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In tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente il reato di cui all´art. 73, comma 1 ovvero comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all´art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.

Luigi Martini

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno fornito risposta al seguente quesito giuridico: « se, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico possa essere ascritto a un concorrente a norma dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e a un altro concorrente a norma dell’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R. ».

La questione sottoposta allo scrutinio delle Sezioni Unite riguarda, dunque, la differenziazione dei titoli di responsabilità tra concorrenti nel medesimo fatto storico e, in particolare, se, nel caso di concorso nel reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, possa applicarsi, solo per uno o alcuni dei concorrenti, la fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309/1990.

L’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite ha ricondotto ad unità il contrasto giurisprudenziale insorto in merito alla natura, unitaria o differenziata, del fatto di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, realizzato in forma plurisoggettiva. Ad un primo orientamento nomofilattico che propugna la “concezione monistica del reato concorsuale[1] se ne contrappone, infatti, un altro, definito in dottrina come “teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale o differenziata[2].

Dopo un breve excursus sulle novelle legislative che hanno interessato le ipotesi delittuose previste dall’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, le Sezioni Unite si soffermano sul comma 5 del medesimo d.P.R., osservando come, in origine, il « fatto di lieve entità » veniva introdotto dal legislatore del 1990 sub specie di circostanza attenuante ad effetto speciale.

A seguito della nota sentenza “Torregiani e altri c. Italia” (emessa l’8 gennaio 2013 dalla Corte Edu), l’art. 73 comma 5 del T.U. stupefacenti fu trasformato, però, in autonoma ipotesi delittuosa[3], in quanto risultava necessario adempiere all’obbligo ¾ previsto nella richiamata sentenza emessa dalla Corte EDU ¾ di ridurre la presenza di soggetti tossicodipendenti negli istituti penitenziari italiani, spesso ristretti intra moenia per fatti di contenuta gravità.

La norma in disamina diveniva, dunque, fondamentale « strumento di riequilibrio e riproporzionamento del sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti, in relazione a casi concreti nei quali, per la complessiva non gravità della condotta, il principio di offensività verrebbe sostanzialmente tradito applicando le più severe pene previste per le ipotesi diverse dal comma 5 dello stesso articolo 73 T.U. stup. »[4].

Nella sentenza in commento viene evidenziato, poi, come il legislatore ¾ attraverso la modifica del fatto di “lieve entità” da circostanza attentante ad autonoma fattispecie di reato ¾ abbia voluto sottrarre al giudizio di bilanciamento le ipotesi di contenuta offensività, prevedendo che la cornice edittale per tali fatti sia sempre quella prevista dal comma 5 del d.P.R. n. 309/1990, cornice sulla quale operare, poi, le riduzioni o gli aumenti per eventuali circostanze attenuanti o aggravanti.

La natura di autonoma fattispecie delittuosa è stata confermata, inoltre, con la previsione, introdotta dal d.L. n. 123/2023, del « fatto lieve non occasionale », con cui il legislatore « ha inteso ritagliare all’interno della fattispecie (autonoma) di lieve entità una fattispecie circostanziata di reato », dove l’unico elemento circostanziale risulta, appunto, la non occasionalità della condotta lieve.

Le Sezioni Unite rilevano, dunque, come proprio la trasformazione dell’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309/1990 da circostanza attenuante ad effetto speciale in autonoma ipotesi delittuosa abbia reso imprescindibile la « rielaborazione dei principi tradizionalmente affermati in materia di condotte concorsuali aventi ad oggetto sostanze stupefacenti », atteso che, prima di tale modifica normativa, l’orientamento nomofilattico prevalente era costante nel ritenere applicabile la circostanza attenuante del fatto di lieve entità a soltanto uno o alcuni dei concorrenti nel reato ex art. 73 del d.P.R. n. 309/1990.

Sul punto, in motivazione si evidenzia che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che le circostanze attenuanti o aggravanti, a seconda della specifica posizione personale, possano avere una applicazione differenziata tra coimputati: è compito del giudice verificare la sussistenza dei relativi presupposti e riconoscere le circostanze in favore della persona che le invoca.

 Esaurite tali premesse, la Cassazione reputa che, per risolvere il quesito giuridico, occorre tener conto, in primo luogo, delle caratteristiche strutturali dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, il quale disciplina ben « ventidue diverse condotte, tra loro alternative » e, sotto altro profilo, del rapporto intercorrente tra i commi 1 e 5 del reato di cui all’art. 73 del medesimo d.P.R.

In merito a tale ultimo profilo, per le Sezioni Unite appare indubitabile che l’art. 73 comma 5 T.U. stup. sia norma speciale rispetto al comma 1 dello stesso articolo, in quanto « contiene, da un lato, tutti gli elementi costitutivi dell’art. 73, commi 1 e 4, T.U. stup., che hanno valenza di norme generali, e presenta, dall’altro, quali requisiti propri e caratteristici, con funzione specializzante, i « mezzi, modalità o circostanze dell’azione » ovvero la « qualità o quantità delle sostanze », che portano a ritenere il fatto di lieve entità »[5].

Tale esegesi consente, quindi, alla Corte a Sezioni Unite di affermare che, in relazione al reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, il medesimo fatto è suscettibile di qualificazioni giuridiche differenti, a condizione che, all’esito di una valutazione che tenga conto del disvalore oggettivo e soggettivo della condotta del compartecipe, emerga la lieve entità del fatto contestato al concorrente.

In particolare, nella sentenza in commento viene precisato che nei casi in cui il medesimo fatto contenga elementi fattuali in base ai quali può ritenersi integrata, solo per taluni, la lieve entità del fatto, va esclusa l’ipotesi di concorso nel medesimo reato, in quanto sussistono due reati differenti ¾ vale a dire l’art. 73 comma 1 e l’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309/1990 ¾ avvinti tra loro da un rapporto di specialità.

Sicché, le Sezioni Unite affermano che « quando il contributo fornito da uno dei coimputati si caratterizzi per mezzi, modalità e/o altre circostanze rivelatori di un più tenue livello di offesa e beni giuridici protetti, per lui solo potrà intervenire la derubricazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui all'art. 73 comma 5 T.U. stup. ».

Il riferimento è, evidentemente, agli elementi tipici, specializzanti della fattispecie di lieve entità: non appaiono valorizzabili, infatti, la « quantità e la qualità delle sostanze » ¾ elementi, di regola, uguali per tutti i concorrenti nel reato ¾ ma unicamente « mezzi, modalità e circostanze dell’azione ».

Appare opportuno osservare, infatti, che il giudice può esaminare solo tali ultime circostanze al fine di pervenire, per taluno dei concorrenti, ad un giudizio di lieve entità del fatto, atteso che « mezzi, modalità e circostanze dell’azione » appaiono elementi qualificanti, idonei a far assumere alla condotta del concorrente un minor grado di disvalore ed offensività.

Si pensi alla finalità dell’azione delittuosa ¾ come, ad esempio, una cessione occasionale per ricavare un esiguo quantitativo di denaro ¾ oppure allo stato di tossicodipendenza che ha determinato una dazione di sostanza ad un terzo al fine di finanziare il proprio acquisto o, ancora, all’ipotesi di un mero intermediario, anche assuntore, che metta in contatto il proprio pusher con uno o più clienti, per ottenere un prezzo di favore sui futuri acquisti.

Le Sezioni Unite, nel dare risposta positiva al quesito giuridico, evidenziano come « tale conclusione non mette in discussione la persistente validità, in termini sistematici generali, della concezione unitarie del reato concorsuale, in quanto le norme […] si pongono in rapporto di specialità ».

Non può non rilevarsi come tale specificazione sulla unitarietà del reato concorsuale trovi ragione nel fatto che l’autonomia della fattispecie di reato prevista dall’art. 73 comma 5 del d.P.R. 309/1990 rappresenta un unicum nel sistema penale, dove tutte le altre ipotesi di lieve entità del fatto sono qualificate, per vero, come circostanziali[6].

D’altra parte, appare indubitabile che la pluralità delle condotte delineate dall’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 determina, in presenza delle già menzionate ipotesi specializzanti, anche una differente gravità del fatto posto in capo al concorrente, circostanza, questa, che, unitamente a ragioni di politica criminale ¾ il riferimento è alle direttive della sentenza Torregiani ¾  e in aderenza al principio di personalità della responsabilità penale, consente di ritenere senz’altro pregevole l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Secondo tale orientamento, a favore della natura unitaria del reato concorsuale millanterebbe il dato letterale dell’art. 110 c.p., nonché l’interpretazione sistematica degli artt. 116 e 117 c.p. In particolare, nella sentenza in commento, si evidenzia come, per tale orientamento ermeneutico, « la lieve entità caratterizza in modo oggettivo e globale la fattispecie, sicché tale qualifica non può dipendere da peculiarità soggettive di uno dei concorrenti, né configurarsi in modo frammentario rispetto soltanto ad alcuni di essi, salva la diversa determinazione del trattamento sanzionatorio per il singolo sulla base dei criteri dettati dall’art. 133 cod. pen., dall’art. 114 cod. pen., o dalle disposizioni in materia di recidiva (Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Khess, cit.) ».

[2] La Sezioni Unite osservano come, per i sostenitori di tale teoria, « dalla combinazione delle norme di parte speciale con quelle sul concorso di persone nel reato discendono tante fattispecie plurisoggettive differenziate quanti sono i concorrenti, che avrebbero in comune il medesimo nucleo dell'accadimento materiale, ma si distinguerebbero tra loro per l'atteggiamento psichico dell'autore (per ciascuna di esse, quello proprio del compartecipe interessato) e per taluni dati esteriori inerenti soltanto alla condotta, dell'uno e dell'altro compartecipe; di conseguenza, sarebbe ammissibile anche l'affermazione di responsabilità diverso titolo per due o più dei diversi concorrenti ».

[3] Il riferimento è all’art. 2 del d.L. 24 dicembre 2013, n. 146.

[4] Cfr. Cass. pen., SS. UU., 27 settembre 2018, n. 51063.

[5] Sul punto, le Sezioni Unite precisano che non osta a tale ricostruzione la riserva iniziale del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, vale a dire « salvo che il fatto costituisca più grave reato », in quanto già le Sez. Un. del 27 settembre 2018, n. 51063, avevano evidenziato come « un’interpretazione in tal senso apparirebbe irragionevole ed incompatibile con la volontà del legislatore e con la stessa scelta di trasformare la fattispecie da circostanza attenuante a reato autonomo ».

[6] Il riferimento è, ad esempio, alle circostanze attenuanti previste dall’art. 648 comma 4 c.p. in tema di ricettazione, dall’art. 609-bis comma 3 c.p. in tema di violenza sessuale e dall’art. 323-bis c.p.

Argomento: Testo Unico Stupefacenti
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Pen., SS. UU., 11 luglio 2024, n. 27727)

Stralcio a cura di Vincenzo Nigro

“(…) La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: "Se, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico possa essere ascritto a un concorrente a norma dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e a un altro concorrente a norma dell’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.". (…) Secondo la prima opzione interpretativa, che richiama a sostegno una parte della dottrina e della giurisprudenza, il medesimo fatto storico non può essere qualificato in termini diversi nei confronti dei coimputati, stante l'unicità del reato nel quale si concorre (…) È quella che in dottrina viene definita "concezione monistica del reato concorsuale", in ragione della quale Sez. 4, n. 30233 del 07/07/2021, D'Agostino, cit., ha ritenuto che non sia consentita una diversa qualificazione giuridica del medesimo fatto storico sul mero presupposto che, in relazione a taluni coimputati, il singolo episodio si iscriva come reato-fine in un programma criminoso di stampo associativo. In base a tale orientamento, a favore di detta interpretazione militerebbero il dato letterale dell'art. 110 cod. pen., la volontà chiaramente espressa dal legislatore, di cui vi è traccia nella Relazione del Guardasigilli al Progetto definitivo del codice Rocco, nonché l'interpretazione sistematica delle regole sulla compartecipazione criminosa quali desumibili dagli artt. 116 e 117 cod. pen. Nel caso di cui all'art. 116 cod. pen. il legislatore prescrive espressamente che il correo che non abbia avuto di mira né abbia materialmente perpetrato il reato più grave deve comunque risponderne, non potendosi consentire una differenziazione dei titoli di responsabilità tra i diversi compartecipi. L'art. 117 cod. pen., a sua volta, prevede che anche l'extraneus che non si sia prospettato la possibilità di perpetrare il reato "proprio" debba, comunque, risponderne. Pertanto, secondo tale primo orientamento, in caso di concorso in un medesimo episodio di detenzione o cessione illecita di sostanza stupefacente, identificata l'unica condotta tipica ascritta a più persone, la relativa qualificazione non potrebbe essere diversa per i concorrenti; in altri termini, lo stesso fatto non potrebbe essere qualificato ai sensi dell'art. 73, commi 1 o 4, T.U. stup. nei confronti di [continua ..]

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