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L´ampiezza letterale del verbo “diffondere” ammette la configurabilità del reato di epidemia colposa nella forma omissiva: la questione è rimessa al vaglio delle Sezioni Unite

Giuseppe Tuccillo

  1. Questione preliminare

Il caso trae origine dal processo celebrato davanti al Tribunale di Sassari, conclusosi nel marzo 2024 con l’assoluzione di un dirigente ospedaliero, imputato di aver favorito – omettendo l’adozione di misure di prevenzione e protezione contro il SARS-CoV-2 – la diffusione del contagio all’interno della struttura sanitaria. Il collegio giudicante ha escluso la configurabilità del reato di epidemia colposa, ritenendo che la fattispecie prevista dall’art. 438 c.p. presupponga un’attività positiva di propagazione dei germi patogeni e non possa, pertanto, essere integrata mediante condotte omissive.

Contro questa decisione, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che, attraverso la clausola generale dell’art. 40, comma 2, c.p., fosse sanzionabile anche l’omissione di chi non abbia impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di evitare.

Nel gravame si contesta, da un lato, l’idea che l’epidemia costituisca un reato a forma vincolata, dall’altro, la negazione della possibilità di configurare la fattispecie anche in via omissiva.

La mancata adozione di cautele – secondo la prospettazione accusatoria – equivale infatti a non frapporre l’ostacolo dovuto alla diffusione dell’agente patogeno.

 

  1. Le considerazioni, in diritto, della Corte di Cassazione

La questione centrale che emerge dal ricorso concerne la possibilità di configurare il delitto di epidemia colposa nella forma omissiva. Nel caso di specie, l’imputazione si fonda infatti sull’inerzia del garante, il quale non avrebbe predisposto gli strumenti idonei a contenere il rischio di contagio.

Il dubbio interpretativo investe la struttura tipica degli artt. 438 e 452 c.p.: occorre chiarire se l’evento epidemico possa essere ricondotto anche a condotte di mera omissione o se, al contrario, la fattispecie incriminatrice presupponga esclusivamente un agire positivo, collocandosi pertanto tra i reati a forma vincolata.

La giurisprudenza di legittimità ha espresso posizioni non univoche.

Alcune pronunce hanno escluso l’applicabilità dell’art. 40, comma 2, c.p., sottolineando che la norma incriminatrice descrive un percorso causale tipico, incompatibile con la responsabilità per omissione.[1]

Altri arresti, sebbene in via incidentale hanno invece rimarcato l’ampiezza del lessico normativo, osservando che l’art. 438 c.p. non delimita le modalità della “diffusione”, la quale può quindi realizzarsi anche attraverso l’inerzia di chi non adempia ai propri doveri di impedimento.[2]

Una parte della dottrina valorizza la finalità di tutela della salute collettiva per sostenere un’interpretazione estensiva, idonea a ricomprendere le condotte omissive.

L’uso del verbo “diffondere”, d’altronde, ben può riferirsi tanto a chi propaga attivamente i germi quanto a chi si limita a lasciarne propagare l’azione.

In ragione di tali contrasti, il Collegio ha ritenuto necessario l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., affinché venga chiarito se il delitto di epidemia possa essere integrato anche in forma omissiva.[3]

 

  1. La massima ricavabile da questa sentenza

Tutto quanto sopra analizzato, attraverso le considerazioni in diritto espresse dal Supremo Consesso, viene statuito il principio di diritto secondo il quale il reato di epidemia colposa (artt. 438 e 452 c.p.) pone il problema della sua configurabilità anche attraverso condotte omissive. La giurisprudenza registra orientamenti contrastanti: secondo alcuni, la fattispecie descrive una condotta commissiva a forma vincolata; secondo altri, la clausola generale dell’art. 40, comma 2, c.p. consente di includervi anche l’inerzia del garante che non impedisca la diffusione del contagio. La questione è rimessa alle Sezioni Unite.

 

 

[1] Cassazione penale sez. IV, n. 9133/2017; Cassazione penale, sez. IV, n. 20416/2021.

[2] Cassazione penale, sez. I, n. 48014/2019.

[3] Per una sentenza similare, si veda Cassazione penale sez. IV, 12/12/2017, n. 9133.

Argomento: Dei delitti contro l'incolumitą pubblica
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. IV, 21 novembre 2024, n. 42614)

Stralcio a cura di Vincenzo Nigro

 

“(…) Ritiene il Collegio di rimettere al vaglio delle Sezioni Unite la questione oggetto del motivo di ricorso. Dalla lettura del capo di imputazione (…) si evince che l'addebito mosso all'odierno imputato si atteggia come illecito omissivo, di talché nella specie assume rilievo la questione giuridica della configurabilità del reato di epidemia colposa nella forma omissiva. Il tema oggetto del dubbio ermeneutico è quindi se la condotta tipica descritta dagli artt. 438 e 452 cod. pen. ammetta la forma omissiva, tema che involge anche alcune categorie generali dell'illecito penale. Esaminando la giurisprudenza di questa Corte, si registrano due sole pronunce che hanno negato la configurabilità del reato de quo nella forma omissiva. Con Sez. 4, n. 9133 del 12.12.2017, dep. 2018, Rv. 272261, in un caso in cui l'addebito contestato all'imputato, nella sua qualità di dirigente della società deputata alla gestione dell'acquedotto civico di un comune, era quello di avere cagionato, per colpa, la distribuzione per il consumo di acque per uso potabile pericolose per la salute pubblica, così determinando l'insorgere di una epidemia nella popolazione locale, la Corte ha svolto un'ampia analisi delle questioni interpretative sollevate in ordine alla natura e agli elementi strutturali dell'art. 438 cod. pen. e del correlato art. 452, comma 2, cod. pen.. Ha in primis definito il concetto di epidemia rilevante dal punto di vista penale ed il suo più ristretto ambito rispetto all'accezione accreditata dalla scienza medica ed ha altresì dato conto che la dottrina maggioritaria nonché la giurisprudenza di merito e anche di legittimità (…), hanno sottolineato che il fatto tipico previsto nell'art. 438 cod. pen. è modellato secondo lo schema dell'illecito causalmente orientato in quanto il legislatore ha previsto anche il percorso causale, con la conseguenza che il medesimo evento realizzato a seguito di un diverso percorso difetta di tipicità. Ha quindi posto in rilievo che «la norma evoca, all'evidenza, una condotta commissiva a forma vincolata di per sé incompatibile con il disposto dell'art. 40, comma 2, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera, ovvero a quelle la cui realizzazione prescinde dalla necessità che la condotta presenti determinati requisiti modali». Concludendo quindi che non risulta [continua ..]

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