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Il c.d. “saluto romano” integra il reato previsto dalla legge Scelba se vi è concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, nonché il delitto di pericolo presunto di cui alla legge Mancino ove, dato il contesto fattuale, rilevi come manifestazione di ideali propri di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 604-bis c.p
Cristina Monteleone
La sentenza in commento trae spunto dal ricorso per Cassazione depositato dagli imputati del reato di cui all'art. 2, co. 1, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205. Ai prevenuti, in particolare, era contestato di avere effettuato il cd. saluto romano per onorare la memoria di tre defunti aderenti all'ideologia fascista, nel corso di un raduno particolarmente partecipato e quindi idoneo a porre in pericolo l'ordine pubblico materiale.
In applicazione sia della sentenza della Suprema Corte (cfr. n. 28298/2017) sia della sentenza n. 364 del 1988 resa dalla Corte Costituzionale, il Giudice di prime cure ha ravvisato l'esistenza del cd. errore scusabile ex art. 5 cod. pen. e di conseguenza, il difetto dell'elemento soggettivo.
Esaminato l'appello del Pubblico Ministero, tuttavia, la Corte territoriale ha condannato tutti gli imputati alla pena di mesi due di reclusione e di euro 200,00 di multa. La Corte di Appello, in particolare, ha ritenuto che sono idonei a porre in pericolo l'ordine pubblico dello Stato il cd. saluto romano e la chiamata del “presente” eseguiti durante un'adunanza alla quale sono presenti oltre un migliaio di persone.
Mediante due ricorsi per Cassazione, tutti i condannati hanno impugnato la sentenza di secondo grado.
Con il primo ricorso, è stato denunciato che la Corte: in primo luogo, avrebbe errato in quanto non sarebbe riuscita a ravvisare alcuna organizzazione richiamata dall'art. 3 della l. 659/1975; in secondo luogo, vi sarebbe una violazione dell'art. 5 della l. 645/1952, infatti, non ricorrerebbe il pericolo di ricostituzione del partito fascista e il carattere statico dell'adunanza escluderebbero la punibilità.
Nel secondo atto di gravame, invece, i ricorrenti hanno ritenuto che: innanzitutto, l'art. 5, alla luce della sentenza resa dalla Corte Costituzionale, esclude l'elemento soggettivo del reato contestato: la giurisprudenza contrastante non consente ai cittadini di comprendere l'eventuale illegalità della loro condotta; in secondo luogo, ritengono che la violazione contestata sarebbe sussumibile nell'art. 5 della l. 645/1972 e sarebbero diversi anche i beni giuridici tutelati dalle norme (la sicurezza dello Stato nell'art. 5 e la dignità della persona nell'art. 2 del d.l. 122/1993).
Esaminato il ricorso, la Suprema Corte ha rilevato l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale: secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, il saluto romano è la manifestazione esteriore di un'organizzazione diretti a favorire l'odio razziale o etnico e quindi, detta condotta integra il reato di pericolo astratto cui all'art. 2 del d.l. 122/1993 (cfr. Cass. 21409 del 27/3/2019); un altro orientamento, invece, ritiene che il saluto romano sia un gesto evocativo del partito fascista e la violazione del reato di pericolo concreto di cui all'art. 5 della l. 645/1952 è ravvisabile qualora dalla condotta sorga il pericolo di ricostituzione dell'organizzazione fascista (cfr. Cass. 36162 del 18/04/2019).
Avuto riguardo ai reati di pericolo astratto, ai fini dell'eventuale condanna, all'interprete è richiesto – secondo una valutazione ex ante e tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo – di individuare l'offensività della condotta contestata. Vi è contrasto anche sul rapporto tra le due norme incriminatrici: rapporto di specialità (cfr. Cass. Pen. n. 3806 del 19/11/2021) ovvero concorso apparente di norme (Cass. Pen. n. 7904 del 12/10/2021).
Alla Prima Sezione, pertanto, sono state rimesse le seguenti questioni di diritto:
- se i rituali del “saluto romano” e della “chiamata al presente” integrino il reato di cui all'art. 5 della l. 645/1952 ovvero il reato di cui all'art. 2 di cui alla l. 205/1993;
- se le due norme siano reati di pericolo concreto o di pericolo astratto e se gli anzidetti delitti possano concorrere o se tra di esse vi sia un concorso apparente di norme.
La Sezione decidente, preliminarmente, chiarisce il diverso contesto storico delle normative in discussione e dei conseguenti diversi beni giuridici tutelati.
La cd. Legge Scelba (l. 645/1952) – introdotta meno di un decennio dopo la caduta del regime fascista, successivamente alla l. 3 dicembre 1947 n. 1546 – aveva l'obiettivo di concretizzare il contenuto della XII disposizione transitoria della Costituzione e di eliminare il pericolo di ricostituzione del partito fascista. La norma, pertanto, presentava una tutela anticipata del bene giuridico tutelato.
La disposizione normativa del 1993, invece, è nata dall'esigenza di aggiornare la cd. Legge Reale (l. 654/1975) emanata in attuazione della Convenzione di New York del 7 marzo 1966. Atteso anche il tenore dell'art. 3 della l. 654/1975, la normativa di cui all'art. 2 l. 205/1993 mira a scoraggiare la discriminazione razziale.
Gli opposti indirizzi giurisprudenziali – ad avviso della Corte – sono costituiti da provvedimenti nei quali si dà atto della logicità o meno delle sentenze impugnate ma non viene effettuata una reale ricostruzione ermeneutica della fattispecie in esame. Ad ogni modo, il contrasto evidenziato può essere sintetizzato e rappresentato da due pronunce: avuto riguardo al primo orientamento, il saluto romano è da considerarsi evocativo del disciolto partito fascista e quindi integrante il reato di cui all'art. 5 della l. 645/1952. Al contrario, la l. 205/1993 punisce le manifestazioni correlate a gruppi attuali. Attesi le strutture del reato completamente differenti e i consequenziali differenti beni giuridici tutelati dalle norme, quindi, tra le due disposizioni normative in esame non intercorre alcun rapporto di specialità (cfr. Cass. Penale n. 7904 del 12/10/2021); avuto riguardo al secondo orientamento giurisprudenziale, la Corte richiama alcune pronunce nelle quali alcuni comportamenti tipici del partito fascista – saluto romano, ostentazione del tricolore con fascio littorio, sfilata per il centenario dei fasci di combattimento – sono da considerarsi espressione di un'ideologia discriminante (cfr. Cass. Penale n. 26019 del 10/02/2023, Cass. Penale n. 3806 del 19/11/2021, Cass. Penale n. 21409 del 27/03/2019, Cass. Penale n. 20450 dell'8/3/2016, Cass. Penale n. 25184 del 4/3/2009).
Mosso dalla necessità di risolvere il conflitto giurisprudenziale di cui si è detto, il Giudice di legittimità effettua una comparazione delle due fattispecie normative. Seppure siano praticamente identiche nella condotta materiale (compimento di determinate tenute in pubbliche riunioni) con la sola esclusione dei differenti contesti (tipiche del disciolto partito fascista, nel primo caso; afferenti ad associazioni inneggianti all'odio e alla discriminazione, nel secondo caso), le figure incriminatrici presentano differenze sia nel bene giuridico tutelato nonché nella struttura del reato.
Trattandosi di un reato di pericolo concreto, il bene giuridico tutelato dall'art. 5 cit. è individuato nell'ordinamento democratico o, più correttamente costituzionale. L'anzidetta norma rappresenta la concretizzazione della XII disposizione transitoria della Costituzione e, pertanto, il legislatore mira a tutelare l'assetto costituzionale dello Stato e a reprimere tutte le manifestazioni che possano mettere in pericolo la tenuta di tale assetto (cfr. ex multis, Cass. Penale sez. 1, n. 36162 del 18/04/2019).
Chiamata a valutare la legittimità costituzionale della norma rispetto alla libertà di manifestazione di pensiero di cui agli artt. 17 e 21 Cost., in più occasioni, la Corte Costituzionale ha ribadito la strumentalità della norma incriminatrice rispetto alla concretizzazione dei contenuti della XII disposizione finale della Costituzione. La limitazione alla suddetta libertà, infatti, è legittima solo per quelle condotte (anche prodromiche) che importino il pericolo di ricostituzione del partito fascista. In altri termini, l'interprete deve effettuare un bilanciamento tra i valori costituzionali sopra richiamati per potere valutare l'eventuale offensività della condotta (sul punto vedasi Corte Costituzionale, sent. nn. 74 del 1958, 15 del 1973, 254 del 1974, 139 del 2023).
Alla luce della ricostruzione testè menzionata, pertanto, la fattispecie dell'art. 5 l. 645/1952 è di pericolo concreto.
Avuto riguardo al reato di cui all'art. 2 della l. 205/1993, invece, il bene giuridico tutelato non può essere individuato solo nella tutela dell'ordinamento costituzionale. Dal tenore complessivo della norma nonché dalla collocazione sistematica dell'art. 604-bis co. 2 cod. pen. (identico all'art. 2 della l. 654/1975), infatti, è evidente che il delitto mira a preservare valori egualmente di rilevanza costituzionale quali dignità, eguaglianza e solidarietà.
In ragione del criterio di collegamento individuato dalla norma (organizzazioni, associazioni, movimenti e gruppi di cui all'art. 3 della l. 654/1975), la fattispecie appare essere di pericolo presunto. In altri termini, sarà l'interprete a dovere eventualmente escludere l'offensività della condotta contestata.
La bontà dell'enunciazione del Giudice di legittimità appare corroborata dai principi resi dalla Corte Costituzionale nella sentenza 139/2023. In detto provvedimento, il Giudice delle leggi ritiene che il Giudice è chiamato a valutare la sussistenza dell'offensività in concreto anche se si tratta di un reato di pericolo presunto.
In definitiva, la Suprema Corte ritiene che il reato di cui all'art. 2 della l. 205/1993 è di pericolo presunto ma che la distinzione tra reati di pericolo concreto e di pericolo presunto è divenuta meno marcata, attesa la necessità in capo all'interprete di individuare l'offensività in concreto.
In ragione di quanto appena detto, è evidente che tra le due fattispecie in esame non vi sia rapporto di specialità. A questo proposito, il Giudice di legittimità ha richiamato brevemente i criteri per raffrontare le norme ed individuare la norma speciale. Abbandonata la linea interpretativa per la quale è necessario verificare l'identità del bene giuridico tutelato dalle norme raffrontate (cfr. Cass. Pen., n. 9568 del 21/4/1995), le Sezioni Unite hanno adottato il cd. criterio logico formale per il quale è necessario raffrontare gli elementi costitutivi delle norme in esame (cfr. Cass. Pen. Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010).
é stato, altresì, abbandonato anche il criterio della specialità in concreto: la specialità è una relazione tra norme astratte e quindi non ha alcun senso far dipendere il suddetto rapporto di specialità da fatti concreti. In altri termini, la relazione di specialità può esistere o meno ma non è collegata al verificarsi di un fatto concreto. (cfr. Cass. Pen. Sez. 5 n. 35591 del 20/06/2017 e Cass. Pen. Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010). Investita della questione relativa alla specialità tra illecito amministrativo e illecito penale, la Corte Costituzionale ha avallato il criterio della specialità astratta definendo detta relazione come la “convergenza su di uno stesso fatto” di più disposizioni che abbiano in comune più elementi ma una delle disposizioni deve avere un elemento caratterizzante in più specializzante rispetto all'altra (cfr. Corte Costituzionale, sent. 97/1987 e ord. 174/1994). La Suprema Corte ha altresì chiarito che il rapporto di specialità genus ad speciem è una specialità unilaterale, la specialità bilaterale non contempla un rapporto di specialità genus ad speciem (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, n. 21522 del 02/03/2021).
Non sono più presi in considerazione i criteri di “sussidiarietà”, “assorbimento” e “consunzione” in quanto idonei a dare adito ad opposte soluzioni da parte degli interpreti ed estranei al criterio di cui all'art. 15 cod. pen. (cfr. Cass. Pen. Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017).
Sul piano concreto, la Suprema Corte ha disaminato le due norme in esame e appurato che intercorre un rapporto di specialità bilaterale costituito dalla “diversita genetica” delle associazioni contemplate nelle rispettive norme. Alla luce di quanto appena esposto, pertanto, è da escludere sia il rapporto di specialità tra le norme in esame sia l'opportunità di utilizzare nella selezione della norma applicabile il criterio della concretezza del pericolo. Quest'ultimo criterio, tuttavia, non può essere applicato perchè completamente estraneo al dettato normativo dell'art. 15 cod. pen.
Alla luce dei dati individuati all'esito del superiore percorso ricostruttivo, il Giudice di legittimità ritiene che i rituali della “chiamata al presente” del “saluto romano” possa integrare sia il reato di cui all'art. 5 della l. 645/1952 sia il delitto di cui all'art.2 della l. 205/1993, nei limiti appresso indicati.
È indubitabile, infatti, che l'inclusione dei superiori rituali negli artt. 3 e 9 del Partito Nazionale Fascista, integri il reato di cui all'art. 5 della l. 645/1952, in quanto detti gesti sono chiaramente evocativi del disciolto Partito Fascista e quindi integrano il cd. pericolo presunto (pericolo di ricostituzione del Partito Fascista) insito nella norma.
Ad avviso delle Sezioni Unite, tuttavia, l'esecuzione di detti rituali integrerà anche il reato di cui all'art.2 della l. 205/1993 qualora i superiori gesti siano connotati da ulteriori elementi di discriminazione razziale.
Alla luce di quanto sopra esposto, il Giudice di legittimità – limitatamente al secondo motivo di entrambi i ricorsi depositati – ha ritenuto fondato il gravame e ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.
La Suprema Corte riconosce che il Giudice di primo grado, dopo avere chiarito che la “chiamata al presente” e il “saluto romano” costituiscono manifestazione esteriore del disciolto ormai fascista, ha ritenuto integrato il reato di cui all'art. 2 della l. 205/1993. In altri termini, il Giudice di prime cure ha, per un verso, deciso in difformità rispetto ai principi enunciati dal Giudice di legittimità e per un altro verso, non ha nemmeno esplicato adeguatamente le ragioni di tale discostamento.
La proposizione della doglianza afferente l'erronea qualificazione del reato, per la prima volta solo innanzi alla Corte di Cassazione, ancora, ha importato l'impossibilità per la Corte di Appello di pronunciarsi su detto aspetto. In definitiva, avuto riguardo a detto motivo di ricorso, la Suprema Corte ha proceduto alla riqualificazione del reato e all'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale.
Avuto riguardo alla denunciata insussistenza dell'elemento soggettivo del reato ex art. 5 cod. pen., individuato plasticamente il principio enunciato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 364/1988) ossia l'assoluta oscurità della norma penale, la Suprema Corte ha ravvisato – nel caso di specie – l'esistenza di un mero dubbio sulla liceità di una condotta.
In questo caso, il Giudice di legittimità ritiene che sussista – in capo al consociato – un generale dovere di prudenza (Cass. Penale sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016). A ben vedere, ancora, ad avviso della Suprema Corte non è possibile per gli imputati invocare alcuna ignoranza inevitabile né l'applicazione dell'art. 618 co. 1 -bis c.p.p.
L'esistenza di un contrasto giurisprudenziale postula la sussistenza di un precedente contrario all'invocata liceità della condotta tenuta dagli imputati.
Avuto riguardo, peraltro, alle doglianze relative alla lamentata intervenuta prescrizione, la Suprema Corte ha ritenuto che non fosse intervenuta la causa estintiva del reato, in ragione della sospensione della prescrizione disposta a causa del Covid.
In conclusione, nei limiti di cui sopra, il ricorso è stato accolto e la sentenza annullata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale per consentire al Giudice di accertare l'eventuale sussistenza del cd. Pericolo concreto e di assumere le conseguenti determinazioni.
Sezione: Sezioni Unite
(Cass. Pen., SS.UU., 17 aprile 2024, n. 16153)
stralcio a cura di Annapia Biondi