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Nel giudizio di appello de libertate le parti sono legittimate a produrre elementi probatori sopravvenuti sempre che vengano rispettati i principi del contraddittorio e di devoluzione, contrassegnati dalla contestazione, dalla richiesta originaria e dai motivi contenuti nell'atto d'appello
Luigia Mansi
Le Sezioni Unite, all’udienza del 30 novembre 2023, chiamate a decidere se, nel giudizio sull’appello ex art. 310 c.p.p. proposto dall’imputato avverso provvedimenti in materia di misure cautelari personali, l’oggetto della cognizione sia delimitato dagli elementi posti a fondamento della richiesta formulata ai sensi dell’art. 299 c.p.p., ha affermato il seguente principio di diritto: “nel giudizio di appello cautelare, celebrato nelle forme e con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 127 c.p.p., possono essere prodotti dalla parti elementi probatori “nuovi” nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione, contrassegnato dalla contestazione, dalla richiesta originaria e dai motivi contenuti nell’atto di appello”.
L’ampiezza dei poteri cognitivi del giudice dell’appello cautelare è una questione che sin dall’entrata in vigore del codice del 1988, in ragione del silenzio normativo sul punto, risulta segnata da orientamenti contrastanti e prassi disomogenee, oscillanti tra visioni restrittive e più aperte all’ingresso di elementi inediti.
Il contrasto interpretativo, pur affrontato e risolto in senso affermativo da un precedente intervento a Sezioni Unite (SS.UU. n. 18339 del 31.04.2004, Donelli) – che aveva sì riconosciuto la facoltà delle parti di produrre in sede di appello cautelare elementi nuovi, ma con esclusivo riguardo all’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare personale - non avendo trovato in quella occasione esaustiva risoluzione, si è riproposto in una nuova edizione.
Se, cioè, successivamente alla sentenza Donelli, le Sezioni semplici non hanno più messo in discussione il potere del giudice, investito dell’impugnazione cautelare del pubblico ministero, di fondare la propria decisione anche sui novaprodotti dalle parti, con specifico riferimento alla diversa ipotesi relativa alla impugnazione dei provvedimenti adottati exart. 299 c.p.p., l’intervento delle Sezioni Unite del 2004 è stato persino interpretato in senso diametralmente opposto, alimentando il dubbio ermeneutico.
Per un primo indirizzo giurisprudenziale, doveva escludersi la possibilità di acquisire elementi probatori inediti in forza del principio devolutivo, con la conseguenza che la cognizione del giudice dell’appello poteva avere ad oggetto esclusivamente i punti della decisione devoluti con i motivi di impugnazione, senza che la stessa potesse estendersi a punti diversi, né ad elementi differenti da quelli dedotti, dovendo questi essere oggetto di una nuova richiesta al giudice procedente ex art. 299 c.p.p.
Tra i capisaldi di tale orientamento:
- il mancato richiamo, nella disposizione dell’art. 310 c.p.p., al comma 9 dell’art. 309 c.p.p., ergo, alla espressa facoltà delle parti di presentare elementi probatori inediti all’udienza di trattazione ed al dovere del giudice di rivalutarli;
- la sentenza Donelli, interpretata nel senso di aver differenziato il regime applicabile, ammettendo i nova soltanto nell’ipotesi di appello proposto dal pubblico ministero avverso il rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare, perché, esclusivamente in tal caso, la devoluzione al giudice dell’impugnazione non sarebbe limitata ai singoli punti oggetto di censura, bensì estesa tutti i profili della domanda cautelare.
In senso opposto il secondo indirizzo giurisprudenziale, favorevole invece alla possibilità di acquisire elementi inediti rispetto al materiale valutato dal giudice di prima istanza, a mente del quale il principio devolutivo, pur limitando il thema decidendum del giudizio di appello, non avrebbe alcun effetto preclusivo in ordine alla deducibilità di nova.
Nel solco di tale indirizzo:
- il principio generale, ricavabile dall’art. 299, commi 1 e 3, c.p.p., del necessario e costante adeguamento dello status libertatis dell’imputato alle risultanze del procedimento;
- l’incoerenza e l’inefficienza a scapito del sistema qualora l’interessato fosse stato costretto ad un nuovo subprocedimento ex 299 c.p. al solo fine di valorizzare quegli elementi già disponibili al momento della decisione del giudice dell’appello, con conseguente violazione del principio di ragionevole durata;
- il riconoscimento al giudice dell’appello cautelare dei medesimi poteri di integrazione della piattaforma cognitiva attribuiti dalle disposizioni di cui all’art. 603, commi 2 e 3, c.p.p., a quello dell’appello del processo di merito, applicabili in via analogica;
- il principio affermato dalle Sezioni Unite Donelli, interpretato quale espressione dell’intenzione del Supremo Collegio di ammettere in via generale la possibilità di modificare il corredo cognitivo del giudice dell’appello cautelare.
Alla luce di tali diverse soluzioni interpretative proposte dalla giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte nel suo più ampio consesso ha messo a fuoco la questione prospettatagli muovendo, anzitutto, dall’inquadramento strutturale e funzionale dell’appello cautelare, ribadendone, in primo luogo, la continuità con quello della fase di cognizione, con conseguente implicito rinvio alla relativa disciplina per quanto non diversamente regolato dall’art. 310 c.p.p.
Corollario di tanto, l’estensione, anche all’appello cautelare, dell’effetto parzialmente devolutivo dell’impugnazione regolato dall’art. 597, comma 1, c.p.p.
Peraltro, come pure si legge in sentenza, quello della devoluzione come limite della cognizione del giudice dell’appello de libertate è principio consolidato che nemmeno i due opposti orientamenti hanno inteso mettere in discussione, vertendo il contrasto, invero, sulle effettive implicazioni di tale principio.
Lo snodo argomentativo offerto dai Supremi Giudici, sta nell’aver distinto i piani, nell’avere, cioè, messo in chiaro che, una cosa è circoscrivere l’area del devoluto ai punti della decisione attinti dai motivi di gravame, altra è individuare il materiale probatorio fruibile dal giudice per rispondere ai motivi devoluti al suo giudizio: di tal che, impedire la valutazione di elementi diversi assumendo, come fanno i sostenitori della tesi restrittiva, che esista una necessaria simmetria tra i due piani si risolve in una preclusione affidata ad una mera statuizione di principio.
Piuttosto, a validare la conciliabilità tra principio devolutivo e modifica dell’assetto probatorio d’appello, vengono richiamate le considerazioni contenute nella sentenza Donelli:
- il giudice dell’appello è titolare del potere di decidere ex novo su tutte le questioni relative ai punti cui si riferiscono i motivi, senza essere vincolato dalle deduzioni dell’appellante, né dalle argomentazioni in diritto poste dalla decisione impugnata, riprendendo i principi affermati per l’appello ordinario da precedenti pronunce a Sezioni Unite;
- il giudizio di appello è un giudizio tendenzialmente aperto ad accogliere nuove risultanze, evocando il disposto dell’art. 603, comma 2, c.p.p..
Considerazioni che, sottolineano i Supremi Giudici, rappresentando l’esito di una valutazione della struttura del mezzo, sono idonee ad assumere valenza generale consentendo l’estensione del principio - legittimità della produzione dei nova in appello - sia che si versi in ipotesi di appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare, sia che si tratti di appello dell’imputato avverso l’ordinanza reiettiva di una istanza di revoca o di sostituzione di una misura cautelare ex art. 299 c.p.p.
Nondimeno, la possibilità di integrare la base cognitiva del giudice con elementi inediti è stata fatta discendere anche dalla disciplina di cui all’art. 603 c.p.p. – che invero, precisano i giudici in sentenza, non rappresenta un parametro normativo applicabile in via analogica nell’appello cautelare, trattandosi di norma configurata sulla differente struttura del giudizio di cognizione - che vale a confermare che l’apertura della piattaforma cognitiva al recepimento di prove nuove, è un carattere originario del mezzo di impugnazione e, come tale, comune “alle varie tipologie di gravame denominate “appello.”
Afferma, inoltre, la Suprema Corte che non è di ostacolo alla soluzione positiva il mancato rinvio, nell’art. 310, comma 2, c.p.p., al comma 9 dell’art. 309, c.p.p. – come sostenuto dall’indirizzo restrittivo - la selezione operata dal legislatore, infatti, è limitata a meccanismi procedurali neuteri (termini e modalità di presentazione dell’impugnazione), ispirata ad une mera esigenza di semplificazione nella redazione del testo normativo a cui non può essere attribuita alcuna rilevanza euristica.
In definitiva, le Sezioni Unite, una volta riconosciuto che l’estensione della base cognitiva del giudice non confligge di per sé con la struttura e la funzione tipiche del mezzo di impugnazione - e rimarcata la scarna disciplina contenuta nell’art. 310 c.p.p. che non consente di riscostruire in maniera autonoma i contorni della questione - attingono ai principi “multilivello” che governano la materia cautelare.
L’interpretazione sistematica cui accedono le Sezioni Unite ha l’evidente pregio di rafforzare la coerenza dell’appello cautelare al principio generale – codificato nell’art. 299 c.p.p. – ovvero, all’esigenza di garantire sintonia tra l’intervento cautelare e la realtà sottostante, nell’ottica del costante adeguamento del primo alla seconda e della ragionevole durata della restrizione della libertà personale.
La cifra distintiva della decisione in commento risiede, dunque, nell’aver riconosciuto, in perfetta coerenza con l’approdo della più volte richiamata sentenza Donelli, alla fase cautelare piena dignità di sede di verifica e di contraddittorio, rappresentando un passo significativo a garanzia dell’equilibrio tra esigenze di efficienza del sistema e garanzie difensive.
Sezione: Sezioni Unite
(Cass. Pen., SS. UU., 12 aprile 2024, n. 15403)
Stralcio a cura di Giuseppe Tuccillo
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