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Sbarco e abbandono di migranti: sì al dolo eventuale

Roberto Colucciello 

Con la sentenza di cui sopra, la Suprema Corte ha confermato la condanna del comandante dell’unità navale Asso28, in doppia conformità con le decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello di Napoli. Detta unità che svolgeva funzioni di supporto alla piattaforma petrolifera Sabratha di proprietà dell’Eni, e provvedeva al salvataggio di 101 migranti su un gommone in zona SAR libica, tra cui anche donne in stato di gravidanza e minori. Il comandante, dopo aver preso a bordo anche un sedicente ufficiale libico, presente sulla piattaforma, faceva rotta verso Tripoli dove riconsegnava i migranti ad una motovedetta libica nel frattempo sopraggiunta.  La sentenza, affermando la rilevanza penale delle condotte di respingimento verso la Libia, riconosce che lo Stato nordafricano non è un porto sicuro, e implicitamente nega che la vita e l’incolumità delle persone migranti possano essere sacrificate per garantire l’integrità delle frontiere. L’affermazione che la Libia non è un porto sicuro era, invero, già stata formulata da tribunali nazionali e sovranazionali, i quali l’avevano fondata su dati ampiamente documentati, relativi alle condizioni disumane di trattenimento subite dai migranti presso i centri di detenzione[1]. Negli ultimi anni, le condizioni notoriamente disumane di detenzione patite dai migranti presso i centri libici erano valse a scriminare le condotte dei Comandanti accusati di favoreggiamento dell’ingresso irregolare per aver sbarcato in Italia le persone soccorse[2], nonché i comportamenti aggressivi posti in essere dai migranti stessi nei confronti dei Comandanti intenzionati a ricondurli in Libia dopo averli salvati in mare[3]. Per tale via, si era riconosciuta la prevalenza dei diritti fondamentali dei migranti sull’interesse all’integrità delle frontiere nazionali. La sentenza qui in commento si segnala, tuttavia, perché rappresenta, l’esito di un percorso compiuto dalla magistratura italiana e volto a inquadrare, dal punto di vista giuridico, le condotte di salvataggio poste in essere da Comandanti di navi operanti nei Mediterraneo nei confronti di migranti irregolari.

  1. Il caso

Il caso affrontato dai giudici di legittimità è molto specifico e le condizioni riconosciute nel caso concreto per addivenire alla condanna del comandante della nave per i reati di abbandono in stato di pericolo e di sbarco e abbandono arbitrario di persone sono abbastanza stringenti. Ciò detto, non si può negare che la sentenza in commento contenga elementi di grande interesse che meritano di essere considerati e attenzionati da diverse angolazioni, sociali oltre che giuridiche.

La vicenda approdata presso la Suprema Corte vede protagonista il comandante di un rimorchiatore battente bandiera italiana (sopra menzionato), che viene riconosciuto responsabile, in primo e in secondo grado, del reato di abbandono in stato di pericolo di minori o incapaci (ex art. 591 del Codice Penale) e di sbarco e abbandono arbitrario di persone (ex art. 1155 del Codice della Navigazione).

Il comandante infatti, trovandosi in acque internazionali e in zona SAR libica, dopo aver rilevato la presenza di un gommone con a bordo101 migranti, si adoperava affinchè i naufraghi trasbordassero sull’unità navale. Nel compiere tale operazione, ometteva però di effettuare le dovute comunicazioni ai centri di coordinamento e soccorso competenti, quello di Roma e Tripoli, agendo così in violazione delle procedure previste per le operazioni di soccorso.

Inoltre, ometteva anche di identificare le persone, di assumere informazioni circa la loro provenienza e nazionalità, sulle condizioni di salute, di sottoporli a visita medica, di accertare la loro volontà di chiedere asilo, nonché di accertare se i minori fossero soli o accompagnati.

Infine, in violazione di quanto stabilito dalle Convenzioni internazionali, e nel loro sbarco in un porto non sicuro, atteso l’elevato rischio che i migranti fossero sottoposti a trattamenti inumani o degradanti nei centri di detenzione per stranieri presenti nel territorio libico[4].

Nella ricostruzione del fatto, è centrale la circostanza – già oggetto dalle sentenze di merito ed ivi dimostrata – che i migranti siano stati condotti in Libia senza che il Comandante avesse previamente contattato i centri di coordinamento e soccorso competenti: quello di Tripoli o, in caso di mancata risposta da parte di questo, quello di Roma. La condotta integrava una violazione di quelle prescrizioni[5] che si rivolgono al Comandante di una nave che soccorra in mare dei naufraghi, imponendogli di avvisare le autorità competenti per il coordinamento e il soccorso nella zona di Search and Rescue o, qualora queste non intervengano, le autorità nazionali che abbiano avuto il primo contatto con la persona in pericolo in mare.  La condotta del Comandante si caratterizzava altresì per essere stata serbata in violazione dell’ISPS Code[6], in quanto il Comandante aveva omesso di identificare il presunto ufficiale di dogana libico salito a bordo della ASSO 28 nonché di identificare i migranti, di informarsi sulla loro provenienza, nazionalità, condizioni di salute, eventuale intenzione di presentare richiesta di asilo, di sottoporli a visita medica e di accertarsi che i minori fossero accompagnati.

 

  1. Fattispecie incriminatrici e dolo eventuale

La Suprema Corte si premura intanto di individuare la condotta tipica dei reati in contestazione (sbarco arbitrario e abbandono), qualificando i delitti previsti dagli artt. 591 c.p. e 1155 cod. nav. come reati di pericolo astratto, affrontando successivamente le censure incentrate sulla carenza dell’elemento soggettivo.

Partendo dal reato di abbandono di minori e incapaci, la Cassazione ricorda come lo stesso risulti integrato ogniqualvolta l’agente realizzi una condotta contrastante con un dovere giuridico di cura o custodia, che esponga a pericolo la vita o l’incolumità del soggetto passivo.

 Incontestata la violazione dei doveri di cura e custodia nei confronti dei naufraghi posti dal diritto nazionale e internazionale in capo al Comandante[7], la Corte passa a verificare, in primis, che i soggetti passivi versassero in una situazione di incapacità di provvedere a loro stessi; in secundis, che la condotta del Comandante li avesse esposti a pericolo, anche solo in maniera potenziale.

Rispetto agli infraquattordicenni vige una presunzione assoluta d’incapacità, così che il giudice può prescindere dall’accertamento della sussistenza di tale condizione. Rispetto agli adulti presenti a bordo, si poneva invece la necessità di verificare se essi, sulla base delle condizioni psico-fisiche in cui versavano, dovessero essere qualificati come incapaci: in base all’art. 591 c.p., infatti, la condizione di incapacità di provvedere a sè stessi può dipendere non solo dall’età ma anche da un’altra causa[8]. Il concetto di “incapacità” non va, infatti – a parere della Corte – inteso in senso assoluto bensì in senso relativo, potendo dipendere da una situazione di fatto che ponga provvisoriamente il soggetto nell’incapacità di prendersi cura di sé in maniera adeguata.

Il secondo accertamento – quello cioè relativo al pericolo corso dai soggetti passivi in seguito all’abbandono – riguarda, invece, sia i minori sia gli incapaci “per altra causa”. La natura di pericolo astratto del reato non esclude, infatti, ad avviso della Cassazione, una valutazione in ordine all’offensività in concreto affidata al giudice. Rispetto al reato di abbandono di minori o incapaci, la Cassazione è dunque tenuta a verificare che dalla condotta contrastante con gli obblighi di cura e custodia che gravavano sul Comandante fosse derivato un pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo.

 Quanto al reato di sbarco arbitrario (ex art. 1155 C.N.), si tratta, anche in questo caso, di un reato di pericolo astratto, posto a tutela dell’integrità personale dei passeggeri, oltre che della libertà dagli arbitri del Comandante, dell’ordinato procedere della spedizione e del rispetto delle regole relative al rapporto di lavoro a bordo.

Ai fini della configurabilità del reato, è necessario dimostrare non solo la contrarietà dello sbarco a disposizioni normative e regolamentari (ritenuta dalla Cassazione accertata) ma anche il pericolo, almeno potenziale, corso dal soggetto arbitrariamente sbarcato[9].

Che la Libia rappresenti un luogo pericoloso è stato accertato dalle sentenze di merito, e la Corte non ravvisa motivi per porre in dubbio la fondatezza di tale affermazione. Lo stato nordafricano, infatti: 1) non ha sottoscritto la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo né la Convenzione di Ginevra, mancando quindi della precondizione richiesta dalle Corti sovranazionali per poter essere considerata “luogo sicuro”[10] 2) in secondo luogo, le condizioni disumane di trattenimento presso i centri libici e il pericolo, per i migranti ivi reclusi, di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti sono stati documentati da osservatori internazionali[11], dalla Corte di Strasburgo, in primis, con la sentenza Hirsi del 2012[12], e dalla stessa Corte di cassazione italiana[13]. Lo sbarco sulle coste tripoline integra, quindi, l’elemento oggettivo del delitto di pericolo astratto di sbarco arbitrario.

Accertata quindi la sussistenza delle condotte di abbandono e di sbarco arbitrario e il pericolo da queste create in capo ai soggetti passivi[14] , la Corte passa all’analisi dell’elemento soggettivo.

Quello richiesto per entrambi i reati è il dolo generico anche soltanto eventuale: basta quindi la consapevolezza, da parte dell’autore del reato, della possibilità di esporre a pericolo le persone abbandonate o arbitrariamente sbarcate e la «accettazione del rischio» che tale pericolo si concretizzi. La difesa argomentava in ordine alla carenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato, osservando, in particolare, che il rapporto Desperate and dangerous[15], sulle cui conclusioni i tribunali di merito si erano basati per affermare la natura non sicura delle coste libiche, era posteriore rispetto alla condotta serbata dal Comandante, il quale quindi non avrebbe disposto degli strumenti conoscitivi necessari per rendersi conto della pericolosità dello sbarco di persone in Libia. La Corte rigetta tali obiezioni osservando che il rapporto non risulta decisivo, in primo luogo perché esistevano, già nel 2018, plurime fonti di informazione sulla gravità delle condizioni di vita nei centri di detenzione libici; in secondo luogo, perché ricorrevano alcune circostanze di fatto sintomatiche dell’accettazione del rischio di verificazione dell’evento in capo all’imputato.

Alla luce delle circostanze del caso concreto e della notorietà delle condizioni disumane di detenzione subite dai migranti trattenuti presso i centri di detenzione libici, la Cassazione rigetta, quindi, la censura avanzata dalla difesa in ordine all’insussistenza dell’elemento soggettivo, ritenendo, invece, dimostrato il dolo eventuale nell’ambito di un contesto complessivamente illecito dell’azione, caratterizzato da plurime omissioni anche a bordo del natante, nonché dalla prova che il medesimo non si sarebbe astenuto dalla condotta illecita nemmeno qualora avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento, nel caso di specie la messa in pericolo dei naufraghi all’arrivo in porto.

 

  1. Considerazioni finali

La pronuncia suscita anche una riflessione sulla sproporzione tra la gravità della condotta realizzata e le sanzioni inflitte al condannato, nonché sulle responsabilità – morali e politiche, se non giuridiche – delle istituzioni e degli attori economici (anche) europei per la prassi dei respingimenti dei migranti verso le coste libiche. La sentenza emessa dalla Cassazione a conclusione del procedimento avviato nei confronti del Comandante della nave Asso 28 rappresenta certamente un un percorso giurisprudenziale volto ad attribuire veste giuridica alle condotte di salvataggio compiute dai Comandanti di navi operanti nel Mediterraneo.

Se solo si considerano le imputazioni a titolo di favoreggiamento dell’ingresso irregolare (art. 12, c. 1 t.u. imm.)[16] formulate negli ultimi anni a carico di Comandanti che avevano soccorso in mare e poi condotto in Italia migranti, non si può non osservare come la sentenza di condanna emessa nel caso di specie a carico del Comandante del rimorchiatore ASSO 28 per lo sbarco arbitrario e l’abbandono delle persone soccorse sulle coste libiche rappresenti un deciso ribaltamento di prospettiva ponendosi altresì nell’alveo della tutela della vita e dell’incolumità psico-fisica di tutte le persone, al di là che possa trattarsi di migranti irregolari o meno[17].

Il caso ASSO 28 appare dunque emblematico di come le fattispecie previste dal diritto penale italiano non siano in grado di riflettere sul piano sanzionatorio il disvalore delle condotte di respingimento.; vedasi, a mero titolo di esempio, una comunicazione recentemente indirizzata al procuratore presso la Corte Penale Internazionale, dove viene evidenziata la pericolosità degli approdi libici[18].

Come è noto, l’ordinamento italiano risulta manchevole di un’adeguata legislazione penale relativa ai crimini contro l’umanità, né la dottrina ritiene che le fattispecie ordinarie previste dal diritto penale italiano siano in grado di cogliere la natura diffusa e sistematica delle condotte suscettibili di integrare le fattispecie previste dall’art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale[19].

 

 

[1] Cfr. Pagella C., Sulla responsabilità penale del Comandante che conduca in Libia i migranti soccorsi in mare: il caso ASSO 28, in Rivista trimestrale Diritto penale Contemporaneo, n. 2/2024, pagg. 114 ss.

[2] Cass. Pen, sent. 16 gennaio 2020, n. 6626

[3] Cass. Pen., Sez. VI, sent. 16 dicembre 2021, n. 15869

[4] Rapporto dell’UNHCR, “Desperate and Dangerous: report on the human rights situation of migrants and refugees in Lybia” del 18 dicembre 2018.

[5] Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, sottoscritta a Londra il 17 giugno 1970, c.d. Convenzione SOLAS e Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo sottoscritta ad Amburgo il 27 aprile 1979, c.d. Convenzione SAR, ratificata dall’Italia

con Legge del 3 aprile 1979, n. 147

[6] Regolamento Tecnico, International Ship and Port Security Code introdotto dal Cap. XI della c.d. Convenzione Solas

[7] In particolare identificare i migranti, informarsi sulla loro provenienza, nazionalità, condizioni di salute, eventuale intenzione di presentare richiesta di asilo, sottoporli a visita medica, accertarsi che i minori fossero accompagnati

[8] Tra le cause che possono dar luogo a incapacità la Cassazione annovera, sulla scorta di quanto già ritenuto dai giudici di merito, lo stato di gravidanza

[9] Si deve trattare, in particolare, di un pericolo per la vita o l’incolumità del soggetto passivo

[10]Grande Camera CGUE, 21 dicembre 2011, cause C 411/10 e C 493/10 e successive pronunce conformi

[11] Cfr. Rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa relativamente alla visita svolta in Italia dal 27 al 31 luglio 2009, reso pubblico il 28 aprile 2010, che attestava che la Libia non può essere considerata un porto sicuro e che i migranti ivi condotti rischiano di subire maltrattamenti. Nello stesso senso si esprimono, tra gli altri, il rapporto del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 15 novembre 2007, il rapporto di Human Rights Watch, pubblicato il 21 settembre 2009, quello di Amnesty International del 28 maggio 2008 e quello del dipartimento di Stato americano del 4 aprile 2010.

[12] Grande Camera, causa Hirsi Jamaa e al. c. Italia, 23 febbraio 2012

[13] Cass.Pen., sez. VI, 16 dicembre 2021, n. 15869, che aveva riconosciuto la scriminante della legittima difesa in favore di alcuni migranti che si opposero al Comandante della nave che li aveva soccorsi per evitare di essere ricondotti in Libia. La realtà dei centri di detenzione libica era stata svelata efficacemente dalla Corte d’Assise e poi dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano nel “caso Matammud” (Corte Ass. App. Milano, Sez. I, n. 9/2019, ud. 20 marzo 2019)

[14] Rispettivamente, le donne incinte e i bambini e tutti i migranti a bordo

[15] Rapporto dell’UNHCR, “Desperate and Dangerous: report on the human rights situation of migrants and refugees in Lybia” , cit.

[16] Cfr. Zirulia S., Il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Tra overcriminalisation e tutela dei diritti fondamentali, Milano, Giappichelli, 2023

[17] Cfr. Pagella C., Sulla responsabilità penale del Comandante che conduca in Libia i migranti soccorsi in mare: il caso ASSO 28,op. cit., pagg. 123.

[18] Con la quale il Centro per i Diritti Umani e Costituzionali ECCHR, avente sede a Berlino, supportato da prestigiose organizzazioni della società civile, ha suggerito la qualificazione delle condotte di intercettazione e respingimento dei migranti verso le coste libiche come crimine contro l’umanità, e in particolare come grave privazione della libertà personale (art. 7(1)(e) dello Statuto di Roma), sostenendo che tali condotte sono parte di un attacco diffuso e sistematico contro i migranti e i rifugiati: fin dal 2011, infatti, esiste in Libia un sistema criminale finalizzato allo sfruttamento dei migranti e attuato attraverso il loro assoggettamento a violenza e a condizioni disumane di vita, detenzione e trasporto.

[19] Cfr. Crippa M., “L’approvazione di un codice dei crimini internazionali “dimezzato”. Le ragioni di un (dis)atteso intervento normativo”, in Questione Giustizia, 2023

Argomento: Dei delitti contro la persona
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. pen., Sez. V, Sent., 01 febbraio 2024, n. 4557)

Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo 

“(…) 3. Anche è necessario, preliminarmente, chiarire la natura dei delitti in contestazione, la condotta nella rispettiva materialità, pur essendo i motivi di ricorso centrati sul difetto del dolo richiesto, che consiste però nella coscienza e volontà proprio della condotta in sé, di abbandono in sé di soggetti minori di anni quattordici ovvero di persone incapaci — nel caso di specie di cinque donne in stato di gravidanza (art. 591 cod. pen.) — e di sbarco arbitrario di passeggeri (art. 1055 cod. nav.), e dunque implica la definizione del coefficiente oggettivo dei delitti. 3.1 II delitto previsti dagli artt, 591 cod. pen. e 1155 cod. nav. sono entrambi delitti di pericolo. (…) La natura di delitto di pericolo e non di danno deriva dalla circostanza che l'evento dannoso, lesivo della incolumità personale, è indicato solo come circostanza aggravante dal terzo comma, per altro come conseguenza non voluta, altrimenti si verterebbe nelle rispettive ipotesi di lesioni personali o di omicidio. Pertanto, si tratta di una fattispecie a tutela anticipata a garanzia di soggetti particolarmente vulnerabili, appunto minori infra-quattordicenni o soggetti incapaci. L'orientamento costante di questa Corte è nel senso che l'elemento oggettivo sia integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (…). (…) 5.8 Quanto all'elemento soggettivo, per il delitto previsto dall'art. 591 cod. pen. pacificamente la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il dolo del delitto di abbandono di persone minori o incapaci sia generico e possa assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica di quest'ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (…), ovvero, in caso di condotta attiva, è richiesta la consapevolezza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere alle [continua ..]

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