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La condotta susseguente al reato rilevante nel giudizio di tenuità dell´offesa ex art. 131 bis c.p. può consistere anche in comportamenti tenuti da terzi estranei al reato se sono stati agevolati dalla condotta del colpevole
Mariangela Guarino
La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione III penale, n. 1 del 2 gennaio 2024, si inserisce nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale concernente l’interpretazione e l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, arricchendone la portata attraverso un’innovativa lettura del concetto di “condotta susseguente al reato”. Nel caso di specie, l’imputata era stata riconosciuta colpevole del reato di abbandono di animali per aver lasciato un cucciolo di cane meticcio su una pubblica via. Successivamente, l’animale era stato ritrovato e adottato da un terzo. Il Tribunale, pur accertando la responsabilità penale, aveva escluso l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., ritenendo che l’intervenuta adozione, in quanto successiva alla consumazione del reato e non riconducibile alla volontà dell’imputata, non potesse incidere sulla valutazione della particolare tenuità del fatto. La Corte di Cassazione tuttavia ha annullato la sentenza, evidenziando che l’art. 131-bis, così come modificato dal d.lgs. n. 150/2022, impone di considerare anche la condotta susseguente al reato tra gli elementi valutabili ai fini dell’offensività. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che tali condotte post factum, sebbene non autonomamente decisive, devono essere integrate in una valutazione complessiva dell’offesa arrecata. Il Tribunale ha omesso tale analisi, non accertando se il ritrovamento e l’adozione del cane potessero essere stati agevolati dalle modalità dell’abbandono, con conseguente attenuazione del disvalore oggettivo del fatto. Per tale ragione, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento con rinvio, affinché il giudice di merito proceda a una nuova valutazione che tenga conto anche degli elementi successivi alla commissione del reato, in linea con l’impianto normativo e interpretativo vigente. Nello specifico, la pronuncia in esame ha stabilito che, ai fini della valutazione della particolare tenuità dell’offesa, possono rilevare anche comportamenti posti in essere da soggetti terzi, estranei alla commissione del reato, qualora detti comportamenti siano stati agevolati, promossi o resi possibili dall’imputato stesso. Si tratta di un principio di portata rilevante, che consente di valorizzare, nel bilanciamento previsto dall’art. 131-bis, anche quelle iniziative che, seppur non materialmente riferibili all’agente, risultino espressione di una sua effettiva volontà riparativa.L’interpretazione accolta dalla Suprema Corte si muove in coerenza con il rinnovato impianto dell’istituto, così come riformato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), il quale ha significativamente ampliato i presupposti oggettivi e soggettivi per l’operatività della causa di non punibilità in questione. La modifica normativa ha previsto, tra l’altro, l’inserimento testuale della “condotta susseguente al reato” quale elemento valutativo che il giudice deve considerare nel giudizio di tenuità, richiamando espressamente i criteri dettati dall’art. 133 c.p. Si tratta di un’esplicita apertura del legislatore alla considerazione del comportamento tenuto dall’imputato dopo la commissione del reato, con l’intento di incentivare atteggiamenti attivi di responsabilizzazione, cooperazione con la giustizia e riparazione delle conseguenze dannose o pericolose del fatto. In tale contesto, la sentenza in commento si distingue per avere superato una visione restrittiva del concetto di “condotta susseguente”, affermando che non è necessario che essa sia compiuta direttamente dall’agente, purché emerga un nesso sostanziale tra l’iniziativa riparativa e la sua volontà. In tal senso, la Corte ha chiarito che possono essere considerate rilevanti, ad esempio, le attività di ripristino materiale o risarcimento poste in essere da terzi, quando esse siano state rese possibili o stimolate dall’intervento dell’imputato, anche mediante incarichi, finanziamenti o altre forme di cooperazione concreta. È importante sottolineare che tale apertura interpretativa non comporta una automatica applicazione dell’art. 131-bis in presenza di una qualsiasi condotta successiva, neppure se agevolata dal reo. La valutazione deve comunque inserirsi all’interno di un giudizio complessivo che tenga conto delle modalità della condotta, della gravità dell’offesa, del grado di colpevolezza e di ogni altro elemento previsto dall’art. 133 c.p. In altri termini, la condotta post delictum assume valore ausiliario e integrativo, ma non esclusivo né decisivo di per sé. Essa può rafforzare un orientamento favorevole alla declaratoria di non punibilità, ma non può da sola giustificare tale conclusione in presenza di fatti oggettivamente gravi o connotati da particolare allarme sociale. Il principio affermato dalla Corte si colloca dunque in una prospettiva di razionalizzazione e umanizzazione dell’intervento penale, valorizzando il comportamento del reo in un’ottica dinamica e responsabilizzante, in linea con i principi costituzionali di proporzionalità, finalità rieducativa della pena e funzione deflattiva del sistema processuale. Esso consente di premiare condotte attive e spontanee, anche se non eseguite direttamente dall’agente, ma da lui promosse, coordinate o rese possibili, riconoscendone il valore nella complessiva valutazione del fatto. Sul piano sistematico, tale orientamento contribuisce a rafforzare l’interpretazione secondo cui l’art. 131-bis rappresenta uno strumento di razionalizzazione della risposta sanzionatoria, volto a evitare l’irrogazione della pena in tutti quei casi in cui, pur in presenza di un reato astrattamente sussistente, l’offesa risulti minima e l’intervento penale sproporzionato. La riforma Cartabia, con l’introduzione della condotta successiva come criterio valutativo, ha voluto superare un approccio rigidamente retributivo, favorendo invece una lettura del diritto penale orientata alla prevenzione, alla riparazione del danno e alla risocializzazione del reo. In quest’ottica, la sentenza in esame assume un rilievo particolare, in quanto consente di estendere l’orizzonte valutativo del giudice anche a condotte terze, purché effettivamente riconducibili alla volontà dell’imputato. Tale impostazione, tuttavia, non è priva di rischi: si pensi, ad esempio, alla possibilità che il ricorso a soggetti terzi venga utilizzato in modo strumentale per simulare comportamenti riparativi o per ottenere indebitamente l’applicazione dell’istituto. Per evitare simili derive, la Corte ribadisce l’esigenza che la condotta successiva, per poter assumere rilievo, sia effettiva, significativa e non imposta da obblighi di legge o da dinamiche processuali meramente opportunistiche. Spetterà dunque al giudice del merito il compito di verificare, con attenzione e rigore, la genuinità e la rilevanza concreta delle condotte in questione, nonché la loro effettiva riconducibilità all’imputato. Sotto il profilo operativo, la decisione della Corte impone un ripensamento anche delle strategie difensive. L’avvocato, infatti, potrà valorizzare, nella prospettiva della non punibilità, non solo le condotte direttamente compiute dal proprio assistito, ma anche quelle promosse attraverso terzi, a condizione che sia possibile dimostrarne il nesso causale con la volontà dell’imputato. Sarà pertanto fondamentale raccogliere e produrre in giudizio ogni elemento utile a documentare la spontaneità, la tempestività e la significatività delle iniziative riparative, anche se mediate. In conclusione, la sentenza della Corte di Cassazione n. 1/2024 si segnala per la sua capacità di offrire una lettura evolutiva dell’art. 131-bis c.p., compatibile con le esigenze di efficienza, umanizzazione e deflazione del sistema penale. L’apertura alla rilevanza di condotte post delictum compiute da terzi, ma agevolate dal reo, costituisce un tassello importante nel processo di adattamento del diritto penale a una visione più moderna e funzionale, attenta non solo alla repressione, ma anche alla responsabilizzazione e alla reintegrazione sociale del soggetto agente.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. III, 2 gennaio 2024, n. 1)
Stralcio a cura di Fabio Coppola
Keywords: tenuità del fatto - art. 131 bis c.p. - condotta susseguente al reato