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Configurabilità del conflitto d'interessi in caso di attività difensiva svolta in favore dell'attore e dei terzi chiamati in causa dal convenuto

Alessandro Marchetti Guasparini

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si è occupata di una delicata questione in materia di deontologia professionale, ossia il conflitto di interessi in caso di difesa di una pluralità di parti.

Nel caso di specie, il Consiglio Nazionale Forense aveva irrogato ad un avvocato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di due mesi, per aver violato gli artt. 9 e 24 del Codice Deontologico Forense, avendo prestato attività professionale a favore sia dell’attore che del terzo chiamato in causa da parte del convenuto, in tal modo determinandosi un conflitto d’interessi quanto meno potenziale. In particolare, era stata contestata la violazione dell’art. 24 del Codice Deontologico Forense (il quale sancisce che “L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale”) in quanto l’avvocato, dopo aver prestato patrocinio in giudizio a favore dell’attore, aveva assunto la difesa dei chiamati in causa dalla parte convenuta.

L’avvocato aveva quindi proposto ricorso contro la sentenza del Consiglio Nazionale Forense avanti le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ex art. 36,comma 6, L. n. 247/2012, sostenendo, in primo luogo, che  la sentenza impugnata non aveva considerato che le parti assistite dal medesimo avvocato non avevano avanzato alcuna pretesa reciproca e che, inoltre, non aveva ritenuto corretto rimettere il mandato, non potendosi l’attore permettere un altro difensore e non risultando la linea difensiva dello stesso incompatibile con quella del terzo.

La Suprema Corte ha, in via preliminare, ricordato che le sentenze del CNF possono essere impugnate innanzi alle Sezioni Unite soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione. Oggetto di censura, al contrario, non può essere “l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata”. In particolare, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, per consolidato orientamento giurisprudenziale[1], “la violazione delle regole poste dal Codice Deontologico Forense non è deducibile ex se, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma solo in quanto si colleghi agl’indicati vizi di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge, ossia ad una delle ragioni per le quali l’art. 36, comma 6 L. n. 247 cit. consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione”.

Precisato il limite del proprio sindacato, la Corte si è concentrata sul merito della questione, evidenziando in primo luogo che l’art. 24 del Codice Deontologico Forense (che sanziona l’avvocato che agisce in conflitto di interessi) ha la finalità di “salvaguardare l’indipendenza dell’avvocato, garantendone la libertà da pressioni o condizionamenti di qualsiasi genere, anche correlati ad interessi riguardanti la propria sfera personale”. In tale senso è orientato anche il comma 3 dell’art. 24, il quale sancisce che “il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico”. Sulla scorta di tale disposizione, la giurisprudenza della Corte ha censurato diverse ipotesi di possibile interferenza tra accettazione di un nuovo incarico professionale e adempimento di un altro mandato precedentemente ricevuto, giungendo ad affermare che “nei rapporti tra avvocato e cliente, la nozione di conflitto d’interessi non può essere riferita restrittivamente alla sola ipotesi in cui l’avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza del consenso di quest’ultimo, ma comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi rispetto al proprio assistito[2].

Nelle proprie argomentazioni, la Suprema Corte ha inoltre dato atto di un filone giurisprudenziale che escludeva la violazione dei canoni di correttezza e deontologia professionale, in caso di assunzione, da parte dell’avvocato, del patrocinio di soggetti portatori d’interessi solo potenzialmente contrastanti, ritenendo necessaria l’esistenza in concreto di un conflitto tra le parti[3]. Tale orientamento deve ritenersi superato, anche alla luce dei principi fondamentali dell’orientamento processuale, mediante il richiamo a quelle pronunce in tema di procura alle liti che hanno sancito l’inammissibilità della costituzione in giudizio di più parti a mezzo del medesimo procuratore, “ogni qualvolta tra le stesse sia configurabile un conflitto d’interessi anche solo virtuale” in quanto il contemporaneo svolgimento di attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze contrastanti costituirebbe “una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, costituzionalmente tutelati[4]. La Suprema Corte ha pertanto concluso che “ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato, non è dunque necessario che tra gl’interessi delle parti da lui patrocinate sia configurabile un conflitto immediato ed attuale, risultando invece sufficiente un contrasto anche meramente virtuale, ricollegabile all’incompatibilità delle rispettive posizioni sostanziali o processuali, la quale impone al legale di compiere una scelta tra gli incarichi da assumere”.

La Corte ha ritenuto ugualmente irrilevante la conoscenza e/o conoscibilità ex ante del sorgere del conflitto di interessi, in quanto “la natura incondizionata dell’obbligo di astensione previsto dall’art. 24 del Codice Deontologico Forense, avente la finalità di salvaguardare la dignità della professione di avvocato e l’indipendenza nello svolgimento degl’incarichi ricevuti, in funzione di tutela del corretto esercizio del diritto costituzionale di difesa, impone infatti di ritenere, pur in mancanza di un’espressa disposizione in tal senso, che il professionista non possa considerarsi dispensato dalla sua osservanza in virtù della mera conoscenza della situazione d’incompatibilità da parte del cliente o del consenso dallo stesso prestato alla prosecuzione dell’incarico”.

In applicazione dei principi suesposti, la Cassazione ha affermato la configurabilità, nel caso di specie, di un conflitto di interessi tra l’attore ed i terzi chiamati, dal momento che questi avevano interesse non solo a resistere alla domanda proposta nei loro confronti dalla parte convenuta, ma, ancor prima, a sostenere le ragioni della convenuta nei confronti dell’attrice (patrocinata dal medesimo avvocato), al fine di evitare che l’accoglimento della domanda principale potesse comportare l’imposizione a loro carico dell’obbligo di rivalerla dell’importo che essa fosse stata eventualmente condannata a restituire all’attore.

[1] Cass. Civ. SS.UU., n. 13168/2021; Cass. Civ. SS.UU., n. 15873/2013.

[2] Cass. Civ. SS.UU., n. 7030/2021.

[3] Cass. Civ. SS.UU., n. 14629/2002; Cass. Civ. SS.UU., n. 645/1993.

[4] Cass. Civ. SS.UU., n. 7030/2021.

Argomento: Deontologia professionale
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS.UU., 27 aprile 2023, n. 11193)

stralcio a cura di Giorgio Potenza

“[…] nei rapporti tra avvocato e cliente, la nozione di conflitto d' interessi non può essere riferita restrittivamente alla sola ipotesi in cui l'avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza del consenso di quest'ultimo, ma comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi rispetto al proprio assistito (cfr. Cass., Sez. Un., 12/03/2021, n. 7030). La giurisprudenza più recente è pervenuta inoltre ad una rimeditazione del principio, enunciato da pronunce più risalenti, che escludeva la configurabilità di una violazione dei canoni di correttezza, lealtà e deontologia professionale in caso di assunzione, da parte dell'avvocato, del patrocinio di soggetti portatori d' interessi solo potenzialmente contrastanti, ritenendo necessaria, al predetto fine, l'esistenza in concreto di un conflitto tra le parti (cfr. Cass., Sez. Un., 15/10/2002, n. 14619; 20/01/1993, n. 645): in contrario, è stato infatti valorizzato il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento processuale, richiamandosi l'orientamento che, in tema di mandato ad litem, ritiene inammissibile la costituzione in giudizio di più parti a mezzo del medesimo procuratore, ogni qualvolta tra le stesse sia configurabile un conflitto d' interessi anche solo virtuale, ravvisando nel contemporaneo svolgimento di attività difensiva in favore di soggetti portatori d' istanze contrastanti una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, costituzionalmente tutelati (cfr. Cass., Sez. Un., 12/03/2021, n. 7030; Cass., Sez. I, 23/ 03/2018, n. 7363; Cass., Sez. III, 14/07/2015, n. 14634 ; 25/06/2013, n. 15884). Tale ampliamento della nozione di conflitto d' interessi trova d'altronde conforto nella disciplina dettata dall'art. 3 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, il quale dispone, in modo più specifico rispetto all'art. 24 del Codice italiano, che "l'avvocato non può fornire consulenza, rappresentare o difendere più di un cliente per la medesima controversia" non solo "qualora vi sia un conflitto", ma anche nel caso in cui sussista " il serio rischio di un conflitto tra gli interessi di tali clienti", aggiungendo che "l'avvocato non può accettare un incarico da un nuovo cliente" non solo, come previsto dall'art. 24 del Codice Deontologico Forense, "nel caso in cui il nuovo [continua ..]

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