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Ai fini della estinzione degli usi civici occorre formale provvedimento di sdemanializzazione, in assenza del quale il decreto espropriativo è invalido
Aurora Ricci
La vicenda da cui ha avuto origine la controversia sottoposta all’esame delle Sezioni Unite concerne alcuni terreni siti nel Comune di Alfedena (L’Aquila), gravati da uso civico a partire dal 1954.
Con sentenza n. 15/2015 il Commissario per gli usi civici, sul presupposto dell’illegittimità dell’espropriazione stante il mancato rispetto delle procedure di cui all’art. 12 l. 16 giugno 1927, n. 1766 e del regolamento approvato con R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, accoglie la domanda del Comune di dichiarazione della natura demaniale civica di quei terreni, ordinando la reintegra nel possesso dell’avente diritto, e dichiarando la nullità degli atti pubblici e privati disposti su quei terreni.
La Corte d’appello di Roma conferma la sentenza del giudice di primo grado, statuendo che i beni di uso civico appartenenti al demanio universale o comunale non sono suscettibili di espropriazione per pubblica utilità senza l’osservanza delle procedure di cui agli artt. 12 e ss. della legge n. 1766/1927, se non previa sdemanializzazione.
In seguito al ricorso per Cassazione ex art. 360 c.p.c. proposto da Enel s.p.a., la Seconda Sezione della Suprema Corte ha emesso l’ordinanza interlocutoria n. 34460/2022 con la quale ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di massima di particolare importanza:
“è ammissibile l’espropriazione per pubblica utilità dei beni gravati da usi civici di dominio della collettività, prescindendo da una loro preventiva espressa sdemanializzazione? O si può ritenere sussistente una incommerciabilità (rectius: una indisponibilità) relativa di tali beni, che viene a cessare allorquando sopravvenga e si faccia valere un diverso interesse statale (o pubblico che sia), del tipo di quelli che si accertano e realizzano con il procedimento espropriativo per pubblica utilità ovvero con altri atti formali?”.
Le Sezioni Unite, con sentenza del 10 maggio 2023 n. 12570, hanno affermato il seguente principio di diritto:
“I diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla (ovvero considerati implicitamente estinti) per effetto di un decreto di espropriazione per pubblica utilità, poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce, essendo, perciò, necessario, per l’attuazione di una siffatta forma di espropriazione, un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il citato decreto espropriativo che implichi l’estinzione di eventuali usi civici di questo tipo ed il correlato trasferimento dei relativi diritti sull’indennità di espropriazione”.
Gli “usi civici” sono definiti come diritti di godimento spettanti ad una collettività su beni appartenenti al demanio o a un Comune o a un privato al fine di soddisfare i bisogni essenziali della comunità, storicamente individuati nell’esercizio del pascolo, del legnatico e dello stramatico.
Nell’impianto codicistico gli usi civici vengono in rilievo nell’ambito dell’art. 825 cod. civ., che prevede la figura giuridica dei diritti demaniali su beni altrui.
In particolare, gli usi civici, oltre a gravare su diritti e su beni privati (c.d. usi civici in re aliena), possono insistere anche su beni pubblici, cioè su beni che a loro volta appartengono ad enti esponenziali della collettività degli utenti collettivi, normalmente a Comuni, frazioni di Comuni, Università, Associazioni agrarie (c.d. usi civici in re propria).
Si dà atto del contrasto giurisprudenziale sorto in ordine alla vexata quaestio se ai fini dell’espropriazione per pubblica utilità dei terreni di uso civico in re propria, nel regime antecedente all’entrata in vigore delle modifiche di cui alla l. n. 221/2015, sia necessaria la preventiva formale sdemanializzazione del bene, o se, a tal fine, sia sufficiente il decreto di esproprio.
Tale contrasto è stato messo in evidenza dall’ordinanza interlocutoria n. 34460/2022 con la quale la predetta questione di massima importanza è stata rimessa alle Sezioni Unite.
In particolare, una prima ricostruzione ermeneutica, espressa dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda civile, 26 aprile 2007, n. 9986, si è pronunciata in termini positivi, ammettendo la possibilità di espropriare i beni su cui insistono gli usi civici anche in assenza di previa sdemanializzazione.
Secondo tale indirizzo, i beni gravati dagli usi civici non sono assimilabili a beni demaniali, pertanto, risultano passibili di espropriazione diretta per pubblicità utilità.
L’ancoraggio normativo del predetto orientamento è da rinvenirsi nell’articolo 52 legge n. 2359 del 1865, in base al quale anche i diritti di uso civico possono essere espropriati direttamente.
Peraltro, si rileva l’assenza di una previsione normativa che equipari in via espressa i beni demaniali a quello di uso civico, a prescindere dalla distinzione tra usi civici in re aliena e in re propria.
La bontà della tesi in argomento viene sostenuta anche alla luce della giurisprudenza costituzionale. In particolare, la Consulta, con sentenza 11 luglio 1989 n. 391, affermerebbe che “al regime di inalienabilità dei beni di uso civico (che, più esattamente, dovrebbe definirsi di alienabilità controllata) non inerisce la condizione di beni non suscettibili di espropriazione forzata per pubblica utilità, né può essere citata in contrario la sentenza di questa Corte n. 67 del 1957”.
Con l’ulteriore sentenza n. 156/1995, la Corte Costituzionale sosterrebbe, inoltre, la possibilità che il decreto di esproprio non sia preceduto dalla sdemanializzazione.
Per contro, secondo un contrapposto indirizzo giurisprudenziale, i beni gravati da uso civico non sono espropriabili per pubblica utilità se non previa sdemanializzazione.
Tale orientamento è compiutamente espresso dalle Sezioni Unite, 11 giugno 1973, n. 1671, che partono dalla premessa che gli usi civici vengono classificati dalla legge n. 1766/1927 in due categorie: quelli che si esercitano su beni appartenenti a privati e quelli che si esercitano su beni appartenenti alla collettività degli utenti.
Per gli usi civici della prima categoria, che sono destinati alla liquidazione, è pacifico che, qualora i beni che ne sono oggetto siano espropriati per causa di pubblica utilità prima della liquidazione, i diritti di uso civico si trasferiscono sull’indennità di espropriazione.
In merito agli usi civici della seconda categoria, questi ultimi si configurano come diritti di una collettività su beni propri, aventi una destinazione peculiare e caratterizzati dal regime di indisponibilità e inalienabilità, analogo a quello dei beni demaniali, il quale implica che non sono neppure espropriabili per causa di pubblica utilità se non previa sdemanializzazione.
A sostegno dell’indirizzo in commento viene richiamata anche la sentenza n. 19792/2011 della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione che valorizza il regime di incommerciabilità dei beni gravati da usi civici, scaturente dal vincolo di funzionalizzazione al soddisfacimento di bisogni della collettività di riferimento, con conseguente equiparazione ad un bene demaniale.
Da ciò consegue il divieto di assoggettare il bene a vicende circolatorie, ivi comprese quelle che hanno luogo in esito all’espropriazione forzata.
Tale orientamento fa, inoltre, espresso rinvio alla sentenza della Corte Costituzionale n.71/2020, che ha sostenuto come la cessazione dell’uso civico costituisca un prius logico-giuridico rispetto al decreto d’esproprio.
Tale indirizzo sarebbe avallato anche dall’ulteriore pronuncia n. 375/1999 della Corte di Cassazione, che avrebbe ritenuto nullo il decreto di esproprio in difetto di previa sdemanializzazione, in quanto in contrasto con la natura demaniale degli usi civici.
Il suesposto contrasto giurisprudenziale è stato affrontato e risolto dalle Sezioni Unite con la pronuncia in commento che ha affermato la necessarietà di una previa sdemanializzazione, in difetto della quale il provvedimento di espropriazione è irrimediabilmente invalido.
Il percorso argomentativo delle Sezioni Unite prende le mosse dalla previsione normativa secondo la quale, in caso di espropriazione di un bene gravato da uso civico, quest’ultimo si estingue ed i relativi diritti si trasferiscono sull'indennità di esproprio.
In proposito, la Suprema Corte precisa che tale previsione è riferibile agli usi civici in re aliena, mentre non è estendibile a quelli in re propria. Per questi ultimi la sdemanializzazione non può essere implicita nel decreto di esproprio, ma deve essere formalmente adottata ex ante.
Invero, l’uso civico che si esercita su beni appartenenti alla collettività è assimilabile al bene demaniale e soggiace al medesimo regime dei beni demaniali, fino alla formale sdemanializzazione.
Inoltre, l'atto di sdemanializzazione non può ritenersi implicito o ricompreso nel provvedimento di esproprio, ma deve trattarsi di un provvedimento espresso e formale, in quanto è nel procedimento finalizzato alla sdemanializzazione che si procede alla comparazione dei contrapposti interessi oggetto di tutela, al fine di stabilire la preferenza degli uni rispetto agli altri.
Conseguentemente, in difetto di una previa sdemanializzazione, è preclusa l'espropriazione per pubblica utilità di un bene gravato da uso civico.
In particolare, le Sezioni Unite sostengono che, “poiché i beni gravati da uso civico di dominio collettivo sono assimilabili a quelli demaniali, l'approdo ermeneutico, in relazione al loro regime giuridico sul punto, non può che essere lo stesso, nel senso che l'esperimento della procedura espropriativa per pubblica utilità, affinché possa essere ritenuta legittima, deve essere preceduta dalla sdemanializzazione”.
La sdemanializzazione degli usi civici collettivi non può avvenire in maniera implicita, ovvero tramite l'esecuzione di una procedura di espropriazione di pubblica utilità, ma, tenendo conto del fatto che questi usi civici sono preordinati alla tutela di interessi di rilievo costituzionale, nessuno spazio è consentito per valutazioni inespresse.
La sdemanializzazione deve, quindi, realizzarsi tramite una formale procedura che consenta una compiuta comparazione degli interessi in gioco.
Da ciò discende la necessità che sussista un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il decreto espropriativo, che non può determinare l’estinzione dell'uso civico e il trasferimento dei relativi diritti sull'indennità di espropriazione.
Inoltre, le Sezioni Unite precisano che la norma che prevede l'estinzione dell'uso civico in conseguenza dell'espropriazione per pubblica utilità e il trasferimento del relativo diritto sull’indennità espropriativa, fa riferimento agli usi civici in re aliena, quindi, ha riguardo ad un bene privato e non ad un bene demaniale. Pertanto, è possibile espropriare tale bene senza procedere ad alcuna sdemanializzazione.
Invero, in siffatta ipotesi il decreto di esproprio per pubblica utilità estingue la proprietà privata, estingue l'uso civico, nonché i diritti spettanti alla collettività.
Quanto sopra esposto non vale, invece, per l'uso civico in re propria, avente un regime equiparabile al bene demaniale e quindi è inalienabile, inusucapibile, non trasferibile, né espropriabile, non suscettibile di espropriazione per pubblica utilità, se non previa sdemanializzazione che, considerando la rilevanza costituzionale degli interessi in gioco, non può ritenersi implicita nello stesso provvedimento di esproprio e nella dichiarazione di pubblica utilità, che ne precede l'adozione, ma deve avvenire formalmente attraverso l’adozione di questo atto di formale sdemanializzazione.
A sostegno del proprio percorso argomentativo, le Sezioni Unite valorizzano, tra i tanti precedenti, la decisione del 1973 n. 1671.
Invero, il principio di diritto di siffatta pronuncia è espressivo dell’affinità tra beni demaniali e demanio collettivo, confermando che il regime di indisponibilità e inalienabilità cui quest’ultimo è assoggettato lo rende espropriabile solo previo atto di cessazione della qualità demaniale.
Tale premessa argomentativa consente la risoluzione della questione giurisdizionale, poiché la necessaria presenza di un atto di sdemanializzazione esclude che il terreno sia stato oggetto di ablazione in sua assenza, radicando la giurisdizione del Commissario liquidatore sui terreni ancora gravati da usi civici.
Infine, per effetto della legge n. 168/2017, la tutela del regime dei diritti di uso civico collettivo si pone in stretta correlazione con la difesa paesistico-ambientale, configurandosi i demani collettivi quali strumenti attuativi dei valori costituzionali espressi dagli artt. 2, 9, 42 comma 2, 43 Cost.
In precedenza, la legge n. 221/2015, rubricata “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo delle risorse naturali”, ha modificato l’articolo 4 Testo unico espropriazioni, prevedendo che “i beni gravati da usi civici non possono essere espropriati o asserviti coattivamente se non viene pronunciato il mutamento di destinazione d’uso, fatte salve le ipotesi in cui l’opera pubblica o di pubblica utilità sia compatibile con l’esercizio dell’uso civico”.
Sezione: Sezioni Unite
(Cass. Civ., SS.UU., 10 maggio 2023, n. 12570)
stralcio a cura di Giorgio Potenza
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