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Contratto preliminare: ammissibile la domanda di risoluzione ex art. 183 co. 6 anche se già è stata proposta la domanda di accertamento della nullità

Erika Forino

Con la sentenza in rassegna, dal taglio eminentemente processuale, la Suprema Corte ha ribadito, seppure sinteticamente, il regime della proponibilità della domanda complanare afferente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, rafforzando e, precisando ulteriormente, quel filone interpretativo inaugurato dalla nota pronuncia resa a Sezioni Unite n. 12310 del 15 giugno 2015, successivamente esteso al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e, infine, coerentemente confermato dal Legislatore del 2022 con la Riforma del codice di rito[1].

All'esito della risoluzione di un contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promittente venditore dichiarata dal giudice di prime cure, il giudice di appello ha accolto l'impugnazione proposta dal promittente venditore, reputando fondata la censura afferente alla inammissibilità della domanda di risoluzione del contratto formulata dal promissario acquirente per la prima volta con la prima memoria di cui all'art. 183, sesto comma, c.p.c. a fronte della originaria domanda di accertamento della nullità del negozio.

Adito dal promissario acquirente che ha censurato la pronuncia per violazione e falsa applicazione dell'art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c. e dell'art. 1453 c.c. nella parte in cui è stata dichiarata l'inammissibilità della domanda di risoluzione del contratto proposta con la prima memoria istruttoria, il giudice di legittimità ha accolto il ricorso ribadendo che "nel processo introdotto mediante domanda di accertamento della nullità del contratto preliminare, è ammissibile la domanda di risoluzione del medesimo contratto formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c. qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta".

Per comprendere la base argomentativa fornita dalla Suprema Corte occorre ripercorrere brevemente le tappe più rilevanti dell'orientamento giurisprudenziale di cui si tratta che, per vero, si pone nel solco delle soluzioni avanzate dalla più autorevole dottrina[2].

Il tema dei limiti allo jus variandi delle parti e del termine ultimo entro il quale sono ammesse le modifiche alle domande formulate con gli atti introduttivi in considerazione delle barriere preclusive tracciate dal codice di rito, è stato oggetto del noto arresto del 2015 (Cass. civ. Sezioni Unite, 15 giugno 2015, n. 12310) con il quale, il giudice della nomofilachia, modificando il proprio precedente e granitico orientamento ed accogliendo le istanze della dottrina, ha affermato che "la modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero, l'allungamento dei tempi processuali; ne consegue l'ammissibilità della modifica, nella memoria prevista dall'art. 183 c.p.c., dell'originaria domanda [...]".

In altri termini, abbattuto il muro della tradizionale distinzione tra emendatio e mutatio libelli e, ferma in ogni caso, l'impossibilità di compromettere le potenzialità difensive della controparte, è ammesso l'intervento modificativo finanche degli elementi identificativi della domanda (petitum e causa petendi) purchè la domanda "nuova" abbia ad oggetto la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio o una vicenda sostanziale ad essa connessa ponendosi, rispetto alla domanda originaria, in termini sostitutivi.

L'orientamento in parola è stato ulteriormente precisato con la pronuncia n. 22404 resa dalle Sezioni Unite in data 13 settembre 2018 (confermato, successivamente da Cass. civ. Sez. III, n. 4322 del 14 febbraio 2019, Cass. civ., Sez. III, n. 31078 del 28 novembre 2019, Cass. civ., Sez. III, n. 4031 del 16 febbraio 2021) richiamato dalla sentenza che si annota, che ha esteso la modificabilità della domanda anche alla formulazione della stessa in via subordinata (purchè, in ogni caso, relativa alla medesima vicenda fattuale).

Dunque, la teleologica complanarità si realizza non più necessariamente quando la domanda originaria è sostituita da quella diversa (per petitum, causa petendi o per entrambi) ben potendo ad essa cumularsi ferma, in ogni caso, l'incompatibilità della stessa con il diritto per primo azionato nella misura in cui tende a realizzare il medesimo bene della vita avuto di mira con l'introduzione del giudizio.

Con la successiva pronuncia n. 9633 del 24 marzo 2022 (Prima Sezione) la Suprema Corte ha esteso i principi poc'anzi esposti al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, consentendo al convenuto opposto la possibilità di proporre domande diverse (nel senso precisato poc'anzi) rispetto a quelle poste a fondamento del ricorso monitorio, stante il richiamo contenuto nell'art. 645, secondo comma, c.p.c.. E ciò, si badi, è ammissibile anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o una eccezione riconvenzionale ma si sia limitato a contestare l'avversa pretesa a mezzo di eccezione.

Sottesi al condivisibile ragionamento più volte enunciato dal giudice di legittimità vi sono, a ben vedere, i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo nonchè, quello della effettività della tutela giurisdizionale.

Per un verso, infatti, permettere alla parte di "aggiustare il tiro" fino alla prima memoria istruttoria consente di concentrare nel medesimo giudizio le controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale evitando il ricorso alla giustizia per la domanda diversa ed assicurando il simultaneus processus; per l'altro, accordare alla parte la possibilità di introdurre una domanda modificata nel petitum o nella causa petendi (o entrambi) consente certamente una risposta più adeguata agli interessi delle parti.

In questo scenario, allora, ben si comprende il percorso argomentativo della pronuncia in epigrafe rispetto alla ammissibilità della domanda formulata per la prima volta, in via subordinata, con la prima memoria istruttoria, purchè afferente alla medesima realtà fattuale dedotta in giudizio e connessa per incompatibilità con quella per prima azionata. Di conseguenza, nel caso sottoposto alla Suprema Corte, è ammissibile la domanda di risoluzione del contratto preliminare proposta, in via subordinata rispetto alla domanda di accertamento di nullità del contratto in quanto, oltre ad avere ad oggetto la medesima realtà fattuale, entrambe le domande si pongono in quel rapporto di incompatibilità indicato come requisito per l'attività modificativa.  

 

[1] Si segnalano, al riguardo, gli importanti contenuti in dottrina di C. Consolo, Le S. U. aprono alle domande complanari: ammissibili in primo grado ancorchè (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno, in Il Corriere Giuridico, n. 7, 1 luglio 2015, 961 ss.; Id, Le Sezioni Unite di  nuovo sulle domande cc.dd. complanari, ammissibili anche se introdotte in via di cumulo (purchè non incondizionato) rispetto alla domanda originaria, in Il Corriere Giuridico n. 2, 1 febbraio 2019, 263 ss., nonchè, con riguardo al giudizio di appello B. Gambineri, Mutatio ed emendatio libelli in appello. Poteri delle parti e limiti oggettivi del giudicato, in AA.VV. Problemi attuali di diritto processuale civile, a cura di D. Dalfino, in Foro.it, Gli Speciali, n. 1 del 2021, 141 ss..

[2] Si veda, al riguardo, la nota 1.

Argomento: dei contratti in generale
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. II, 10 agosto 2023, n. 24458)

stralcio a cura di Giovanni Pagano

1) (…) La Corte d'appello ha rilevato che con l'atto di citazione introduttivo del processo la ricorrente aveva proposto domanda di accertamento della nullità del contratto preliminare e che con la memoria di cui al comma 6 dell'art. 183 c.p.c. aveva "aggiunto" la domanda di risoluzione per inadempimento accolta dal giudice di primo grado. Ad avviso della Corte d'appello si tratta non di semplice modificazione della domanda inizialmente fatta valere, ma di proposizione di una nuova domanda, aggiunta, in via subordinata, a quella principale di nullità, come tale inammissibile. In tal modo il giudice d'appello non ha considerato la recente presa di posizione delle sezioni unite di questa Corte (Cass. n. 22404/2018), che, asserendo di dare continuità all'indirizzo indicato dalla sentenza delle medesime sezioni unite - e considerata dal giudice d'appello - n. 12310/2015, che sposta "l'attenzione dell'interprete dall'ambito circoscritto di una valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda modificata rispetto a quella iniziale, in una prospettiva di più ampio respiro, volta alla verifica che entrambe tali domande ineriscano alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all'esame del giudice e rispetto alla quale la domanda modificata sia più confacente all'interesse della parte", hanno affermato l'ammissibilità della domanda che sia formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., purché si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (il principio è stato affermato in relazione a un processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, nel quale era stata proposta in via subordinata con la memoria dell'art. 183 c.p.c. la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento). Nel caso in esame la domanda di risoluzione del contratto preliminare è stata proposta, con la suddetta memoria, in via subordinata rispetto alla domanda di accertamento della nullità del contratto, domanda con la quale si pone in rapporto di connessione per "incompatibilità" ed entrambe le domande si riferiscono indubbiamente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, così che - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d'appello si tratta di domanda ammissibile. (…)

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