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La cessazione del corso della prescrizione del reato prevista dall´art. 161-bis c.p. - introdotto dalla L. 134/2021 - trova applicazione solo per i reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020, dovendosi applicare, ai fatti antecedenti, la disciplina previgente più favorevole.

Angela Allegria

La sentenza in commento prende le mosse dai ricorsi, composti in un unico atto, avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Brescia, chiamato a decidere quale Giudice d’Appello, ai danni di due soggetti quali concorrenti nel delitto di minacce.

Il ricorso consta di tre motivi.

Il primo motivo deduce nullità della sentenza per violazione di legge in relazione all’art. 161 bis, c.p., in quanto, a detta dei ricorrenti, il Tribunale non avrebbe dichiarato l’estinzione del reato, seppur decorso il termine di prescrizione.

Con il secondo motivo si lamenta la nullità della sentenza per inosservanza delle norme processuali in relazione all’art. 4 D. Lgs. n. 274/2000 poiché il Giudice di Pace avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza a fronte della contestazione del reato di minaccia aggravata, ex art. 612, comma 2, c.p.

Infine, con il terzo motivo, i ricorrenti chiedevano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 10 del D. Lgs. n. 28/2010 in quanto l’episodio minaccioso si sarebbe verificato durante un incontro di mediazione e, a detta degli stessi, per tale fatto, le dichiarazioni non potevano formare oggetto di testimonianza.

La Cassazione annulla la sentenza agli effetti penali per intervenuta estinzione dei reati per prescrizione, salve le statuizioni civili, accogliendo il primo motivo di ricorso.

Sul secondo motivo precisa che il capo di imputazione non conteneva un esplicito riferimento alla gravità della minaccia e che tale aggravante era stata oggetto di correzione di errore materiale in primo grado su richiesta del Pubblico Ministero in sede di replica alla discussione della difesa.

Sebbene la questione dell’incompetenza per materia sia rilevabile in ogni stato e grado del giudizio – quindi anche in sede di giudizio di legittimità – tuttavia, la Suprema Corte richiede persistere un interesse attuale e concreto in capo agli imputati ad ottenere la declaratoria di incompetenza, requisito che, nel caso di specie, non sussiste, non essendo stato frustrato alcun interesse specifico dalla competenza attribuita al giudice di pace come, ad esempio, sospensione condizionale della pena, accesso a riti alternativi o altro.

L’unico interesse manifestato dai ricorrenti sarebbe quello di non vedere annotata nel certificato penale una condanna per minaccia aggravata piuttosto che per minaccia semplice, ma tale annotazione non interverrà proprio perché l’aggravante è stata esclusa. In ogni caso, qualora dovessero sorgere problemi di annotazione errata, gli imputati potrebbero comunque rivolgersi al giudice dell’esecuzione per la correzione ex art. 40 D.P.R. n. 313/2002.

Per la Cassazione, infatti, il secondo motivo risulta carente di interesse in quanto la qualificazione giuridica dell’imputazione non ha avuto alcuna ricaduta sulla posizione o sulla pena inflitta agli imputati.

Il cuore centrale della pronuncia in commento è costituito al terzo motivo di ricorso che viene rigettato. Sul punto la Suprema Corte, infatti, dichiara che la dedotta inutilizzabilità asserita dai convenuti risulta infondata.

Partendo dall’assunto dell’art. 10, D. Lgs. n. 28/2010, secondo il quale le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni e che sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio, la Cassazione statuisce che è di tutta evidenza che l’inutilizzabilità dell’art. 10, comma 1, riguardi esclusivamente il giudizio conseguente la mediazione, dunque quello afferente alla controversia civile e commerciale, non anche il giudizio penale.

Specifica appena oltre che il secondo comma della citata norma regola gli obblighi di riservatezza quanto al mediatore, che “non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell’art. 200 c.p.p. e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’art. 103 c.p.p. in quanto applicabili”. Ma tale secondo comma, pure richiamato, non ha rilievo nel caso in esame in quanto, né il ricorso né la sentenza impugnata evidenziano che sia stato escusso il mediatore, comunque non venendo indicata la decisività dell’eventuale escussione e l’effetto della dedotta inutilizzabilità sul compendio probatorio.

Secondo tale ragionamento il vincolo di inutilizzabilità è operante solamente in riferimento al successivo processo civile al fine di evitare sul nascere il rischio di eventuale strumentalizzazione delle dichiarazioni rese in sede di mediazione e non in riferimento al procedimento penale qualora tali dichiarazioni rese in sede di mediazione integrino di per sé condotte di reato.

Continua poco più giù la Suprema Corte facendo riferimento ai procedimenti in camera di consiglio: D’altra parte, in relazione a un consenso connotato dal vincolo del segreto, quale è la camera di consiglio, si è affermato che l’esame testimoniale dei componenti di un collegio giudicante, nel caso in cui l’imputazione attenga ad un fatto intimamente connesso con quanto si è detto e deciso nella camera di consiglio, si estende legittimamente ai giudizi formulati e ai voti espressi in quella sede, posto che l’obbligo di denuncia che grava sul pubblico ufficiale, in tal caso i componenti del collegio, fa venire meno il vincolo del segreto (Sez. 5, n. 37095 del 22/04/2009, G., 246579 - 01).

Ne consegue che alcuna inutilizzabilità può viziare il patrimonio conoscitivo in relazione al quale hanno deciso i giudici del merito.

Alla luce di tale ragionamento può affermarsi il principio secondo il quale l’inutilizzabilità di cui all’art. 10, primo comma, del D. Lgs. n. 28/2010, relativa elle dichiarazioni rese nel corso del procedimento di mediazione riguarda esclusivamente il giudizio conseguente la mediazione, quello afferente alla controversia civile e commerciale, non anche il giudizio penale.

La Cassazione, con questa sentenza, offre un chiarimento sull’ambito di applicazione dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in mediazione: la tutela della riservatezza vale solo nel processo civile e commerciale, non in quello penale.

Nel giudizio penale, infatti, le dichiarazioni rese in sede di mediazione possono essere utilizzate come elementi di prova, soprattutto quando esse integrano la condotta stessa del reato.

Ciò afferma la preminenza dell’accertamento penale rispetto alle esigenze di riservatezza proprie della mediazione, garantendo che comportamenti penalmente rilevanti non restino privi di conseguenze.

D’altronde già la giurisprudenza di merito aveva stabilito che il principio di riservatezza riguarda le sole dichiarazioni delle parti riferite al contenuto sostanziale dell'incontro di mediazione e, cioè, al merito della lite e non, invece, la fase preliminare finalizzata alla identificazione delle parti, dei loro delegati e difensori. Nel processo è, pertanto, consentito a tale fine non solo l’utilizzo del verbale, ma anche la prova orale e la stessa testimonianza del mediatore volta ad accertare la partecipazione delle parti al procedimento, tutte le volte in cui il verbale di mediazione risulti lacunoso o il mediatore non abbia correttamente e dettagliatamente trascritto tutte le circostanze inerenti la partecipazione dei soggetti (Trib. Udine, sentenza 7.3.2018).

Nello stesso senso l’ordinanza del Tribunale di Roma del 25.1.2016 nella quale la riservatezza è limitata al merito della lite e non agli atti di svolgimento del procedimento ed al rifiuto, espresso al primo incontro, di proseguire nella mediazione. Tale rifiuto, anzi, deve essere verbalizzato, affinché il giudice possa trarne le valutazioni di competenza: ai sensi dell’art. 8, co. 4 bis, D. Lgs. n. 28/2010, infatti, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, cui deve essere equiparato l’ingiustificato rifiuto a proseguire la mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova.

Argomento: Dell'estinzione del reato
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. V, 9 dicembre 2024, n. 45002)

Stralcio a cura di Roberto Zambrano

“(...) Il Giudice monocratico del Tribunale di (...), quale giudice di appello, in data 23 ottobre 2023 confermava la sentenza del Giudice di pace (...) che il 15 settembre 2022 aveva ritenuto la penale responsabilità di A.A. e B.B., quali concorrenti nel delitto di minacce, essendosi rivolti nei confronti di OMISSIS con le espressioni quali 'ti spacco tutto','ti brucio', 'sei morto', 'morto di fame', 'sei una persona degno di tuo padre'. I ricorsi per cassazione proposti nell'interesse di A.A. e B.B. con unico atto, constano di tre motivi (...). Il primo motivo deduce nullità della sentenza per violazione di legge in relazione all'art. 161-bis cod. pen. Lamentano i ricorrenti che il Tribunale non abbia dichiarato l'estinzione del reato, pur se decorso il termine di prescrizione di anni sette e mezzo dal momento del fatto (...), ritenendo applicabile al caso di specie l'art. 161-bis cod. pen. che determina la cessazione della prescrizione con la sentenza di condanna di primo grado. I ricorrenti evidenziano come la disposizione, introdotta con L. 144 del 2021 e in vigore dal 19 ottobre 2021, non sarebbe applicabile al caso in esame, essendo norma di diritto sostanziale che determina un trattamento meno favorevole per l’imputato, cosicché il 23 ottobre 2023 andava dichiarata l'estinzione del reato. Anche la disciplina della improcedibilità introdotta sempre con L. 134 del 2021 non ha effetto retroattivo in relazione ai reati commessi prima del 1 gennaio 2020, cosicché per il delitto per cui si procede, commesso il 24 maggio 2015, non vi sarebbe né l'applicabilità della disciplina acceleratoria della improcedibilità né quella della prescrizione. Il secondo motivo lamenta nullità della sentenza per inosservanza delle norme processuali in relazione all'art. 4 D.Lgs. n. 274 del 2000. Denunciano i ricorrenti di avere prospettato al giudice di appello l’incompetenza del giudice di pace a fronte della contestazione di minaccia aggravata, indicata con il riferimento all'art. 612, comma 2, cod. pen. Già il giudice di pace aveva respinto l'eccezione giudicando le frasi inidonee a integrare l'aggravante; il Tribunale invece rilevava trattarsi di errore materiale in quanto, dal tenore dell'imputazione, non emerge alcun riferimento alla gravità della minaccia. Osservano i ricorrenti che la competenza va verificata ex ante sulla scorta della [continua ..]

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