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Non vi sono ragioni costituzionali in base alle quali la pena naturale da “omicidio colposo” del “prossimo congiunto” debba integrare una causa di non procedibilità
Giulia Nespolo
La questione prospettata dalla sentenza della Corte costituzionale del 25 marzo 2024, n. 48, richiede l’analisi del reato di omicidio colposo previsto dall’art. 589 c. p., anche in relazione alla sentenza di non doversi procedere di cui all’art. 529 c. p. p. Nello specifico, il Tribunale di Firenze sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 529 c. p. p. nella parte in cui per procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità di emettere una sentenza di non doversi procedere, allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso. Invero, il Tribunale di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 529 c. p. p., nella parte in cui non prevede un’ipotesi di non procedibilità riguardo all’omicidio colposo del prossimo congiunto. Secondo il rimettente, la denunciata lacuna normativa violerebbe gli artt. 3, 13 e 27, comma 3, Cost., sotto i profili della necessità, proporzionalità e umanità della pena, in quanto costringerebbe il giudice ad infliggere una sanzione che, atteso il dolore già patito dal reo per la perdita del familiare, risulterebbe in concreto inutile, eccessiva e crudele. Ai fini di una corretta analisi della sentenza in commento, appare opportuno procedere ad una breve disamina sulla vicenda in esame. In particolare, il Tribunale di Firenze è stato chiamato a giudicare dell’imputazione di omicidio colposo con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ascritto ad uno zio per la morte del nipote suo dipendente. Il Tribunale aveva denunciato la violazione dei principi costituzionali di necessità, proporzionalità e umanità della pena, non prevedendo la norma censurata art. 529 c. p. p. che il giudice possa emettere sentenza di non doversi procedere laddove l’autore del reato abbia patito, per la morte del familiare da egli stesso causata, una sofferenza, una pena naturale, tale da rendere inutile ogni ulteriore sanzione. Orbene, chiariti i termini della vicenda, ai fini di un corretto inquadramento giuridico del caso di specie sul quale si fonda la sentenza in esame, appare opportuno eseguire un’attenta disamina in ordine alle possibili fattispecie criminose integrate dall’imputato con la propria condotta. In particolare, occorre analizzare il reato di omicidio colposo ex art. 589 c. p., anche con riguardo alla sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c. p. p. Il reato di omicidio colposo si sostanzia nella condotta di colui che cagiona per colpa la morte di una persona. A tale proposito, il bene giuridico tutelato dal reato consiste nell’interesse a prestare tutela al diritto alla vita della persona, ovverosia bene giuridico ritenuto meritevole di tutela anche a livello costituzionale ex art. 2 Cost., nonché riconosciuto da numerose carte internazionali. Per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato, è rappresentato dalla condotta di chi cagiona per colpa la morte di una persona. Il delitto di omicidio colposo può realizzarsi anche mediante la violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In tale ipotesi, il datore di lavoro o altri soggetti cui sono assegnati gli obblighi prevenzionistici rivestono una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore, avendo l’onere di adottare tutti gli strumenti idonei a garantire la sicurezza dei dipendenti. La condotta tipica consiste nel comportamento del soggetto che contravvenga alle doverose cautele. Per quanto attiene all’elemento soggettivo del reato, è richiesta la colpa, ossia trattasi di delitto contro l’intenzione ogni volta che l’evento non sia voluto, bensì si è verificato a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c. p. Occorre valutare se sia integrato il reato di omicidio colposo, qualora il reo, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagioni la morte di un prossimo congiunto suo dipendente. Dunque, si deve verificare, se in ragione di tale situazione, vista la sofferenza del reo per la morte del familiare, quale pena naturale, tale pena naturale possa essere considerata come causa di non procedibilità sulla base della quale il giudice possa emettere una sentenza di non doversi procedere. Sul punto, si è ritenuto che l’istituto della pena naturale, pur noto in alcuni ordinamenti europei, non appartiene alla tradizione normativa italiana. Pertanto, la Corte ha escluso la sussistenza di un vincolo costituzionale che ne esiga l’introduzione in conformità alla richiesta del Tribunale di Firenze. La nozione di “pena naturale”, sintagma che rimanda al potere giudiziale- configurato in alcuni ordinamenti europei- di non irrogare la pena, o di irrogarla in misura attenuata, quando l’autore del reato abbia patito un danno significativo in conseguenza del reato stesso. (par. 60 del Codice penale tedesco, par. 34 del Codice penale austriaco, art. 29 del Codice penale svedese). Posto che l’istituto della pena naturale non è mai stato recepito nell’ordinamento italiano, la Consulta ha escluso la sussistenza di un vincolo costituzionale che ne esiga l’introduzione in conformità alla richiesta del Tribunale rimettente. Invero, ad avviso della Corte, il petitum formulato nell’ordinanza di rimessione si rivela eccessivamente ampio sotto tre distinti aspetti, ognuno dei quali sufficiente ad inficiarne la fondatezza. In primo luogo, il giudice a quo fa riferimento, in generale, a “procedimenti relativi a reati colposi”, senza alcuna distinzione tra le possibili varie declinazioni della nozione di “colpa”, che possono viceversa corrispondere a ipotesi molto diverse tra loro sotto il profilo criminologico e della protezione del bene. Inoltre, il rimettente chiede di introdurre la causa di non procedibilità con riguardo a ogni condotta colposa che abbia cagionato la morte di un “prossimo congiunto” dell’agente, su presupposto che la perdita di un familiare infligga all’agente medesimo una sofferenza intima, tale che l’ulteriore pena irrogata nel processo risulterebbe inutile. Tuttavia, come osserva la Corte, la nozione penalistica di “prossimo congiunto” fornita dall’art. 307, comma 4, c. p. è molto ampia e si estende ben oltre la famiglia nucleare. Infine, l’eccessiva latitudine del petitum additivo si manifesta, a parere della Consulta, nell’oggetto stesso dell’addizione. Con la censura dell’art. 529 c. p. p., il Tribunale di Firenze chiede che sia attribuita al giudice la facoltà di emettere sentenza di non doversi procedere: viene, quindi, indicata una sentenza in rito, con la formula terminativa di maggior favore per l’autore del reato. Tuttavia, il Giudice della legge ha concluso che non vi siano ragioni costituzionali in base alle quali la pena naturale da omicidio colposo del prossimo congiunto debba integrare una causa di non procedibilità, anziché, in thesi, un’esimente di carattere sostanziale, ovvero ancora una circostanza attenuante soggettiva. Dunque, la Corte costituzionale, con la sentenza in commento, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 529 c. p. p., sollevate in riferimento agli artt. 3, 13 e 27, comma 3, Cost. nella parte in cui tale disposizione, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso.
Sezione: Corte Costituzionale
(Corte Cost., 25 marzo 2024, n. 48)
Stralcio a cura di Fabio Coppola