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La clausola di "rischio cambio" da parte dell'intermediario creditizio o finanziario e i criteri di meritevolezza dei contratti. Su leasing indicizzato e derivati impliciti

Stefania Cici

Con sent. n. 5657, depositata il 23 febbraio 2023, le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono pronunciate sulla meritevolezza e qualificazione, quale strumento finanziario derivato implicito, della clausola di c.d. rischio cambio apposta in un contratto di leasing affermandone la mancanza di contrasto giurisprudenziale sul punto e conseguentemente rinviandone la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Primariamente è necessario analizzare i fatti di causa: nel 2006 (anno da tenere in considerazione in quanto modificativo del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in tema di "strumenti finanziari derivati"), due società commerciali (ASC S.r.l. – concedente e RPS S.n.c. – utilizzatrice) stipulavano un contratto di “locazione finanziaria”, con valuta nominale di riferimento del canone in valuta estera (franco svizzero) e restituzione del passivo in euro, avente ad oggetto un immobile, il cui debito veniva garantito da cinque persone fisiche con cui si prevedeva il rimborso delle rate sulla base delle fluttuazioni del cambio franco/euro e delle variazioni del tasso LIBOR.

Sei anni dopo la stipula del contratto, la società concedente, lamentava l’inadempimento della utilizzatrice e pertanto chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo a titolo di canoni scaduti e non pagati.

Gli intimati proponevano opposizione deducendo l’invalidità del contratto in quanto contenente una clausola di variabilità del canone, qualificata come “strumento finanziario implicito”, per mancanza degli obblighi informativi ed, in via riconvenzionale, chiedevano la condanna della società concedente alla restituzione delle somme pagate a titolo di indicizzazione del canone, nonché la condanna dell’intermediario al risarcimento del danno.

Il Tribunale accoglieva la richiesta ritenendo che la variazione del canone in funzione sia del tasso LIBOR che del tasso di cambio tra euro e franco svizzero conteneva due strumenti finanziari derivati, autonomi rispetto al contratto principale dichiarandone la nullità in quanto la società utilizzatrice non aveva ricevuto le informazioni precontrattuali per legge imposti alla banca dal d.lgs. 58/98.

Di tal che veniva proposto gravame dalla concedente che rigettava la domanda affermando che il contratto era da considerarsi aleatorio facendolo così’ rientrare nel genus delle scommesse giacché secondo i giudici di seconde cure, l’opposizione al decreto ingiuntivo proposto davanti al Tribunale doveva essere accolto per altra motivazione: la sola clausola di rischio cambio era invalida, ex art. 1322, co. 2, c.c.

Alla stregua di ciò la società ASC S.r.l. proponeva ricorso presso la Corte di Cassazione, la quale, rimetteva la causa alle SS. UU. rilevando contrasti giurisprudenziali in merito e ponendo le seguenti questioni: “a) se la clausola di cui si discorre sia un mero meccanismo di indicizzazione, oppure costituisca una “scommessa”, o comunque abbia una finalità speculativa; b) se la suddetta clausola muti la causa del contratto di leasing, “inquinandola”, ed in questo caso con quali effetti; c) se la relativa pattuizione, a causa della sua oscurità, violi i doveri di correttezza e buona fede da parte del predisponente”.

La risposta a tali interrogativi è giunta a seguito di un complesso iter argomentativo, che, facendo leva sui principi cardine di diritto contrattuale, illustra pedissequamente i motivi per i quali né i ragionamenti dedotti dai giudici di merito, né tanto meno le ricostruzioni dottrinali, possono essere accolti.

Invero, non sussiste un effettivo contrasto giurisprudenziale sul caso delle clausole di rischio cambio con le quali si prevedono forme di variazione di interessi in funzione delle oscillazioni di indici finanziari e monetari, atteso che, sulle stesse, si sia già più volte pronunciato il giudice nomofilattico.

Indagando il primo motivo di ricorso, sull’interpretazione e qualificazione del contratto, si evince che questo è stato respinto dalla Cassazione in quanto la Corte di Appello non ve ne se era occupata, soffermandosi piuttosto sul giudizio di meritevolezza e sulla natura della clausola di rischio in un contatto di leasing.

Partendo da un’analisi delle massime può sussumersi che: un contratto non può ritenersi “immeritevole”, ex art. 1322, co. 2, c.c., solo perché poco conveniente per una delle parti atteso che, l’ordinamento giuridico, pone innumerevoli strumenti atti a garantire il contraente il cui consenso sia stato viziato o prevaricato.

Dunque, tale assunto, avanzato dai giudici di seconde cure, è da ritenersi erroneo in quanto il giudizio di liceità di un contratto, del suo oggetto e della sua causa non coincide con l’enunciato normativo suesposto ma piuttosto – come da orientamento consolidato (Cass. Civ., S.U., 4222/2017), nonché come chiarito nella Relazione al Codice Civile – è un giudizio da effettuarsi ex post e che deve investire il risultato del contratto a cui i paciscenti mirano, dunque dovrà aversi riguardo della c.d. causa in concreto.

L’autonomia contrattuale, principio consacrato anche a livello costituzionale negli artt. 2, 4, co. 2, 41, co. 2 (in tema di libera iniziativa economica), si pone alla base della contrattualistica, in quanto le parti sono libere di determinarne il contenuto, a patto che non sia contrario a norme imperative, ordine pubblico o buon costume, nonché di concludere contratti atipici purché perseguano interessi socialmente utili e non contrastino con i principi ordinamentali.

Alla stregua di ciò, come già affermato, la meritevolezza non corrisponde alla liceità della causa del contratto, dal momento che i limiti di ordine pubblico, buon costume e liceità sono delineati in diversa accezione dall’art. 1343 c.c., invece la nozione dell’art. 1322 c.c., ha un contenuto precettivo più ampio identificabile nello scopo pratico voluto.

Difatti, la più recente giurisprudenza, dopo anni di interpretazioni limitanti, ha riscoperto questa previsione normativa ampliandone la portata al fine di assicurare una maggiore tutela ai paciscenti.

Di tal che, la complessità della clausola non può condurre ad un automatico giudizio di immeritevolezza del contratto, piuttosto si imporrebbe l’impiego di criteri interpretativi forniti dal legislatore ai sensi degli artt. 1362 c.c. ss. per chiarirne “l’oscurità”, atteso che la difficoltà di comprensione di un testo per una delle parti, qualora abbia inciso sulla formazione del consenso, conduce all’annullabilità dello stesso.

Siffatte premesse sono valide altresì per la rilevata aleatorietà – da parte della Corte d’Appello – giacché le parti sono libere di concludere contratti aleatori. Le Sezioni Unite hanno, infatti, precisato che vi è stata una inesatta interpretazione della clausola da parte dei giudici di merito che hanno indebitamente sovrapposto il piano dell’alea economica – presente in ogni tipo contrattuale – con l’alea giuridica che forma invece l’oggetto essenziale del contratto.

Nel caso di specie, la causa del contratto è rinvenibile nel trasferimento della proprietà dell’immobile e non nel trasferimento di un rischio a seguito del pagamento di un determinato prezzo.

Il terzo punto dedotto dalla Corte di Appello, circa la immeritevolezza, attiene allo squilibrio delle prestazioni. Tale assunto, tuttavia, pone questioni sia di tipo macroeconomico che microeconomico sulla circolazione della ricchezza. A tal proposito, gli Ermellini, ricordano che l’ordinamento, nel caso di eccessivo squilibrio, già prevede strumenti atti ad ovviare a queste problematiche: se genetico legittima il ricorso alla rescissione per lesione, se sopravvenuto richiama il rimedio della eccessiva onerosità sopravvenuta.

Le altre quaestiones iuris riguardano la qualificazione della clausola di rischio cambio quale strumento finanziario derivato, la conseguente snaturalizzazione del contratto di leasing e la sua contrarietà alla buona fede.

Posto che, le parti hanno fatto dipendere la prestazione all’andamento del rapporto di un indice esterno, tasso LIBOR e apprezzamento/deprezzamento di valuta euro – franco svizzero, potrebbe effettivamente indurre a pensare che le parti abbiano introdotto un derivato per il quale la legge impone agli intermediari finanziari di assolvere a tutti gli obblighi informativi previsti dal d.lgs. 58/1998.

Le Sezioni Unite escludono categoricamente una tale possibilità atteso che la clausola non rientra nella nozione contenuta nell’art. 1 del d.lgs. 58/98, e neppure perché i paciscenti hanno inteso scambiare nulla ovvero lucrare sulle previste fluttuazioni valutarie, mancando il requisito della c.d. differenzialità.

Pertanto, la clausola di cambio rischio non snatura la causa del contratto di leasing in quanto lo scopo delle parti è quello del trasferimento di un immobile e non di investire denaro per realizzare un lucro finanziario o commerciale. I prodotti derivati, difatti, si chiamano così perché il loro valore dipende dall’andamento di un’attività o dal verificarsi di un evento futuro oggettivamente osservabile.

Dunque, l’inserimento di una clausola atipica come quella in oggetto non inficia sulla causa del contratto di leasing, che seppur sommariamente, ha, con la l. n. 124/2017 trovato regolamentazione anche in Italia, perciò il giudice non è tenuto, secondo orientamento ormai costante, a valutare la meritevolezza di una fattispecie ritenuta generale ed unitaria.

Quanto all’ultimo punto, ossia alla buona fede insita nella clausola, i giudici della nomofilachia hanno precisato che sussiste una netta distinzione fra giudizio di meritevolezza e bona fides in quanto, mentre quest’ultima mira a sanzionare comportamenti scorretti tenuti da una delle parti nella fase di formazione del contratto (se il consenso sia stato viziato da dolo o errore), il giudizio, ex art. 1322, co. 2, c.c., è volto all’analisi dell’ammissione di una tutela del negozio atipico. Atteso ciò, la poca chiarezza della clausola de quo non fa sorgere l’immediata immeritevolezza in quanto sarà necessario l’accertamento dell’intero iter comportamentale dei paciscenti, ve dipiù, pur riconoscendo la violazione effettiva della bona fides si potrà giungere, al massimo, all’annullamento del patto per vizio del consenso ovvero ad un caso di riconoscimento della responsabilità precontrattuale o, infine, al risarcimento del danno.

All’uopo di quanto relato, è doveroso trarre alcune considerazioni conclusive: come evidenziato il contratto di leasing è stato riconosciuto a livello normativo e per tale ragione non è soggetto ad un giudizio di meritevolezza volto a decretarne l’ingresso nel nostro ordinamento; inoltre, proprio per la sua intrinseca natura creditizia e di ausilio sociale, tale operazione negoziale prevede la possibilità di introdurre clausole finanziarie, le quali non provocano una modifica della causa del contratto a cui sono legate e neppure ne determinano una propria autonomia, atteso che, il loro scopo è solo quello di agevolare l’utilizzatore nel finanziamento.

Argomento: Delle obbligazioni
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS. UU., 23 febbraio 2023, n. 5657)

stralcio a cura di Fabrizio Cesareo

"1.1. [...] Con una prima censura [...] la società ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe malamente interpretato il contratto. L’errore sarebbe consistito nel non apprezzare adeguatamente la comune volontà delle parti, che fu quella di stipulare un normale contratto di leasing in valuta estera. [...] La contestata clausola, pertanto, non aveva altro effetto che consentire al debitore di restituire in euro un finanziamento concessogli in altra valuta. 1.2. Con una seconda censura [...] la società ricorrente sostiene che la Corte d’appello, oltre a male interpretare il contratto, lo avrebbe anche malamente qualificato. Deduce la ricorrente che la clausola di doppia indicizzazione prevista dal contratto non possedeva alcuna delle caratteristiche tipiche degli strumenti finanziari derivati: non l’astrazione, non l’autonomia, non l’esistenza d’un capitale puramente nozionale, non la previsione del valore da assegnare ai reciproci flussi finanziari nel caso di cessazione degli effetti del contratto (e cioè il c.d. “mark to market”). 1.3. Ambedue le censure sono inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto non coerenti rispetto alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata. [...] 2. [...] Col secondo motivo la società ricorrente lamenta [...] la violazione dell’articolo 1322 c.c. [...] Deduce la ricorrente che il contratto da essa stipulato [...] non presentava alcuno dei presupposti che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, debbono ricorrere per poter qualificare un contratto come “immeritevole”, ex articolo 1322, secondo comma, c.c.. La clausola di indicizzazione contenuta nel contratto, infatti: -) non attribuiva alcun vantaggio ingiusto e sproporzionato ad una parte soltanto, e senza contropartita: il contratto prevedeva che il canone potesse sia aumentare, sia diminuire, in modo speculare; -) non poneva alcuna delle parti in una posizione di “soggezione” rispetto all’altra; -) non costringeva alcuna delle parti alla violazione di doveri di solidarietà sociale costituzionalmente imposti. 2.1. [...] La censura di violazione dell’articolo 1322, secondo comma, c.c., è fondata. 2.2. [...] Il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322, comma secondo, c.c., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Secondo la [continua ..]

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