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Confermata la duplicazione dell´eccezione di incapacità a testimoniare

Debora Berta

La sentenza Cass. Civ., Sez. Un., n. 9456 del 6 aprile 2023, confermando l’orientamento prevalente già espresso, ha enunciato tre principi di diritto in punto rilevabilità a sola istanza di parte della incapacità a testimoniale ex art. 246 c.p.c., nullità relativa della prova testimoniale resa dal teste incapace ed ammessa dal Giudice, duplice onere a carico della parte interessata di rilevare, in sede istruttoria, e reiterare, alla precisazione delle conclusioni, l’eccezione di nullità.

In primo luogo, la Suprema Corte ha riaffermato il principio per cui l’incapacità a testimoniare, disciplinata dall’art. 246 c.p.c., non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte che ne abbia interesse immediatamente prima dell’assunzione della prova stessa, precisando che, ove la parte non formuli tempestivamente l'eccezione di incapacità, detta eccezione rimane definitivamente preclusa, senza possibilità di proporre successivamente eccezione di nullità della prova, dopo che il mezzo sia stato ammesso e assunto. La Suprema Corte osserva come la natura non officiosa di tale eccezione sia connaturata e, quindi coerente con l’impianto del processo civile in cui spetta alla parte scegliere di quali mezzi istruttori valersi al fine di dimostrare i propri assunti. Fatti salvi i casi in cui la legge non disponga diversamente (si veda il rito del lavoro e il nuovo rito unitario di famiglia), il Giudice è chiamato a decidere sulla base del materiale probatorio che le parti gli hanno messo a disposizione, dovendo assicurare – secondo i principi costituzionali – solamente il pieno contraddittorio e la parità delle parti dinnanzi ad un Giudice terzo ed imparziale.

In seconda battuta, ove la parte abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare immediatamente prima dell’ammissione del mezzo, e il Giudice abbia ugualmente autorizzato l’escussione ed abbia dato corso alla sua assunzione, anche implicitamente respingendo l’eccezione di incapacità, la testimonianza così assunta è affetta da nullità relativa che, ai sensi dell’art. 157, comma I, c.p.c., l'interessato ha l'onere di eccepire, pur senza formule sacramentali, subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità ai sensi del secondo comma dell’art. 157, c.p.c. (secondo principio). Il duplice onere di eccezione, prima dell'ammissione e dopo l'assunzione del mezzo, viene spiegato dalla Suprema Corte alla luce di due principi, in primis in ragione dell'impossibilità logica di configurare un'eccezione di nullità di un atto che deve essere ancora compiuto, per cui l’eccezione d'incapacità a testimoniare non costituisce anche eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante l’opposizione; in secundis in funzione del già affermato principio di disponibilità della prova per cui la parte che abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare, ben potrebbe – a testimonianza assunta – valutare l’esito dell’assunzione come favorevole alla dimostrazione dei propri assunti e sfavorevole alla dimostrazione di quelli avversari e, quindi, avere interesse a che la prova sia valutata dal Giudice e posta a fondamento della decisione (art. 115 c.p.c.).

In ultima battuta la Suprema Corte ha precisato quale terzo principio come la parte che abbia tempestivamente formulato l'eccezione di nullità della testimonianza resa da un teste che si aveva già rilavato essere incapace a testimoniare, debba poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l'eccezione rinunciata, così da non potere essere riproposta in sede d'impugnazione. L'esigenza di reiterazione si ricollega alla previsione del comma 3 dell’art. 157 c.p.c. secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha rinunciato anche tacitamente, ed è coerente con il  principio, pacifico in giurisprudenza, che la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non possono essere riproposte in sede di impugnazione.

Argomento: Del processo di cognizione
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS.UU., 6 aprile 2023, n. 9456)

stralcio a cura di Fabrizio Cesareo

"14. ― [...] Il ricorso contiene tre motivi. 14.1. ― Il primo mezzo [...] denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articoli 112, 115, 116, 157 e 246 c.p.c., ex articolo 360, numero 3, c.p.c., «perché il giudice di secondo grado ha errato nel condividere la statuizione del primo giudice in ordine alla non attendibilità della disposizione resa dal teste S. , valutando come non verosimile il fatto che egli non ricordasse dove era diretto quella mattina, e nel condividere la statuizione del primo giudice in ordine all’incapacità a testimoniare della terza trasportata sig.ra S. L., sebbene ritualmente ammessa in fase di istruttoria, ritenendola inutilizzabile ai fini della decisione». 14.2. ― Il secondo mezzo [...] denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 2697 c.c., ex articolo 360, numero 3, c.p.c., «per non aver concesso la possibilità di dimostrare la dinamica del sinistro tramite CTU tecnica, che pure era stata richiesta tempestivamente nell’atto di intervento nel giudizio di primo grado e ribadita nel corso di entrambi i giudizi di primo grado e di appello». 14.3. ― Il terzo mezzo denuncia nullità della sentenza o del procedimento in relazione agli articoli 112 e 132 c.p.c., ex articolo 360, numero 4, c.p.c., per avere omesso la Corte territoriale di pronunciarsi in ordine alla richiesta di CTU tecnica, essendo tenuta a motivare sia in ordine all’ammissione della consulenza che al diniego della stessa. 16.1. ― [...] L’articolo 246 c.p.c., secondo cui non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio, viene tradizionalmente considerato espressione del principio nemo testis in causa propria, principio di origine romanistica, sebbene di non facile attribuzione [...]: esso sta ad affermare l’incompatibilità della posizione processuale di parte con quella di testimone, in forza di una valutazione compiuta a priori, la quale si risolve in ciò, che una confusione tra i due ruoli inficia, o meglio inficerebbe, almeno secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, la credibilità del teste, perché privo della condizione di terzietà che ne caratterizza, o meglio ne caratterizzerebbe, la figura. 16.9. [continua ..]

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