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Disconoscimento di paternità e accertamento di altra paternità. E' dirimente il nesso di pregiudizialità

Serena Cosentino

Sebbene con la riforma della filiazione realizzata fra il 2012 e il 2013 si sia affermato il principio secondo cui “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” a prescindere dalla natura coniugale o meno del rapporto tra i genitori (art. 315 c.c.) è stata, tuttavia, mantenuta la distinzione fra filiazione all’interno e al di fuori del matrimonio. Ai sensi degli artt. 231, 232 e 234 c.c. il matrimonio determina l’attribuzione automatica dello stato dei figli dei coniugi in forza di una presunzione di paternità: Il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio”. La risultanza di tale presunzione può essere vinta solo con azioni di stato tipiche rappresentate dall’azione di disconoscimento della paternità, l’azione di contestazione e l’azione di reclamo dello stato di figlio.

In caso di filiazione fuori dal matrimonio non opera alcun meccanismo presuntivo e il figlio acquista il corrispondente titolo attraverso il riconoscimento da parte dei genitori (artt. 250 ss. c.c.) o la dichiarazione giudiziale (269 c.c.).

L’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio è disciplinata negli art. 243 bis e ss; può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo, può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni o del pubblico ministero o dell'altro genitore, quando si tratta di minore di età inferiore; è imprescrittibile riguardo al figlio. Ai sensi dell’art. 247 c.c. il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari (102 c.p.c.) nel giudizio di disconoscimento.

“In tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (artt. 30 Cost., 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del “favor veritatis” sul “favor minoris”, ma impone un bilanciamento fra il diritto all'identità personale legato all’affermazione della verità biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini – e l’interesse alla certezza degli “status” ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell'interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale” (Cassazione civile sez. I, 06/10/2021, n. 27140).

L’azione di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità (art. 269 c.c.) è volta all’accertamento della genitorialità biologica anche in contrasto con quella legittima; anche tale azione è imprescrittibile rispetto al figlio; deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.

Nel nostro ordinamento è impossibile far valere lo stato di figlio prima di aver rimosso il titolo da cui risulta uno status contrastante.

L’art. 269, comma 1, c.c. pone la regola (comune al riconoscimento, ex art. 253 c.c. e all’azione di reclamo dello stato di figlio legittimo, ex art. 239, comma 4, c.c.) in forza della quale la paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate soltanto “nei casi i cui il riconoscimento è ammesso” e l’art. 253 c.c. prescrive che tale atto non è ammesso quando si ponga “in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova. (…) “la condizione di “figlio legittimo” è ostativa all’accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità da parte di colui che assume di essere il padre biologico, atteso che deve, prima, essere rimosso lo stato di “figlio legittimo”, con accertamento efficace erga omnes” (Cass. n. 27560/2021) e che la rimozione dell’impedimento, costituito ad un diverso stato di figlio, decorre solo dal passaggio in giudicato dell’azione di disconoscimento (Cass. n. 15990/2013)”.

Circa il rapporto fra l’azione di disconoscimento di paternità e quella di dichiarazione giudiziale di genitorialità si sono affermati nella giurisprudenza due diversi orientamenti.

In forza del primo sono da ritenersi inammissibili le domande volte ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità se proposte nel medesimo giudizio avente ad oggetto il disconoscimento della paternità.

Il secondo orientamento ritiene ammissibile la contemporanea proposizione delle due domande e l’assunzione di un provvedimento di sospensione pregiudiziale di cui all’art. 295 c.p.c.: “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

Le Sezioni Unite per risolvere detto contrasto fanno espresso riferimento principi espressi dalla Corte Costituzionale e della CEDU.

In particolare la Corte Costituzionale con la sentenza n. 177 del luglio 2022, ha riconosciuto che la scelta di richiedere la previa demolizione in via giudiziale dello status, anziché una sua rimozione automatica per effetto del successivo accertamento di un'identità contrastante, ha una duplice spiegazione: in primo luogo l’esigenza di “evitare un’instabilità e un’incertezza dello status”; in secondo luogo il fine di dovere “assicurare a chi è già titolare dello status di genitore di essere parte, e dunque di avere una congrua tutela sostanziale e processuale, nel giudizio che può incidere sul suo legame familiare”. La Corte Costituzionale ha evidenziato la criticità del sistema vigente: “la necessità di un giudizio articolato in più gradi, che si concluda con una sentenza passata in giudicato demolitiva del precedente status, costituisce, in effetti, un onere gravoso a carico del figlio che intenda far accertare la propria identità biologica, e rischia di risolversi, oltre che in una violazione del principio di ragionevole durata del processo (Cost., art. 111, comma 2) (…) Una seconda criticità risiede (…) nel rischio per il figlio di rimanere privo di status: quello oramai demolito e quello che potrebbe non palesarsi all'esito del successivo giudizio; rischio particolarmente grave quando riguardasse un minore, il cui interesse ai legami familiari merita - com'è noto - particolare tutela”.”.

La sentenza in commento prosegue poi attraverso la definizione del concetto di pregiudizialità di cui all’art. 295 c.p.c., il quale presuppone l’analisi del rapporto di possibile interferenza fra decisioni.

Il nesso di pregiudizialità si manifesta, in primo luogo, nella dipendenza logica di una controversia rispetto all’altra all’interno di un medesimo rapporto giuridico e, in secondo luogo, nella dipendenza tecnica che intercorre fra rapporti giuridici diversi ed è tale per cui l’esistenza dell’uno dipende dall’esistenza o inesistenza dell’altro. “In sostanza, quando si verta in ipotesi di rapporti giuridici distinti ed autonomi, la pregiudizialità tecnico-giuridica consiste in una relazione tra rapporti giuridici sostanziali, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell'altro (dipendente) in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo”.

(…) il concetto di dipendenza fra decisioni può presupporre a sua volta l’esistenza di un rapporto di dipendenza fra le cause e, in tale accezione, il nesso di pregiudizialità è posto in collegamento con la disposizione generale contenuta nell’art. 34 c.p.c., che regola, tra le norme dedicate alle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, l’istituto degli accertamenti incidentali, generalmente considerato come espressione di una ratio omologa a quella dell’art. 295 c.p.c.. Pertanto, al termine pregiudizialità, attesa l’identità delle situazioni disciplinate dagli artt. 34 e 295 c.p.c. (diverse, quanto agli effetti, ma analoghe quanto ai presupposti), può attribuirsi il comune scopo di eliminare il rischio di giudicati contrastanti”.

La sospensione prevista dall’art. 295 c.p.c. presuppone, quindi, ad avviso della Corte, le seguenti condizioni: che sussista un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra due situazioni sostanziali; che queste ultime siano entrambe dedotte in giudizio; che non si realizzi o in virtù dell’art. 34 c.p.c. o per effetto degli artt. 40 e 274 c.p.c. la simultaneità del processo”.

Avendo le azioni in discussione ad oggetto l’accertamento dello stato delle persone non è possibile una pronuncia incidentale mentre non può escludersi una sospensione obbligatoria ex art. 295 c.p.c.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: “Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità, così che, nel caso della loro contemporanea pendenza, il secondo va necessariamente sospeso ex art. 295 c.p.c., fino alla definizione del primo con sentenza passata in giudicato.

Argomento: Delle persone e della famiglia
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS.UU., 22 marzo 2023, n. 8268)

stralcio a cura di Ciro Maria Ruocco

1 – (…) La questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite attiene all’accertamento dei rapporti tra l’azione di disconoscimento della paternità (azione con cui si contesta lo status di figlio) e quella di dichiarazione giudiziale di genitorialità (azione che tende a conseguire lo status di figlio), con specifico riferimento ai profili processuali, in relazione a decisione resa dal Tribunale di Roma nel 2018, passata in giudicato, di inammissibilità della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, non essendo stata ancora definita la causa, pendente, di demolizione del pregresso status. 2.8 – (…) Venendo quindi alla questione centrale relativa al nesso di pregiudizialità tecnico giuridica tra i due procedimenti e alla possibilità di sospensione ex art. 295 c.p.c., la richiesta della Procura Generale prospetta i seguenti aspetti problematici: se il giudizio di disconoscimento possa ritenersi pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità e se, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applichi l’istituto della sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.c. In ordine al concetto di pregiudizialità (in ambito civilistico), cui fa riferimento quello di dipendenza enunciato dall’art. 295 c.p.c. e che presuppone l’analisi del rapporto di possibile interferenza fra decisioni, la pregiudizialità si risolve, pertanto, in una relazione che lega due questioni e si qualifica come rapporto di antecedenza logica. Il nesso sostanziale di pregiudizialità si manifesta, in primo luogo, nella dipendenza logica di una controversia rispetto all’altra, all’interno di uno stesso rapporto giuridico (…) e, in secondo luogo, nella dipendenza tecnica, che intercorre tra rapporti giuridici diversi ed è tale per cui l’esistenza di uno dipende dall’esistenza o inesistenza dell’altro. (…) In sostanza, quando si verta in ipotesi di rapporti giuridici distinti ed autonomi, la pregiudizialità tecnico-giuridica consiste in una relazione tra rapporti giuridici sostanziali, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente) in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo. 2.9 – (…) In conclusione, proprio in [continua ..]

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