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Suicidio assistito non punibile ex C. Cost n. 249/2019: nei “trattamenti di sostegno vitale” sono incluse tutte le procedure eseguite da medici, familiari o caregivers necessarie ad assicurare l´espletamento di funzioni vitali del paziente

Giulia Nespolo

La questione prospettata dalla sentenza della Corte costituzionale del 18 luglio 2024, n. 135, richiede l’analisi del reato di istigazione o aiuto al suicidio previsto dall’art. 580 c. p. Nello specifico, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze, con riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost., nonché all’art. 117 Cost., avuto riguardo agli artt. 8 e 14 CEDU, dell’art. 580 c. p., come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Consulta, nella parte in cui condiziona la non punibilità di colui che agevola l’altrui suicidio alla circostanza che l’aiuto sia fornito a un soggetto mantenuto “in vita da trattamenti di sostegno vitale”. Ai fini di una corretta analisi della sentenza in commento, appare opportuno procedere ad una breve disamina sulla vicenda in esame. In particolare, tre persone, guidando a turno un furgone adibito per il trasporto del malato, hanno aiutato un paziente affetto da sclerosi multipla di grado avanzato, in stato di quasi totale immobilità, il quale si era già autonomamente determinato a porre fine alla propria vita, ad accedere al suicidio assistito in una struttura privata svizzera. Il GIP ha rilevato che il paziente si trovava in una condizione di acuta sofferenza, determinata da una patologia irreversibile e aveva formato la propria decisione in modo libero e consapevole, ma non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Di talché, ha ritenuto che non sussistessero tutte le condizioni di non punibilità del suicidio assistito fissate dalla Corte nella sentenza n. 242 del 2019. Pertanto, il GIP ha chiesto alla Corte di rimuovere il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, ritenendolo in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza,, di autodeterminazione terapeutica, di dignità della persona, nonché con il diritto al rispetto della vita privata riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Orbene, chiariti i termini della vicenda, occorre analizzare il reato di istigazione o aiuto al suicidio ex art. 580 c. p. Il reato di istigazione o aiuto al suicidio si sostanzia nella condotta di colui che determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito al suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. A tale proposito, il bene giuridico tutelato dal reato consiste nell’interesse a prestare tutela alla vita umana, ovverosia un bene che si colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti sia all’art. 2 Cost. e da tutte le carte internazionali dei diritti umani, che tutelano espressamente il diritto alla vita. Per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato, è rappresentato dalla condotta di chi determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito al suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. L’autore del reato viene perseguito per aver forzato l’intenzione della vittima, manifesta o latente, suscitando o rafforzando il proposito suicida di questi. La condotta può essere di carattere psichico qualora si rafforzi in altri l’idea del suicidio o di carattere materiale laddove si aiuti un soggetto a mettere in atto la propria idea suicida. L’individuazione della ratio della previsione non risulta agevole, trattandosi di un’incriminazione che sanziona la partecipazione ad un atto lecito, quale il suicidio viene considerato nell’attuale ordinamento. Per quanto attiene all’elemento soggettivo del reato, è richiesto il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di determinare o rafforzare l’altrui proposito suicida, ovvero di agevolarne la sua esecuzione. Occorre valutare se in mancanza del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale un soggetto possa accedere o meno al suicidio assistito, ossia se sia possibile un’estensione della non punibilità del soggetto che aiuta nella suddetta ipotesi, sulla base delle condizioni fissate della sentenza n. 242 del 2019. Sul punto, la Corte ha ritenuto di escludere che il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale determini irragionevoli disparità di trattamento tra i pazienti. Difatti, la sentenza n. 242 del 2019 non aveva riconosciuto un generale diritto di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza intollerabile determinata da una patologia irreversibile, piuttosto aveva soltanto “ritenuto irragionevole precludere l’accesso al suicidio assistito di pazienti che- versando in quelle condizioni,, e mantenendo intatte le proprie capacità decisionali- già abbiano il diritto loro, riconosciuto dalla legge n. 219 del 2017 in conformità all’art. 32, secondo comma, Cost., di decidere di porre fine alla propria vita, rifiutando il trattamento necessario ad assicurarne la sopravvivenza. Una simile ratio, all’evidenza, non si estende ai pazienti che non dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non hanno (o non hanno ancora) la possibilità di lasciarsi morire semplicemente rifiutando le cure. Le due situazioni sono, dunque, differenti”.  (Par. 7.1, Corte cost., sent. n. 135/2024). Sulla base di quanto poc’anzi rammentato, quanto all’autodeterminazione terapeutica, la Corte ha ribadito che ogni paziente ha un diritto costituzionale di rifiutare qualsiasi trattamento medico non imposto per legge, anche se necessario per la sopravvivenza. Tuttavia, il diritto invocato dal GIP di Firenze, a una generale sfera di autonomia nelle decisioni che coinvolgono il proprio corpo risulta più ampio del diritto a rifiutare il trattamento medico. Invero, deve necessariamente bilanciarsi con il contrapposto dovere di tutela della vita umana, specie delle persone più vulnerabili. Il compito di individuare il punto di equilibrio più appropriato tra il diritto all’autodeterminazione e il dovere di tutela della vita umana spetta primariamente al legislatore, nell’ambito della cornice precisata dalla Corte nella propria giurisprudenza. In tale senso, si è ravvisato che “ogni vita è portatrice di inalienabile dignità, indipendentemente dalle condizioni in cui si svolge. La nozione “soggettiva” di dignità evocata dall’ordinanza di rimessione e connessa alla concezione che il paziente ha della propria persona- nozione alla quale pure la Corte “non è affatto insensibile” - finisce poi per coincidere con quella di autodeterminazione. Anche rispetto ad essa resta quindi necessario un bilanciamento, a fronte del contrapposto dovere di tutela della vita umana”. (Par. 7.3, Corte cost., sent. n. 135/2024). Alla luce di tale fondamentale passaggio della decisione in commento, si è negata la violazione del diritto alla vita privata riconosciuto dall’art. 8 CEDU. Nella sentenza Karsai contro Ungheria del 13 giugno 2024 la stessa Corte di Strasburgo ha escluso che l’incriminazione dell’assistenza al suicidio violi il diritto alla vita privata di una persona affetta da una patologia degenerativa del sistema nervoso, riconoscendo un ampio margine di apprezzamento a ciascuno Stato nel bilanciamento tra tale diritto e la tutela della vita umana. Tuttavia, la Consulta ha precisato che “la nozione di trattamenti di sostegno vitale deve essere interpretata dal servizio sanitario nazionale e dai giudici comuni in conformità alla ratio della sentenza n. 242 del 2019. Questa sentenza si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività”. (Par. 8, Corte cost., sent. n. 135/2024). Inoltre, ai fini dell’accesso al suicidio assistito, non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali. Atteso che anche in tale situazione il paziente può legittimamente rifiutare il trattamento, egli si trova già nelle condizioni indicate dalla sentenza n. 242 del 2019. È necessario, per tutti i fatti successivi al 2019, che le condizioni e le modalità di esecuzione dell’aiuto al suicidio siano verificate da strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale nell’ambito della “procedura medicalizzata” di cui alla legge n. 219 del 2017, previo parere del comitato etico territorialmente competente, senza che possa venire in rilievo l’ipotetica equivalenza di procedure alternative in concreto seguite. Resta naturalmente impregiudicata la necessità di un attento accertamento da parte del giudice penale, di tutti i requisiti del reato, compreso l’elemento soggettivo. Infine, con la pronuncia in epigrafe, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale. Nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia, i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il suo significato però deve essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza. Tutti i requisiti prescritti -a) l’irreversibilità della patologia, b) la presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, che il paziente reputa intollerabili, c) la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, d) la capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli- devono essere accertati dal servizio sanitario nazionale con le modalità procedurali stabilite nella sentenza del 2019.

 

Argomento: Dei delitti contro la persona
Sezione: Corte Costituzionale

(Corte Cost., 18 luglio 2024, n. 135)

Stralcio a cura di Fabio Coppola 

“(…) Con ordinanza del 17 gennaio 2024, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, «come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019» di questa Corte, nella parte in cui subordina la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio alla condizione che l’aiuto sia prestato a una persona «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale» (…) Riferisce il rimettente che, in base alle pacifiche risultanze delle indagini preliminari, svolte a seguito di autodenuncia degli stessi indagati, a M. S. era stata diagnosticata nel 2017 la sclerosi multipla, patologia del sistema nervoso centrale che provoca una progressiva invalidità del paziente. Dopo l’esordio dei primi sintomi lievi, il quadro clinico era rimasto stazionario per alcuni anni, sino a che, sul finire del 2021, si era avuto un significativo e rapido peggioramento delle condizioni di vita del paziente. M. S. aveva dapprima manifestato difficoltà nella deambulazione, poi aveva avuto bisogno della sedia a rotelle e già ad aprile 2022 era rimasto definitivamente impossibilitato a muoversi dal letto, con pressoché totale immobilizzazione anche degli arti superiori, salva una residua capacità di utilizzazione del braccio destro. Secondo quanto dichiarato dal padre, nel 2021 M. S. aveva iniziato a maturare il proposito di porre fine alla sua vita, per ragioni legate alla patologia di cui soffriva. (…) Nel 2022, in corrispondenza con il grave deterioramento delle sue condizioni di salute, il proposito di M. S. si era trasformato in ferma determinazione. Egli aveva preso quindi contatto con una organizzazione elvetica, avvalendosi dell’intermediazione di C., che agiva quale legale rappresentante dell’associazione di soccorso da lui fondata, la quale si era fatta carico anche di alcuni costi della procedura, tra cui le spese di trasporto del malato in Svizzera, tramite noleggio di un furgone. M. S. aveva raggiunto il territorio elvetico il 6 dicembre 2022 a bordo del mezzo, guidato a turno dalle indagate C. L. e F. M. Il rimettente riferisce anche [continua ..]

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