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Il requisito della convivenza nel delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi non viene meno in caso di temporanea sospensione della stessa se permangono gli aspetti materiali e spirituali della comunione di vita e della volontà di condivisione
Rossana Tomeo
La sesta sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, è chiamata a pronunciarsi sul concetto di convivenza richiesto dall’art. 572 c.p. ai fini della configurabilità dei maltrattamenti.
Ricorrente contro la sentenza della Corte di Appello di Catania, la quale ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Catania emessa il 10/05/2021 con rito abbreviato per il reato ex art. 572 c.p., previa correzione della decorrenza dei maltrattamenti con retrodatazione di un anno, è l’imputato, condannato per i maltrattamenti commessi nei confronti della convivente aggravati dallo stato di gravidanza e dalla presenza del fratello di lei, affetto da sindrome di down.
Lo stesso adduce diversi motivi di ricorso – ritenuto inammissibile –, alcuni dei quali rappresentano occasione di rilevanti considerazioni.
Con i primi due motivi, che la Corte procede a trattare congiuntamente e che attengono al profilo squisitamente processuale, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 423, 441 e 441-bis c.p.p., in relazione all’ordinanza dell’11/05/2023 con cui la Corte d’Appello «ha disposto, su istanza della parte civile, la correzione della data del commesso reato contestato all'imputato (dal 2018 anziché dal 2019)» configurandola quale errore materiale; per il ricorrente si tratterebbe, invece, di una modifica dell’imputazione incidente sul diritto di difesa, «vietata dall'art. 441, comma 1, cod. proc. pen. o tale da imporne la notifica all'appellante assente, con rinvio dell'udienza».
Sul punto occorre rilevare che la sesta sezione ha chiarito che la correzione, avvenuta nel contraddittorio tra le parti e senza che la difesa vi si opponesse, sanando così un’eventuale nullità, non ha modificato l’imputazione né leso il diritto di difesa, dal momento che ha rappresentato l’allineamento dell’imputazione alla data del delitto, accertata nel primo grado di giudizio. Data emersa dagli inequivocabili elementi fattuali – già noti al momento della richiesta del rito abbreviato – oggetto di specifico accertamento in contraddittorio e non negati dall’imputato.
La corretta individuazione del tempus commissi delicti rientra, invero, tra i poteri del giudice della cognizione allorquando il momento della commissione emerga in modo preciso e da definiti elementi fattuali già contenuti nel capo di imputazione e sugli stessi sia garantito il contraddittorio tra le parti, funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa.
Lungi dal potersi considerare elemento accessorio all’imputazione, la corretta collocazione temporale del fatto di reato non assume automaticamente una rilevanza decisiva, tale da comportare, in caso di mutamento, una modifica sostanziale dell’imputazione; va, pertanto, accertata caso per caso l’effettiva incidenza della modifica della data sul nucleo essenziale dell’addebito, «dovendosi a essa attribuire un rilievo marginale tutte le volte in cui la sua emendationon incida sulle possibilità dell'individuazione del fatto da parte dell'imputato e del conseguente esercizio del diritto di difesa»[1].
Meritano un approfondimento anche il terzo e il quarto motivo del ricorso, entrambi dichiarati generici, perché, nel dedurre il ricorrente vizio di motivazione con riferimento alle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni dai genitori della persona offesa, erroneamente ritenute elementi di riscontro nonostante non avessero assistito direttamente ai maltrattamenti, e dai testimoni oculari, non denunciati nonostante ritenuti inattendibili, consente alla Corte di precisare quale sia il valore da attribuire alle dichiarazioni della persona offesa.
È ormai pacifico, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, che le dichiarazioni della persona offesa siano da sole sufficienti a fondare il convincimento del giudice senza necessità di riscontri esterni, purché siano verificate la credibilità soggettiva e l’attendibilità intrinseca del racconto e queste siano sorrette da idonea motivazione. Questo vale ancor di più nel delitto di violenza domestica, dove la prova è di regola costituita dalla testimonianza della persona offesa «visto che le condotte vessatorie si sviluppano in un contesto chiuso, cui spesso nessuno assiste, bastando quindi un'agevole attività di accertamento e interpretazione delle dinamiche della relazione tra autore e vittima, al fine di individuarne la disparità […]»[2], precondizione delle eventuali condotte di reato. L’attendibilità della persona offesa rappresenta, invero, «una questione di fatto che ha le sue chiavi di lettura in una motivazione ragionevole e compiuta»; pertanto, non può essere rivalutata in sede di legittimità a meno che non emergano manifeste contraddizioni o illogicità, non rappresentate, nel caso di specie, dalle censure addotte dal ricorrente.
Con il quinto motivo il ricorrente contesta la sussistenza del delitto ex art. 572 c.p. per l’assenza del presupposto della stabile convivenza, dal momento che lo stesso si assentava periodicamente per ragioni di lavoro. Nel dichiarare il motivo manifestamente infondato, la sezione in esame, ripercorrendo gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale e di legittimità[3] e la normativa in materia, ricostruisce il concetto di convivenza richiesto ai fini della configurazione del reato ex art. 572 c.p., fino a giungere alla differenza che intercorre tra la convivenza e la coabitazione, la cui confusione ha generato l’errore giuridico in cui incorre il motivo del ricorso.
Viene premesso che la convivenza rientra nelle formazioni sociali meritevoli di tutela ex art. 2 Cost., quando fondata su una relazione affettiva, ricollegabile “all’affectio familiaris”. Giurisprudenza e normativa succedutesi nel tempo hanno consentito, da un lato, di equiparare i concetti di “famiglia” e di “convivenza”; dall’altro, di recepire l’interpretazione che già costituiva diritto vivente, secondo cui le condotte maltrattanti possono innestarsi anche all’interno delle “famiglie di fatto”, «per tali intendendosi le relazioni sentimentali che, per la consuetudine dei rapporti creati, implicano l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale […]». Lo stesso art. 572 c.p. può attingere alla definizione normativa contenuta nell’art. 36, comma 1, della l. n. 76 del 2016, che, nel definire quali “conviventi di fatto” «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile», assolve all’intento di recepire sul piano del diritto positivo quanto già elaborato in sede giurisprudenziale, in linea con l’elaborazione dottrinale e sovranazionale.
La convivenza giuridicamente rilevante ai fini dell’art. 572 c.p. viene qualificata da una spontanea decisione, liberamente revocabile, volta ad instaurare una comunione di vita e di affetti[4], basata su reciproche aspettative di solidarietà e stabilità, la quale differisce dalle altre forme di condivisione solo per l’assenza di vincoli giuridici e si instaura anche se nel concreto la stabilità non si realizza.
Per tali ragioni, una temporanea interruzione o eventuali intervalli non ne fanno venir meno i presupposti, purché restino intatti gli ulteriori aspetti che la connotano. Gli elementi rilevatori, fattuali, elaborati in sede giurisprudenziale, quali la coabitazione, l’intimità, la riconoscibilità come coppia a livello sociale e familiare, la scelta di avere figli, la condivisione della responsabilità genitoriale, la reciproca assistenza economica, lo svolgimento di un’attività lavorativa comune, sono infatti sprovvisti di valenza indiziaria autonoma, ma possono acquisirla ove valutati congiuntamente. La coabitazione, in particolare, «può essere utile indice per individuare una convivenza affettiva stabile in quanto vi è una casa comune all'interno della quale si svolge il programma di vita condiviso, ma non è un requisito che la connota, visto che sempre più costituisce un dato recessivo», per il suo sempre più frequente venir meno per ragioni economiche, personali, di necessità, di studio o di carriera. D’altro canto, la stessa può invece instaurarsi per ragioni che rispondono a criteri di mera opportunità, di amicizia o utilità, che prescindono da un vincolo affettivo e dalla volontà di condividere un progetto comune. Pertanto, quello che va accertato ai fini della configurabilità dell’art. 572 c.p. non è la mera condivisione della casa, bensì l’esistenza di «un rapporto di intimità, di fiducia e di affidamento», una consuetudine di vita comune sia materiale che affettiva, che costituisce «una precondizione che agevola la condotta sopraffattoria sulla persona offesa». È proprio questo tipo di legame, infatti, a generare la sottoposizione della vittima all’agente, a generare e favorire il condizionamento psicologico e manipolatorio di cui costui si avvale per affermare il suo dominio.
La convivenza, dunque, incide sul confine che intercorre tra l’art. 572 c.p. e l’art. 612-bis c.p. Ergo, anche la sua cessazione muta l’inquadramento giuridico del fatto: le condotte commesse successivamente non rientrano più nell’art. 572 c.p., bensì nell’art. 612-bis c.p.[5], insieme alle condotte commesse nel caso di mera coabitazione, salvo sia intercorsa la separazione di fatto o legale dei coniugi, caso in cui opererà ancora il 572 c.p. perché «il coniuge resta "persona della famiglia" fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza»[6].
[1]Cass., Sez. V, 15/02/2019, n. 24446.
[2]Cass., Sez. VI, 19/05/2022, n. 19847.
[3]In particolare, quelli consolidatosi a seguito della sentenza della C. Cost., 28/04/2021, n. 98.
[4]Ex multis, Cass., Sez. V, 02/02/2023, n. 4572, in CED, Rv. 284185 -01.
[5]Cfr. C. Cost. n. 98 del 2021, cit.
[6]Cass., Sez. VI, 15/05/2024, n. 31178.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. VI, 21 ottobre 2024, n. 38603)
Stralcio a cura di Claudia Scafuro