

A questo scopo, oltre alla contrattualizzazione dell’importo, è stata fornita particolare rilevanza a due elementi: l’esistenza di un pagamento a beneficio del difensore per mezzo di assegno bancario, nonostante nel giudizio la convenuta fosse stata condannata al pagamento delle spese; la deposizione testimoniale del cliente e la circostanza che la somma era stata oggetto di procedimento monitorio, circostanza che permetteva di escludere con certezza che si potesse trattare di una regalia.

A nulla sono servite le difese del ricorrente, fondate, in particolare, sulla circostanza che la cliente non avesse mai richiesto l’emissione della fattura, da considerarsi prova dello spirito di liberalità.

Difatti, l’asserito intento liberale era in ogni modo stato smentito “da plurimi elementi oggettivi emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale e, in particolare, dalla circostanza che l’incolpato aveva ottenuto, nei confronti della cliente, un decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo del compenso aggiuntivo pattuito”.

L'inosservanza di tale precetto ha rilievo disciplinare, poiché l’obbligo di fatturazione è espressione dei doveri di solidarietà e correttezza fiscale, cui il legale tenuto anche a tutela della propria immagine e della credibilità dell’intera classe forense.

La Suprema Corte ha dunque ribadito, all’esito, il seguente principio di diritto:

Il “palmario” costituisce una componente aggiuntiva del compenso, riconosciuta dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e difficoltà della prestazione professionale. La connotazione premiante del “palmario” non fa venir meno la sua natura di compenso: come tale, esso soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge ed al relativo obbligo di fatturazione. Pertanto, l’avvocato ha l’obbligo, previsto dagli artt. 16 e 29, terzo comma, del codice deontologico, di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l’attribuzione patrimoniale effettuata in favore del medesimo costituisca adempimento del “palmario” convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo.

Costituisce illecito disciplinare dell’avvocato, sanzionabile con la censura, il mancato rilascio del documento fiscale relativo al pagamento di una somma corrispostagli dalla cliente a titolo di “palmario”.

Argomento: Disciplinare avvocati
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS. UU., 8 giugno 2023, n. 16252)

stralcio a cura di Ciro Maria Ruocco

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“ (…) 6. - Le censure articolate dal ricorrente muovono dal presupposto interpretativo secondo cui l'importo corrisposto a titolo di “palmario” dalla cliente al proprio avvocato non sarebbe soggetto agli obblighi di fatturazione. Si tratta di un presupposto interpretativo erroneo. Il “palmario”, infatti, costituisce una componente aggiuntiva del compenso, riconosciuta dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e difficoltà della prestazione professionale. La connotazione premiante del “palmario” non fa venir meno la sua natura di compenso: come tale, esso soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge ed al relativo obbligo di fatturazione. Il codice deontologico forense richiama il dovere di adempimento fiscale, prevedendo, all’art. 16, che l’avvocato deve provvedere agli adempimenti fiscali previsti dalle norme in materia. A sua volta, l’art. 29, terzo comma, dello stesso codice fa obbligo all’avvocato di emettere il prescritto documento fiscale per ogni pagamento ricevuto. Viene in rilievo, secondo l’ordinamento generale, l’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, puntualmente richiamato nella sentenza impugnata, in base al quale l’obbligo di fatturazione va assolto all’atto del pagamento del corrispettivo, quando, cioè, la prestazione professionale dell’avvocato si considera effettuata. Pertanto, l’avvocato ha l’obbligo, previsto dagli artt. 16 e 29, terzo comma, del codice deontologico, di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l’attribuzione patrimoniale effettuata in favore del medesimo costituisca adempimento del “palmario” convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo. L’inosservanza di questo precetto ha rilevanza disciplinare. L’obbligo di fatturazione costituisce, infatti, espressione dei doveri di solidarietà e correttezza fiscale, cui l’avvocato è tenuto, non soltanto in funzione della giusta redistribuzione degli oneri, ma anche a tutela della propria immagine e, più in generale, della credibilità della classe forense. Il dovere di lealtà e correttezza fiscale nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni avvocato, che mira [continua ..]

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