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In tema di “Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti” (art. 391 ter c.p.), l´inclusione della scheda SIM nel significato delle locuzioni impiegate dal legislatore di

Antonio Genovese

La questione interpretativa

Nella vicenda oggetto della sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Campobasso ha proposto ricorso lamentando la violazione di legge per l’erronea esclusione della configurabilità del delitto di cui all’art. 391-ter c.p. Secondo il PG, una lettura «teleologica e logica» della norma imporrebbe di ricomprendere anche la scheda SIM tra i dispositivi idonei alla comunicazione, in quanto parte necessaria al funzionamento di un telefono cellulare.

In tale prospettiva, un’interpretazione restrittiva renderebbe «priva di sanzione l’introduzione separata, in carcere, di parti di un dispositivo mobile che, una volta assemblate, consentirebbero al detenuto di comunicare con l’esterno». Poiché l’art. 391-ter c.p. si riferisce genericamente ad «apparecchi telefonici o altri dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni», senza distinguere tra lo strumento completo e le sue componenti, il PG sostiene che anche la scheda SIM debba essere considerata un dispositivo rilevante ai fini dell’incriminazione in quanto essenziale per la comunicazione. Diversamente opinando, non sarebbe punibile neppure la consegna a un detenuto di un telefono privo di SIM.

La motivazione della Cassazione

La Cassazione ha ritenuto che un’interpretazione «letterale, teleologica e sistematica» dell’art. 391-ter c.p. imponga di circoscrivere l’oggetto delle condotte incriminate ai soli apparecchi telefonici o ad altri dispositivi idonei alle comunicazioni intesi nella loro unitarietà, con esclusione delle singole parti. Rigetta così la lettura del Procuratore Generale, che avrebbe incluso anche accessori come la scheda SIM, osservando che tali condotte, «seppure ipoteticamente coerenti con la ratio della disposizione incriminatrice, si pongono in netto contrasto con il principio di legalità e di tassatività, spettando al solo legislatore (…) l’estensione dell’oggetto materiale delle condotte tipizzate anche alle parti o agli accessori dei dispositivi».

La Corte qualifica la SIM come mero accessorio, che consente l’accesso ai servizi di comunicazione forniti dagli operatori, ma non indispensabile: la connessione può avvenire anche con modalità alternative (esp. hotspot). Inoltre, la sola scheda SIM, priva di un terminale in cui essere inserita, non è idonea a consentire comunicazioni con l’esterno.

Benché tale argomento letterale sia ritenuto sufficiente, la Corte aggiunge ulteriori ragioni. In particolare, l’estensione delle locuzioni «apparecchio telefonico» o «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» alla scheda SIM eccederebbe i limiti dell’interpretazione estensiva, risolvendosi in un’analogia vietata e traducendosi in una «violazione dei principi di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie nonché (…) della correlata garanzia soggettiva (…) della prevedibilità delle conseguenze della propria condotta».

A sostegno richiama la tecnica normativa: quando il legislatore ha voluto includere parti di beni tra gli oggetti di reato, lo ha fatto espressamente, come nella disciplina delle armi (l. n. 895/1967) che punisce anche le «parti di esse».

Chiarisce inoltre che l’espressione «apparecchio telefonico» si riferisce ai dispositivi destinati a comunicazioni a distanza, mentre «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» designa strumenti diversi (ad esempio tablet o trasmettitori audio), comunque capaci di consentire attività comunicative analoghe. La scelta lessicale mostra la volontà del legislatore di adottare una normazione sintetica, evitando elenchi rigidi e suscettibili di rapida obsolescenza.

A conferma della lettura restrittiva, la Corte richiama la ratio, della norma che consiste nell’ impedire comunicazioni non autorizzate con l’esterno, e la natura istantanea del reato, che si perfeziona nel momento in cui il dispositivo, già idoneo di per sé alla comunicazione, viene procurato, introdotto o messo a disposizione del detenuto. Da ciò l’irrilevanza del caso concreto: la consegna di una scheda SIM, incapace di consentire comunicazioni autonome, integra un fatto inoffensivo e pertanto privo di rilevanza penale.

Infine, a ulteriore sostegno delle argomentazioni sopracitate, la Corte richiama i lavori preparatori e i contributi dottrinali, i quali confermano che il legislatore ha sempre fatto riferimento ai telefoni cellulari «considerati nella loro unitarietà».

Nelle considerazioni conclusive, la Cassazione precisa che le proprie valutazioni riguardano «esclusivamente il significato delle due locuzioni utilizzate dal legislatore ed alla impossibilità di includervi la condotta che, come nel caso in esame, ha ad oggetto esclusivamente una scheda SIM».

La Corte richiama quindi le possibili varianti della fattispecie, distinguendo: l’ipotesi oggetto di giudizio dell’introduzionesic et simpliciter di una scheda SIM; quella dell’introduzione accompagnata dal contestuale rinvenimento, nella disponibilità del detenuto, di dispositivi idonei alla comunicazione con l’esterno; infine, l’ipotesi di introduzione frazionata, in tempi diversi, di più componenti di un medesimo apparecchio.

Con riferimento alla seconda ipotesi, la Corte ammette una possibile rilevanza penale: «Diversa, infatti, risulterebbe l’ipotesi in cui, contestualmente all’introduzione di una scheda SIM in un istituto penitenziario, venisse rinvenuto nella disponibilità del detenuto un dispositivo ove detta SIM potrebbe essere inserita, consentendo, così, di comunicare con terzi. Ad analoghe conclusioni potrebbe pervenirsi anche nel caso in cui (…) venisse accertato che il detenuto era in grado di fare affidamento su un dispositivo di un operatore penitenziario compiacente o corrotto».

Diversamente, «esulano dal confine della norma incriminatrice tutte le condotte connotate, per lo più, dal frazionamento del singolo dispositivo o (…) dall'introduzione in tempi diversi delle singole parti così ottenute», poiché l’art. 391-ter c.p. si riferisce unicamente al dispositivo immediatamente utilizzabile per comunicare con l’esterno. Tali condotte, per quanto possano apparire coerenti con la ratio della norma, eccedono i confini del principio di legalità e tassatività, spettando al legislatore l’eventuale scelta di estendere l’incriminazione anche a componenti o accessori».

Profili critici e possibili ipotesi ricostruttive.

Negli incisi finali della sentenza si intravedono alcune questioni su cui la Cassazione potrebbe essere chiamata a pronunciarsi in futuro.

Il decisum del caso specifico appare condivisibile, poiché la Corte applica rigorosamente il principio di legalità, escludendo l’estensibilità della norma ai meri componenti dei dispositivi, inidonei di per sé a comunicare. Tuttavia, nella trattazione delle ipotesi alternative, talune conclusioni appaiono rapide e, in prima lettura, quasi in contraddizione con la fattispecie oggetto del giudizio.

In particolare, la possibilità di considerare integrato il reato laddove l’introduzione della SIM si accompagni alla presenza, nella disponibilità del detenuto, di un telefono sembra, a un primo esame, discostarsi dall’argomentazione letterale della sentenza. La SIM, infatti, in quanto accessorio non indispensabile al funzionamento del telefono dovrebbe essere sempre escluso tra gli oggetti del reato previsti dal 391-ter c.p..

Una lettura possibile potrebbe far rientrare la fattispecie nella formula di chiusura della norma che punisce chi «comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti». Tale interpretazione consentirebbe di mantenere il rispetto del principio di legalità, concentrandosi sui casi in cui la SIM diventa effettivamente idonea a consentire l’uso indebito del dispositivo, rispondendo così alle osservazioni della dottrina in termini di offensività concreta della condotta.

Risulta altresì utile riflettere sul trattamento delle condotte frazionate: secondo la Corte, esse esulano dal confine della norma. Tale impostazione potrebbe lasciare impunite situazioni in cui uno o più soggetti forniscano, in tempi diversi, componenti necessarie per completare un dispositivo idoneo alla comunicazione, così come rilevato nel ricorso dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Campobasso.

Una possibile soluzione potrebbe distinguere tra la consegna di parti di dispositivi di pe sé non idonei a comunicare e pertanto da considerare non penalmente rilevante; e la consegna dell’ultima parte necessaria a completare un dispositivo funzionante, che integra la lesione del bene giuridico tutelato.

In subordine, anche la condotta finale in un contesto di frazionamento potrebbe rientrare nella formula di chiusura della norma, ossia in chi «comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti».

In tal modo, si concilierebbe il principio di legalità e la tassatività della norma con la ratio istantanea del reato, offrendo una lettura funzionale alle esigenze pratiche di prevenzione delle comunicazioni non autorizzate in carcere.

Argomento: Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 25 novembre 2024, n. 42941)

Stralcio a cura di Claudia Scafuro

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