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Il diritto al ristoro in caso di ritardo del vettore aereo non si esaurisce con i soli c.dd. "pernotto limitato" e "cestino per la colazione"

Lorenzo Forlano

La sentenza della Corte di Cassazione in rassegna prende le mosse da una controversia inerente ad una tematica di estrema attualità - soprattutto a ridosso della pandemia da Covid-19, della guerra e dei disagi da queste scaturiti - esaminando un segmento di un contenzioso insorto tra una compagnia aerea ed una coppia di viaggiatori.

La circostanza della cancellazione ovvero del ritardo di un volo aereo, “casus belli” della lite in approfondimento, è infatti, sovente, al centro di dibattiti e confronti, sia di natura giurisprudenziale che di natura popolare, dominando i c.d. mass media.

Nel caso sottoposto ad esame, le parti giungono davanti ai Giudici della Suprema Corte di Cassazione dopo un ricorso depositato da una compagnia di volo russa contro due viaggiatori, i quali, a loro volta, l’avevano citata in giudizio dinnanzi al Giudice di Pace di Bologna.

Ripercorrendo preliminarmente il fatto, è doveroso sottolineare che i due passeggeri italiani convennero in giudizio per ottenere la condanna al risarcimento dei danni causati dal ritardo di oltre ventiquattro ore di un volo aereo e della sosta nello scalo intermedio, in cui essi rimasero bloccati e collocati in una struttura alberghiera – in cui vigeva l’obbligo di permanenza all’interno delle camere – dalla compagnia aerea. Quest’ultima, inoltre, si era limitata a fornire loro un cestino di alimenti e bevande per la colazione del giorno successivo.

Il GDP di Bologna, con sentenza n. 919/2019, accolse favorevolmente la pretesa degli attori, condannando la convenuta ad un risarcimento pecuniario. La stessa decisione, per giunta, fu suffragata dal Tribunale di Bologna. I Giudici felsinei sostennero, tuttavia, altre motivazioni, rintracciabili nella Convenzione di Varsavia del 1929 che, all’art. 19, sancisce la responsabilità del vettore per il ritardo nel trasporto e, all’art. 22, il risarcimento del danno, rinviandone al contempo i criteri alla legge nazionale del giudice.

La compagnia di volo russa, contrastando le suddette decisioni, depositò, come sopra anticipato, ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, con sentenza n. 10178 del 17 aprile 2023, si è trovata, dunque, ad esprimersi su una vexata quaestio in cui, dal punto di vista giurisprudenziale, appare interessante la commistione tra diritto nazionale ed internazionale.

Le motivazioni sostenute da parte ricorrente erano quattro, accomunate dal richiamo all’art. 360 comma 1, num. 3, c.p.c per la violazione : a) dell’art. 2002 c.c., in relazione agli artt. 1678, 1681 e 1341 c.c., da parte del giudice d’appello sul rigetto circa l’esistenza di una clausola, indicata nelle condizioni generali di contratto, che negava obblighi derivanti dal rispetto di tempistiche orarie; b) dell’art. 1223 c.c., circa i danni patrimoniali di natura indiretta a fattispecie di inadempimento contrattuale a cui, secondo la compagnia, non è possibile correlare le esigenze alimentari della coppia al ritardo aereo; c) degli artt. 1223 e 2059 c.c., a proposito di “liquidazione di danni morali estranei alla fattispecie di inadempimento contrattuale o comunque ad essa non direttamente connessi”; d) degli artt. 1226 c.c. e 113, comma 2, c.p.c., poiché il Tribunale aveva proceduto a liquidazione equitativa del danno senza che ne ricorressero i relativi presupposti.

Tutte le motivazioni presentate nel ricorso, e sopra riassunte, sono state respinte in quanto ritenute inammissibili (a e b) o infondate (c e d).

Ricostruita, quindi, la cornice fattuale in merito alla pronuncia della Suprema Corte, si ritiene opportuno concentrarsi su un’analisi delle conclusioni interpretative compiute dagli Ermellini.

In prim’ordine, si considera di fondamentale importanza l’attenzione data nella sentenza all’impugnazione di parte ricorrente circa le norme che scandiscono la responsabilità contrattuale del vettore aereo per aver erroneamente rigettato l’eccezione volta a negare suddetta responsabilità in virtù di una clausola contrattuale per difetto di prova inerente alla sua esistenza. Tutto ciò, però, viene a monte escluso, non solo per il richiamo a pronunce circa l’esercizio di potere/dovere di autonoma qualificazione giuridica del suo contenuto sostanziale (Cass., Sez. Un., n. 17931 del 24 luglio 2013), ma anche e soprattutto per l’incongruenza palese con ciò che viene sancito dalla Convenzione di Varsavia del 1929. Quest’ultima trova ampio spazio nella questione in commento, poiché la stessa sopracitata clausola esposta nei motivi del ricorso sarebbe ritenuta, in ogni modo, nulla e priva di effetto ai sensi dell’art. 23, comma 1, all’interno del quale viene sancito come non sia in alcun modo possibile un esonero di responsabilità del vettore o di un limite di questa inferiore a ciò che è scandito nella Convenzione. In merito, è d’uopo soffermarsi su come l’art. 19 ed il successivo art. 20 siano di riferimento per la decisione presa dalla Cassazione: il primo poiché afferma una chiara responsabilità del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci; ai sensi del secondo, invece, il vettore per non essere ritenuto responsabile deve provare di aver adottato ogni misura necessaria (o la sua impossibilità) per evitare il danno. Norme, dunque, chiare ed evidenti a supportare le motivazioni della Corte.

Il richiamo alle fonti di natura internazionale in materia di trasporto aereo è vasto e, a parer di chi scrive, trova conferma in altre disposizioni, dello stesso tenore e ancor più recenti che, però, non vengono affrontate in questa sentenza, ma ne rafforzano la decisione. Un esempio lampante è rappresentato dagli artt. 6 e 9 del Regolamento (CE) n. 261 dell’11 febbraio 2004, dettante “regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il Regolamento (CEE) n. 295/91”. L’art. 6 si sofferma su quanto la compagnia possa ragionevolmente prevedere che il volo sarà ritardato; l’art. 9, invece, sancisce che “il passeggero ha diritto a titolo gratuito a pasti e bevande in congrua relazione alla durata dell’attesa”.

Circa la presunzione di responsabilità del vettore, come ampiamente dimostrato dalla giurisprudenza, questa opera naturalmente sul piano dell’imputabilità dell’inadempimento, ex art. 1218 c.c. e non sulla prova oggettiva dello stesso. Appare evidente, inoltre, come il debitore sia gravato dall’onere della prova dell’avvenuto adempimento. Anche nella circostanza in cui si parli di inesatto adempimento e non di inadempimento dell’obbligazione, al creditore basta fornire allegazione, mentre graverà sul debitore l’onere di dimostrare l’esatto adempimento. (si veda, ex plurimus, in materia di danni da inesatto adempimento del contratto di trasporto aereo la sentenza della Cassazione n. 1584 del 23.01.2018).

Proseguendo nelle ragioni della decisione in commento, i Giudici della Suprema Corte ripercorrono il tema dell’accertamento della sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento. Per poter determinare ciò per la controversia in analisi, essi applicano la regolarità causale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve collegare l’evento di danno (nello specifico, le oltre ventiquattro ore di ritardo del vettore e la successiva attesa in aeroporto) alla conseguenza dannosa (ossia l’acquisto di bevande e alimenti). A sostegno delle regole di cui sopra, vi è poi un’applicazione di natura pratica sul collegamento tra una permanenza forzata in un preciso luogo e l’ovvia esigenza di sostentamento alimentare.

Un’ulteriore quaestio iuris trattata riguarda quella inerente alla risarcibilità del danno patrimoniale, che si conferma, ancora una volta, nei soli casi previsti dalla legge, cioè, secondo una consolidata interpretazione dell’art. 2059 c.c., e come precedentemente stabilito anche dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 26972 dell’11.11.2008: 1) quando il fatto illecito sia configurabile astrattamente come reato; 2) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge consente espressamente il ristoro del danno non patrimoniale anche oltre una ipotesi di reato; 3) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale.

Ad abundantiam, si sottolinea come il richiamo alla lesione di diritti costituzionalmente tutelati trovi espressione in pronunce altresì recenti della Suprema Corte, come la n. 4723 del 15.02.2023, in relazione ad un’analoga fattispecie di danni patiti da passeggeri di un volo a causa del ritardo nella consegna del bagaglio. In particolare, è consolidato il riferimento alla violazione dell’art. 16 della Costituzione, “consistente nello stress, nell’ansia e nel disagio scaturiti dalla lesione del diritto di circolazione”.

La pronuncia in commento ha così ribadito l’orientamento giurisprudenziale in materia di responsabilità del vettore e della risarcibilità del danno patrimoniale, in un’ottica allargata in cui è mirata la difesa dei diritti garantiti sia dal diritto nazionale che da quello internazionale, ponendo l’accento su una tematica di frequente controversia nel periodo recente.

Argomento: Delle obbligazioni
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 17 aprile 2023, n. 10178)

stralcio a cura di Fabrizio Cesareo

“1. [...] Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione dell'art. 2002 c.c., in relazione agli artt. 1678, 1681 e 1341 c.c., per avere il giudice d'appello rigettato la reiterata eccezione circa l'esistenza, nelle condizioni generali di contratto, di una clausola che escludeva dagli obblighi contrattuali il rispetto delle "tempistiche indicate negli orari", sul rilievo della mancata produzione dell'integrale contratto di trasporto alla quale non poteva supplire il riferimento alle condizioni pubblicate sul sito della compagnia poiché riflettenti le condizioni attuali e non quelle vigenti al momento dell'acquisto dei titoli di viaggio. […] 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione dell'art. 1223 c.c. "in relazione alla liquidazione di danni patrimoniali indiretti a fattispecie di inadempimento contrattuale". […] 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione degli artt. 1223 e 2059 c.c., "in relazione alla liquidazione di danni morali estranei alla fattispecie di inadempimento contrattuale o comunque ad essa non direttamente connessi". […] 4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c. violazione degli artt. 1226 c.c. e 113, comma 2, c.p.c., per avere il Tribunale proceduto a liquidazione equitativa del danno in mancanza dei relativi presupposti. 5. Il primo motivo è inammissibile. 5.1. Con esso in sostanza la ricorrente deduce la violazione delle norme che regolano la responsabilità contrattuale del vettore aereo per avere erroneamente rigettato l'eccezione diretta a negare tale responsabilità sulla base di dedotta clausola contrattuale per difetto di prova relativa alla sua esistenza. […] 5.3. Il rilievo della difficoltà di documentare le condizioni generali di contratto stipulato via internet appare privo di significato censorio, non potendo tale difficoltà, quand'anche effettivamente apprezzabile, di per sé costituire ragione di deroga della norma sul riparto dell'onere probatorio. 5.4. Deve peraltro osservarsi, ancora a monte di tali considerazioni, la non decisività del vizio denunciato. Ed infatti, quand'anche provata, la clausola in questione sarebbe comunque da considerare nulla e priva di effetto ai [continua ..]

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