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Il contenuto preciso dell'offesa penalmente rilevante nel delitto di tortura sta nella lesione della

Simone Rizzuto

Con la sentenza n. 37171, resa all’esito dell’udienza del 29 aprile 2024 e depositata in Cancelleria il 9 ottobre 2024, la Prima Sezione penale della suprema Corte di cassazione ha espresso importanti principi giuridici in materia di tortura, con precipuo riguardo alla individuazione dell’oggettiva giuridica preservata dall’art. 613-bis della codificazione penale.

La questione giudiziaria, in particolare, traeva scaturigine da una vicenda omicidiaria, nell’ambito della quale la Corte di Assise di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, inflieggeva all’imputato, F. F., la pena dell’ergastolo.

L’articolata condotta criminosa del soggetto agente veniva scomposta e ricondotta in una pluralità di fattispecie incriminatrici di parte speciale, dettagliate nel corposo editto imputativo: al capo A) della rubrica, veniva contestato l’omicidio volontario di K. Z., sussunto nell’ambito previsionale degli artt. 61, n. 8, 576, comma I, n. 5), 577, comma I, nn. 1) e 3), c.p.; al capo B), si contestava il sequestro di persona della predetta persona offesa, mentre ai capi C) e D), rispettivamente, il sequestro delle figlie minorenni di costei, J. S. e J. A. (art. 605, comma III, c.p.); al capo E), veniva rubricata una resistenza a pubblico ufficiale, a cagione del tentativo di speronamento della vettura dei carabinieri di Sassari, con l’aggravante telologica, mentre al capo F) si rimproverava il porto abusivo di un coltello; al capo G), in conclusione, veniva contestata una condotta di tortura, dal contenuto alquanto "labirintico", che l’imputato poneva in essere a detrimento delle due minori.

Ragioni di contenimento espositivo impongono un pedissequo richiamo al contenuto, in fatto, dell’imputazione sopra descritta, la quale, in questa sede, sarà scandagliata in relazione agli approdi esegetici cui sono giunti i giudici di legittimità.

Gli Ermellini, infatti, nel rigettare il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato avverso la sentenza di secondo grado, propongono una dissertazione in jure densa di spunti di riflessione, sui quali occorre volgere l’attenzione.  

Lo scrutinio giudiziale dei sei motivi di ricorso muove dalla disamina del quinto, di carattere processuale, relativo all’asserita mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale durante il giudizio di appello.

Rispetto a tale doglianza, la Corte ribadisce come l’istituto in questione debba assumere carattere eccezionale e, in sede di legittimità, il sindacato possa riguardare non già l’atto da acquisire, bensì «il contenuto esplicativo del provvedimento adottato».

Il sesto motivo, «avente ad oggetto pretese carenze motivazionali sulla valutazione della prova dichiarativa», viene tacciato di manifesta infondatezza, in ragione della motivazione, considerata addirittura «sovrabbondante», del giudice di appello.

I due motivi, relativi alle aggravanti dell’omicidio volontario, vengono dichiarati inammissibili: il motivo di cui al numero uno, poiché, in base alla «consolidata tradizione di legittimità, il dolo "condizionato" è pienamente compatibile con l’aggravante della premeditazione […]»; il quinto motivo, invece, viene considerato generico, in ragione della aspecificità delle relative censure defensionali.

Sempre aspecifico e totalmente versato in fatto il motivo di cui al numero due, relativo all’aggravante di cui all’art. 576, comma I, n. 5, c.p.

La motivazione rassegnata dalla suprema Corte in ordine al sesto e ultimo motivo, relativo al delitto di tortura in danno delle due persone minorenni, merita di essere analizzata in maniera più pregnante.

Prima della disamina di qualsivoglia censura defensionale, i giudici di legittimità, nel proprio referto motivazionale, propongono una pregevole reductio ad unum delle fonti del diritto internazionale, dalle quali viene a essere enucleato il proteiforme divieto di praticare tortura: esso, tipizzato da una pluralità di disposizioni pattizie (ad esempio, l’art. 1 della CAT, l’art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e l’art. 3 della CEDU), assume una connotazione marcatamente pubblicistica e pretende un contegno intenzionale del soggetto agente, dotato, altresì, di orientamento teleolgico, posto che la prassi del tormento, in ambito sovranazionale, può essere adoperata per infliggere punizioni o per estorcere dichiarazioni confessorie o testimoniali dal soggetto passivo.

Muovendo dalla dimensione sovranazionale dell’istituto, i giudici di legittimità appuntano l’attenzione sulla fattispecie di cui all’art. 613-bis c.p., introitata nell’ordito codiciale per effetto dell’entrata in vigore della legge 110/2017, a distanza di oltre trent’anni dalla ratifica della CAT (Convention against torture) del 1984.

I primi due commi della disposizione codicistica, secondo l’esegesi divisata in sentenza, contemplano «due autonomi titoli di reato e, quindi, due diverse e autonome fattispecie incriminatrici, a disvalore progressivo, secondo la qualifica del soggetto attivo del reato: la tortura pubblica (reato proprio) se il soggetto attivo sia un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio che commetta il fatto tipico descritto nell’art. 613-bis, comma primo, cod. pen. con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; la tortua privata (reato comune) negli altri casi».

Tale impostazione, ancorchè in linea con la natura pubblicistica del crimine di tortura a livello internazionale, sembra porsi in contrasto con un ulteriore e diverso orientamento, dottrinale e pretorio, in forza del quale il secondo comma dell’art. 613-bis c.p. può considerarsi non già figura autonoma di reato, bensì "mera" circostanza aggravante rispetto all’ipotesi delittuosa base di cui al comma primo della medesima disposizione.

Particolarmente importanti, invero, appaiono le considerazioni giuridiche espresse dai giudici in ordine alla oggettività giuridica normativamente salvaguardata dall’art. 613-bis c.p.

In primo luogo, infatti, viene individuata, in sentenza, l’«oggettività giuridica criminosa "generica"» del reato in analisi, discendente dalla sedes materiae della fattispecie, inserita fra i delitti contro la libertà morale o psichica della persona.

Il reato di tortura, proprio in base alla collocazione sistematica prescelta dal legislatore, intende tutelare la libertà dell’individuo di formare il convincimento in seno al cd. foro interiore e, nel contempo, la libertà autodeterminazione, ossia di estrinsecazione esterna delle proprie scelte, senza alcun tipo di coazione esogena.

Accanto a questi beni-interessi, nondimeno, occorre individuare l’«oggettività giuridica "specifica"» del reato, ossia i beni giuridici dal «contenuto più pregnante».

In un simile scenario argomentativo, la Corte focalizza l’attenzione sul pregiudizio inferto all’integrità psicofisica del soggetto passivo dell’efferato crimine in analisi: «Consistendo la tortura nell’inflizione brutale di sofferenze corporali, essa determina un grave e prolungato patimento fisico e morale dell’essere umano che la patisce, cosicchè la sua particolarità risiede nella conclamata e terribile attitudine che la stessa possiede e cioè quella di assoggettare completamente la persona la quale, in balia dell’arbitrio altrui, è trasformata da essere umano in cosa, ossia una "res" oggetto di accanimento».

 Accanto a quest’ultimo bene giuridico, costituzionalmente rilevante ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 32 cost., i giudici ravvisano la presenza di un altro valore, immanente alla persona, vilipeso per effetto della perpetrazione delle pratiche del tormento: la dignità dell’essere umano, gravemente pregiudicata da qualsivoglia comportamento riconducibile, in qualche modo, nel paradigma concettuale della tortura.

Dal punto di vista strutturale, giova dar conto della elencazione, in forma didascalica, degli elementi costitutivi della fattispecie, trattandosi di un reato comune (quello di cui al primo comma); a forma vincolata e di evento; eventualmente abituale, improprio, sanzionato a titolo di dolo generico.

Trasponendo i sopra richiamati principi al caso di specie, la Corte ritiene sussistente il reato di «tortura privata», non potendo essere assorbito in quello di sequestro di persona.

Più in particolare, «L’imputato, agendo con crudeltà, ha posto in essere più condotte in danno delle minori, sostanziatesi, soprattutto, in violenze morali, ma con ricadute (anche sul loro fragile fisico: a) constringendole ad assistere all’accoltellamento della madre; b) costringendole ad assistere, una volta prelevate a bordo dell’auto usata dal Fa. Fr., per allontanarsi dal luogo del crimine, all’agonia della madre medesima per almeno mezz’ora; c) privandole di sostegno tecnico psicologico dopo la tragedia; privando, in particolare, Je So., disabile al 100% per tetraplegia grave, della terapia farmacologica di regola da lei assunta (Omissis), e) mal gestendo fisicamente Je. So., che, nell’occorso, riportava lividi diffusi per mancanza, nell’abitacolo, di un seggiolino adeguato; f) ponendosi in fuga spericolata, a elevatissima velocità, dai Carabinieri con un’atovettura a bordo della quale viaggiavano, disperate le minori e senza le prescritte protezioni; g) comunicando falsamente ad Je. An. Che la madre si era tolta la vita».

Le molteplici condotte criminose vengono considerate causalmente idonee a determinare, in capo alle minori, gli eventi del reato: «a) a Je. So., crisi distoniche, tachicardia e desaturazione di ossigeno, che ne determinarono il ricovero presso l’Unità Operativa di neuropsichiatria infantile della A.O. di S., dove la piccola rimase in pericolo di vita per diversi giorni (da qui l’aggravante delle lesioni gravi), per poi essere trasferita, a partire da (Omissis), presso l’ospedale pediatrico romano "(Omissis)", essendo necessario somministrarle cure specifiche in un reparto di pediatria d’urgenza; b) ad Je An., un disturbo da stress post traumatico in bambina esposta a violenza assistita e un trauma complesso con sentimenti di terrore, angoscia di morte e rischio di scivolamento psicotico (da qui le lesioni gravissime "per la deviata malattia probabilmente insanabile")».

Anche in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, la Corte di legittimità considera immune da censure la motivazione di secondo grado, richiamata con riguardo alla compresenza di un insieme di «indicatori fattuali», ai quali – sempre per ragioni di contenimento espositivo – si rinvia.

Sulla scorta di quanto sinora esposto, vengono ritenuti configurabili «tutti i requisiti strutturali del delitto di tortura, convenientemente messi in luce dai giudici di merito» e ciò «permette di ritenere infondata la censura difensiva secondo la quale Je An. e Je. So. non avrebbero potuto in alcun modo rivestire la qualifica di soggetto passivo del reato de quo, in quanto esse non erano state vittime dell’omicidio, commesso in danno della madre».

Tale assunto, in base al quale la tortura non potrebbe essere fattispecie prodromica a quella di omicidio, deve essere disatteso, in quanto «il legislatore richiede semplicemente che il fatto sia commesso in danno di persona privata della libertà personale o che sia affidata alla custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza del soggetto agente, ovvero, ancora, che si trovi in situazione di minorata difesa»; tali situazioni, nel caso che ci occupa, risultano essere addirittura concorrenti, «come reso palese: a) dal concorrente reato di sequestro di persona, b) dalla evidente qualità del soggetto agente di preposto, quale convivente della madre, alla custodia e cura delle due minori, e c) dalla condizione di disabile al 100% di Je. So.».

A corollario delle superiori considerazioni, la totale reiezione giudiziale del ricorso, con condanna del ricorrente alle spese giudiziali.   

Argomento: Dei delitti contro la persona
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. I, 9 ottobre 2024, n. 37171)

Stralcio a cura di: Claudia Scafuro

"(…) Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Assise di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, confermava la decisione del 15 marzo 2022 con la quale la Corte di Assise di Sassari aveva condannato OMISSIS, anche ai fini civili e con le pene accessorie di legge, alla pena dell'ergastolo, perché ritenuto responsabile dei seguenti reati: A) omicidio volontario di OMISSIS (deceduta per shock emorragico acuto da ferita da punta e da taglio infetta al polmone destro), con le aggravanti di cui agli artt. 61 n. 8), 576, comma primo, n. 5), 577, comma primo nn. 1) e 3), cod. pen.; B) sequestro di persona in danno della predetta OMISSIS e delle figlie minori di costei OMISSIS (capo C) e OMISSIS (capo D), questi ultimi due capi aggravati dalla circostanza dell'essere il fatto stato commesso in danno di infraquattordicenne (art. 605, comma terzo, cod. pen.); E) resistenza a pubblico ufficiale a mezzo di tentativo di speronamento dell'auto dei Carabinieri di Sassari, con l'aggravante teleologica; F) porto abusivo di coltello; G) tortura in danno delle due minori (art. 613-bis, commi primo e quarto, cod. pen.) (…) Venivano, infine, ritenute anche l'aggravante di cui all'art. 94 cod. pen. per avere l'imputato commesso i reati sotto l'azione abituale della cocaina e la recidiva qualificata. (…) CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso va rigettato, perché, nel complesso, infondato. (…) Secondo la consolidata tradizione di legittimità, il dolo "condizionato" è pienamente compatibile con l'aggravante della premeditazione, la quale ricorre anche quando l'attuazione del proposito criminoso è condizionata al verificarsi, o non, di un determinato evento, non potendosi confondere l'occasionalità dell'insorgenza del proposito omicida (contestualmente attuato) con l'esecuzione del proposito già maturato che sia stato condizionato al mancato verificarsi di un avvenimento ad opera della vittima: il dolo condizionato nulla toglie alla fermezza della risoluzione criminosa concretantesi nella ideazione del piano e nell'apprestamento dei mezzi, giacché è soltanto l'attuazione che rimane subordinata al verificarsi di una determinata situazione sfavorevole per l'agente, ma, quando ciò si verifichi, il fatto non può non ricollegarsi a quella risoluzione, tractu temporis persistente, nella quale si rivela appunto la maggiore [continua ..]

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